Clic. Si ricorda!

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©Camera-Eye, Paolo Miguel Baquiano deviantart
«No, Elsie, tu non capisci. Ho già scritto su di te... una dozzina di volte. Quella tua buffa piega del labbro, da coniglietto, l’ho messa in un racconto sei anni fa; il modo in cui l’espressione del tuo viso cambia quando stai per ridere... è un tratto che ho attribuito a una delle prime ragazze di cui abbia mai scritto; il modo in cui mi attardavo a darti buonanotte, sapendo che saresti corsa al telefono non appena ti fossi chiusa la porta alle spalle... tutto questo l’ho messo in un mio libro che ho già scritto una volta» (p.124). È Francis Scott Fitzgerald in un incontro con una sua vecchia fiamma riportato nel libro Good luck and Goodbye (Donzelli Editore, 2013). Elsie gli risponde: «Capisco. Solo perché non ti ho corrisposto, mi hai fatta a pezzi, un po’ alla volta» (p.124). E invece no, Elsie proprio non capisce. Che lei lo avesse corrisposto o no, Scott Fitzgerald l’avrebbe comunque fatta a pezzi. Perché è così che si ricordano le cose. Il cervello non scatta fotografie. Gli eventi sono vissuti nella loro totalità, ma memorizzati a pezzettini.

Io ho memorizzato cose che voi umani non potreste immaginarvi
L’idea che esista la memoria fotografica è molto diffusa. Viene attribuita a personaggi di fantasia, come Olive Doyle, interpretata da Sierra McCormick nella serie televisiva A.N.T. Farm. Ne è sicuro Rutger Hauer, l’attore che interpretava il celeberrimo monologo nel film Blade Runner (1982), «Non mi ricordo un solo volto tra i miei insegnanti, ma degli uomini che mi hanno offerto un lavoro o delle città incontrate per raggiungerlo, ho una perfetta memoria fotografica» (Il Fatto Quotidiano, 12.08.2013, p. 9, intervista a firma di Malcom Pagani e Federico Pontiggia).
Ne parla il regista Gabriele Muccino sul suo profilo facebook: «24 fotogrammi al secondo. La retina non riesce a scorgere la differenza tra un fotogramma e il successivo per la memoria fotografica che vi resta impressa per micro istanti e permette la magia dello scorrimento veloce di immagini apparentemente unite tra loro ma che di fatto non lo sono». Ma lo scrive anche Italo Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore (1994), «Ecco che io che dovevo passare inosservato sono stato scrutato, fotografato da occhi cui non posso illudermi di esser sfuggito, occhi che non dimenticano nulla e nessuno che si riferisca all’oggetto della gelosia e del dolore» (Oscar Mondadori, p. 24).
Nel libro La società della mente (1989), lo scienziato Marvin Lee Minsky spiega che quello della memoria fotografica è un mito senza fondamento. Non ricordiamo mai molte cose riguardo un’esperienza particolare. Di volta in volta, il nostro cervello decide selettivamente di trasferire, spesso senza che ce ne rendiamo conto, solo determinati elementi nella memoria a lungo termine (dove possono restare per anni).
Questi dettagli devono essere classificati, perché sono utili, pericolosi, insoliti o importanti per altri motivi. Ecco perché i ricordi vengono scomposti. Non rivestirebbe alcun interesse per la specie umana conservare enormi quantità di ricordi non classificati. Pensate che fatica se, per trovare l’evento che vogliamo richiamare alla mente, dovessimo passare ogni volta in rassegna miliardi di fotografie di tutti i momenti vissuti.
Al contrario, esistono dettagli eterogenei che conserviamo in diverse aree del cervello e ricostruiamo al momento opportuno. È come se al momento di conservare una pizza, piuttosto che riporla in frigo tutta intera, avessimo la possibilità di scomporla per estrapolarne farina, lievito, sale, mozzarella, pomodoro e acqua, in modo da servircene in seguito come preferiamo. Per rifare la stessa Margherita o per comporre altre pietanze. Elementi relativi ad un unico momento passato possono essere richiamati per ricostruire una precisa traccia di memoria.
Oppure, combiniamo insieme per la prima volta pezzi sparsi di ricordi diversi, nella simulazione di un episodio futuro (per chi volesse approfondire i meccanismi alla base dell’immaginazione del futuro, rimandiamo al n. 90 di Mente e Cervello, pp. 94-101, “Il futuro non sarà com’era”).
O ancora, particolari singoli sono rimestati in dipinti, romanzi, sculture, sceneggiature. Dunque, non solo non esiste la memoria fotografica, ma un sistema di questo tipo non sarebbe neanche funzionale. Non consentirebbe la creazione di opere d’arte, la predizione del futuro, né tantomeno l’invenzione di storie (BOX 1).
BOX 1

La persistenza della memoria nell’immaginazione

L’intuizione che l’immaginazione non prescinda dalla realtà accomuna molti scrittori. Intervistati da Caterina Bonvicini per Il Fatto Quotidiano, diversi autori si sono confrontati sul tema del rapporto tra cose vissute e immaginate. La scrittrice statunitense Elisabeth Strout spiega che i personaggi non sono altro che un’unione dei tratti di tante persone reali. «A volte, quando sono nella metro, mi capita di osservare una faccia per quaranta minuti e di dirmi: Ah, che faccia interessante. Poi però queste persone le mescolo, le costruisco» (9.12.13, p. 12). L’autrice, Jhumpa Lahiri, parlando della protagonista del suo ultimo romanzo, La Moglie, dice: «Mi chiedo ancora adesso: Ma chi è? Da dove è venuta? Vengono dal cervello, i personaggi, o dalle suggestioni. Magari conosco una persona, scambio due parole, mi dice qualcosa che rimane con me e questo diventa uno spunto. Quella persona poverina non è consapevole di avermi regalato una cosa che mi interessa, ma spesso è così» (12.01.14, p. 12).Yasmina Reza, drammaturga francese, parla degli avvenimenti passati come della “luce delle stelle morte” (23.12.13, p. 12), ossia cose viste e sentite in un certo momento, la cui luce persiste. Ed è proprio grazie alla persistenza di quella luce che nascono le sue opere. «Joyce dice che l’immaginazione è ricordo e cerca di eliminare la distinzione fra le due cose. E Shelley, nella Difesa della poesia, dice che nella poesia noi dobbiamo immaginare quello che già sappiamo. Quindi ha una linea analoga a quella di Joyce, cioè la memoria e l’immaginazione sono strettamente connesse. Secondo me, bisogna immaginare delle cose di cui però si ha avuto esperienza» (6.01.14, p. 12). Questa la riflessione dello scrittore e giornalista britannico Edward St. Aubyn. Si può opinare che per un artista sia meglio immaginare attingendo dalla memoria episodica (le cose di cui abbiamo avuto esperienza) o piuttosto dalla memoria semantica (le cose che sappiamo), ma (almeno per il momento) è certo che non si può immaginare ciò che non si conosce.

Memoria fuori dal comune
La fotografia è una riproduzione fedele di un momento. Nel confronto tra una foto e la scena originale, non potremmo mai notare la mancanza di un dettaglio, né la presenza di elementi difformi. Al contrario, la memoria si basa su ricostruzioni. Questa osservazione è divenuta palmare quando si è scoperto che, a differenza delle fotografie, i ricordi non combaciano con l’evento che si vuole ritenere. L’inaffidabilità del ricordo è stata dimostrata da numerosi scienziati col perfezionamento di variegate modalità di creazione di falsi ricordi. Il più famoso è il paradigma DRM, dal nome dei suoi creatori, Deese-Roediger e McDermott (1995).
Leggere una lista di sostantivi semanticamente correlati alla parola ésca leone (es., tigre, circo, giungla, domatore, tana, cucciolo, Africa, criniera, gabbia, felino, ruggito, ferocia, orso, caccia, fierezza) induce erroneamente a ricordare che anche leone fosse presente. Inoltre, domande volutamente devianti insufflano in molti casi persino il ricordo di una sequenza inesistente nei filmati dei telegiornali. Con questa tecnica, i video fantasma dell’incidente della principessa Diana o dell’assassinio del politico olandese Pim Fortuyn sono tipicamente “ricordati” da due terzi delle persone. I ricercatori avevano finora studiato questi fenomeni soltanto in persone con una memoria nella media.
Tuttavia, recentemente è stato identificato un modesto numero di individui con una memoria di eventi passati autobiografici altamente superiore, in grado di ricordare che giorno della settimana fosse il 29 aprile 2010 o cosa fosse successo in un giorno qualsiasi della loro vita dalla tarda infanzia in poi. Come Mister Memory, l’uomo dalla memoria prodigiosa che imparava ogni giorno 50 fatti nuovi, riuscendo a ritenerli tutti. «Storia, geografia, articoli di giornale, libri di scienza. Milioni e milioni di fatti» (Il club dei 39, Hitchcock, 1935). Queste persone conoscono gli eventi pubblici meglio delle persone “normali” e, per ricordare cosa sia successo loro un giorno a caso di dieci anni fa, impiegano meno tempo di quello che serve a noi per ricordare cosa abbiamo fatto l’altro ieri sera (BOX 2). Generalmente ricordano non solo la data, ma anche dove si trovavano quando sono venuti a conoscenza di un determinato evento pubblico. Ritengono le informazioni pubbliche associandole a quelle personali. E gli errori? Rispetto ai dettagli che possono essere verificati, i nostri Mister Memory si sbagliano solo nel 3% dei casi.
BOX 2

Ipertimesia: Moderni Pico della Mirandola

HK è un ragazzo di vent’anni, cieco dalla nascita, secondo caso di ipermnesia autobiografica (dopo una donna sulla quarantina, AJ; Parker et al., Neurocase, 2006) riportato nella letteratura scientifica (Ally et al., Neurocase, 2012). Le prestazioni di HK in compiti di memoria classici, che prevedono il ricordo di liste di parole, sono perfettamente nella media. Tuttavia, HK ricorda in modo insolitamente efficace le sue esperienze autobiografiche. HK e AJ pensano in continuazione ai propri ricordi. AJ racconta che ha cominciato a forzarsi a ricordare le sue esperienze dall’età di 8 anni.
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Figura 1. L’analisi volumetrica del cervello di HK rivela che il volume dell’amigdala destra (mostrata sulla destra in tre diverse prospettive)è più grande rispetto a quello dell’amigdala dei controlli normali. In blu le aree dell’amigdala più significativamente voluminose (Ally et al., 2012).

I ricercatori hanno riscontrato nel cervello di HK un’ipertrofia dell’amigdala, con un volume del 20% superiore alla media (Figura 1). Inoltre, le connessioni cerebrali tra amigdala e ippocampo sono più pronunciate in HK che nei controlli sani. Ciò vuol dire che l’amigdala, struttura sottocorticale importante nella codifica dei ricordi autobiografici più emotivi, non solo è più grande, ma è anche iperattiva nel cervello di HK. Brandon Ally, autore dello studio, spiega che l’amigdala ipertrofica potrebbe sovraccaricare emotivamente le informazioni, rendendole dunque più rilevanti e più facili da ricordare. Questi risultati sono conformi a quelli di un altro studio che individuava in 11 adulti dotati di una memoria straordinaria una rete di 9 regioni cerebrali (incluso il giro temporale e il fascicolo uncinato sinistro, che connette l’ippocampo e l’amigdala alla corteccia frontale), d’importanza cruciale per la memoria autobiografica, morfologicamente diverse per forma e misura rispetto alle stesse regioni presenti nel cervello di coetanei normali (LePort et al., Neurobiology of Learning and Memory, 2012). Inaspettatamente, anche il nucleo caudato e altre aree implicate nel disturbo ossessivo-compulsivo erano più grandi negli 11 adulti rispetto alla media. James McGaugh, il neuroscienziato che ha condotto la ricerca, affermò che queste persone mostravano, in effetti, tendenze ossessive o compulsive, sebbene non avesse diagnosticato a nessuna di loro un disturbo ossessivo-compulsivo vero e proprio. Ad esempio, esibivano comportamenti pronunciati di evitamento dei germi (lavavano le chiavi prima di riporle in tasca, se queste erano cadute sul pavimento). LePort sospettava che qualche forma anche inconsapevole di ripetizione subvocalica del ricordo, legata a tali tendenze, potesse rafforzare in queste persone la capacità di conservare i ricordi a lungo termine. In effetti, la loro memoria è straordinaria solo per ricordi autobiografici, per il resto è del tutto normale, e anzi non sono persone particolarmente dotate in altri domini cognitivi.


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Cristofano dell'Altissimo - portrait of Giovanni Pico della Mirandola (copy of an unknown original), Uffizi, Gioviana Collectio
Elizabeth Loftus e i suoi colleghi dell’Università della California hanno reclutato nel 2013 venti persone con una memoria autobiografica eccezionale e pubblicato i risultati delle loro valutazioni sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Lo studio ha mostrato che anche questi individui sono suscettibili, proprio come noi comuni mortali, al falso ricordo della parola ésca (in 14 liste DRM su 20), o al falso ricordo di filmati inesistenti in risposta a suggerimenti devianti o ad esercizi di immaginazione.
Nel test dei filmati, lo sperimentatore dava falsamente per scontato che esistesse un video (mai esistito nella realtà) dell’aereo United 93 caduto in Pennsylvania l’11 Settembre 2001 e sollecitava i partecipanti a ricordare i dettagli di quel video “visto” anni prima. In realtà, il tentativo era quello di innestare un falso ricordo e di verificare se questa tecnica funzionasse anche in persone che ricordano tutto quasi perfettamente. Alla richiesta dello sperimentatore, «Ricorda quanto durava il video?», ad esempio, uno dei partecipanti rispondeva: «Durava pochi secondi. Non era lungo. Sembrava come se qualcosa stesse cadendo dal cielo. Probabilmente era molto veloce, ma io ero semplicemente attonito nel vedere quella cosa venire giù» (p. 2).
Il tentativo era, dunque, riuscito. Il falso ricordo era stato innestato. Questo vuol dire che il meccanismo di memoria ricostruttivo, e potenzialmente proclive ad errori, è peculiare degli umani. Una memoria di gran lunga superiore alla norma non immunizza da errori, perché funziona sempre sulla base dello stesso meccanismo che accomuna tutti, smemorati e individui più dotati.
Nella maggior parte delle situazioni questi processi ricostruttivi possono essere più accurati per i Mister Memory. Tuttavia, paradigmi stringenti che, conoscendone il tallone d’Achille, disvelano l’inaccuratezza del meccanismo nella popolazione normale, ne mostrano le medesime imperfezioni anche in persone solitamente fuori dalla norma.
Istanze di memoria fotografica sono state osservate in persone affette da autismo, come Stephen Wiltshire, o Kim Peek, impersonificato cinematograficamente da Rain Man, che, nel film, riesce a “contare” 246 fiammiferi caduti per terra soltanto guardandoli per un istante (https://www.youtube.com/watch?v=HaYwTxDfmHU ). Ma sono casi rari, riscontrati in persone estremamente focalizzate sui propri ricordi visivi. Non esistono nella realtà persone affette da autismo con le prodigiose abilità di ricombinazione visiva di Lisbeth Salander, hacker nata dalla penna di Stieg Larsson.
Nel 1970 Stromeyer e Potska pubblicarono sulla rivista Nature uno studio su un caso singolo. Il caso era quello della moglie ventitreenne di Stromeyer, artista molto dotata, nonché insegnante all’università di Harvard, che mostrava un’eccezionale memoria visiva. Un giorno la signora ascoltò una conversazione tra il marito e un suo collega a proposito di test di memoria ritenuti mediamente molto complessi.
La signora chiese di poter visionare il test e lo trovò “di una facilità ridicola” (p. 347). Il marito valutò le sue abilità su una serie di compiti della stessa natura ed effettivamente le prestazioni del suo caso singolo furono sbalorditive. In seguito, John Merritt volle replicare questi risultati su un campione più vasto, usando un test simile a quello somministrato alla signora Stromeyer (Figura 2). Pubblicò una serie di annunci su riviste, giornali, libri con tutte le indicazioni per svolgere il test comodamente da casa. Milioni di persone lessero quegli annunci. Trenta persone contattarono Merritt con la soluzione esatta. Merritt invitò quindici di queste persone (quelle che abitavano nell’area di Philadelphia) per una valutazione vis-à-vis in laboratorio. Sorprendentemente, nessuno fu in grado di rispondere correttamente neanche una volta. Tutti sbagliarono persino nel fornire la soluzione del medesimo test presentato sull’annuncio, di cui conoscevano già la risposta.

Mister memory si diventa
Negli anni ’20 il direttore di un giornale moscovita osserva che uno dei suoi giornalisti non prende mai appunti quando lui al mattino detta le lunghissime liste di indirizzi, numeri di telefono, nomi e cognomi a cui i suoi redattori dovranno fare riferimento nel corso della giornata.
Sta per redarguire il giovane, ma prima gli chiede di ripetere tutte le informazioni di cui non aveva preso nota. Il giovane le ripete tutte parola per parola. Il direttore, sbalordito, gli consiglia di sottoporre quelle prestazioni così insolite ad una valutazione medica. Nel luglio del 1926, il neurologo Aleksandr Lurija riceve nel suo laboratorio dell’Istituto di Psicologia di Mosca la visita del giornalista trentenne, Solomon Šereševskij (Figura 3), con la richiesta imbarazzata di un esame di memoria. Medico e paziente cominciano una relazione trentennale. «Molto probabilmente Solomon è l’unico uomo al mondo a possedere una tale capacità di memoria. Ricorda facilmente qualsivoglia quantità di parole e cifre e intere pagine di libri su qualsiasi argomento e in qualsiasi lingua per molto tempo. Šereševskij può citare verbatim qualsiasi cosa gli sia stata riferita dieci o dodici anni prima», riferì Lurija alla stampa russa, come riportato nel 2013 da Luciano Mecacci sulla rivista Cortex (p. 2260-61).
Come fa? Solomon ha una spiccata sensibilità sinestetica, ossia una capacità di associare automaticamente stimoli ad altre vie percettive, che gli permette di collegare spontaneamente ogni elemento elencato ad un’immagine visiva molto nitida. «Reagisce immediatamente con tutti i suoi sensi a ogni cosa che sente o vede. Dunque, qualsiasi suono o cosa ha per lui un colore, una temperatura, un peso, una forma e così via», per citare ancora le parole di Lurija.
Un giorno Solomon disse al famoso psicologo sovietico Vygotskij: «La vostra voce è gialla e friabile. Ci sono persone che parlano con più voci come in una vera sinfonia, un bouquet...», o ancora, parlando della voce del regista Ėjzenštejn, disse: «La sua voce mi ricorda una fiamma con fibre che avanzano verso di me... comincio ad interessarmi a tal punto alla sua voce da non capire più quello che dice» (Lurija, 1968, p. 29).
Allo stesso modo, una serie di numeri diventa per Solomon una lunga passeggiata tra tante figure. Il 3 assume la fisionomia di un uomo triste, l’1 diventa un uomo svelto e orgoglioso e il 7 porta i baffi (BOX 3).
BOX 3

Metodo dei loci

La memoria funziona allo stesso modo per tutti. Alcuni, tuttavia, ne fanno un uso migliore servendosi di tecniche efficaci e strategie di apprendimento. Questa è la tecnica impiegata per esempio da Dominic O’Brien, otto volte campione del mondo di memoria. In uno studio pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience nel 2003, Eleanor Maguire e i suoi colleghi testarono le dieci persone che si erano piazzate ai livelli più alti in una graduatoria nel World Memory Championships, gara di memoria che si svolge a Londra. I ricercatori dimostrarono che 9 campioni su 10 ritenevano le informazioni grazie al “metodo dei loci”. L’invenzione di questo antico metodo, chiamato anche tecnica della “passeggiata mentale” è attribuita al poeta greco Simonide.
Nel 477 a.C. Simonide visualizzava gli elementi da ricordare lungo un percorso immaginario. Al momento del richiamo, ripercorreva mentalmente la strada e “rivedeva” tutti gli elementi precedentemente associati ai punti salienti del percorso. Durante i compiti di memoria, i partecipanti di Maguire riferirono di adottare la stessa tecnica. E, infatti, la risonanza magnetica funzionale mostrava una maggiore attivazione del solco frontale inferiore posteriore sinistro, solitamente coinvolto nelle strategie dell’apprendimento associativo.
Maguire si aspettava di trovare nel cervello dei suoi partecipanti anche un cambiamento della struttura dell’ippocampo posteriore destro, dovuto all’uso frequente della memoria spaziale. Lo stesso cambiamento che aveva osservato nel 2000 (in uno studio pubblicato su PNAS) in un gruppo di tassisti inglesi. E, invece, le aspettative della ricercatrice furono deluse. La differenza probabilmente è dovuta al fatto che i tassisti inglesi conservano una rappresentazione spaziale di Londra molto complessa e vasta, mentre i campioni di memoria usavano sempre la stessa gamma ristretta di percorsi, cioè una strategia. Queste strategie si possono imparare, seppur con fatica. Joshua Foer, un giornalista scientifico, per scommessa con se stesso, è arrivato alla finale dei campionati USA di memoria dopo un anno di esercizi (L’arte di ricordare tutto, Longanesi). Come sottolinea Ericsson, “mnemonisti eccezionali non si nasce, si diventa”. È così che personaggi come Gianni Golfera assurgono alla notorietà e si arricchiscono con corsi che, a fronte di costi esosi, non offrono alcunché di speciale né originale.

Per Solomon le associazioni visive (eidotecniche) sono così naturali che a un certo punto della sua vita è costretto ad apprendere come dimenticare. «A volte mi capita di non riconoscere una voce al telefono, perché la voce di quella persona cambia 20, 30 volte nel corso della giornata. Gli altri non se ne rendono conto ma io sì» (Lurija, 1968, p. 29). Impara allora ad usare alcune “lethotecniche”, tra cui quella di tirare (mentalmente) una tendina opaca sulla parte da dimenticare. Ricordare tutto non ci consentirebbe, infatti, alcuna flessibilità mentale. Pensare implica dimenticare le differenze, generalizzare, astrarre, come scrive Borges in un suo racconto del 1942, a proposito del protagonista, Ireneo Funés, che ricordava tutte le forme delle nuvole.
Sulla rivista TICS (Trends in Cognitive Sciences) lo studioso Anders Ericsson (2003) rimarca che le tecniche di memoria sono efficaci esclusivamente nel generare associazioni tra informazioni altrimenti senza significato, come date, nomi o cifre. Tuttavia, se leggiamo un bel libro, non abbiamo bisogno di ricorrere a tecniche associative per ritenere le informazioni rilevanti, dal momento che la trama è di per sé significativa.
Nelle attività quotidiane le persone codificano le informazioni collegandole a repertori di conoscenze specifiche (come quello della comprensione testuale). In questo modo, possono usare la memoria a lungo termine (dove conservano le competenze pregresse) per espandere la memoria di lavoro (che conserva le informazioni per pochi minuti). Di conseguenza, meglio si conosce un argomento, meglio si comprenderà e si ricorderà un testo che fa riferimento a quello stesso ambito. E questo vale per le competenze più disparate. I giocatori esperti di scacchi sono estremamente abili nel ricordare le posizioni di più di venti pezzi estratte da un contesto realistico di gioco. Ma se i pezzi vengono disposti casualmente sulla scacchiera il ricordo degli esperti non si distingue da quello dei principianti che abborracciano le mosse.
Una memoria superiore in attività quotidiane riflette le capacità di memoria e le conoscenze acquisite durante un esteso periodo di vita al fine di padroneggiare un ambito specifico. Non esistono persone con memoria eccezionale in ogni dominio. Tant’è vero che nello studio di Maguire e colleghi (2003, BOX 3) la memoria dei campioni, valutata in riferimento a diversi stimoli (cifre, volti, o immagini ingrandite di fiocchi di neve), eccelleva solo nel ricordo di cifre, più facilmente associabili ad informazioni significative.
I campioni non ricordavano meglio le forme dei cristalli di neve rispetto ai controlli. È stato dimostrato che, se ci si allena per centinaia di ore a ritenere sequenze di numeri, le proprie prestazioni di memoria possono superare di gran lunga quelle dei Mister Memory riportate in letteratura (Ericsson, 1980, Science). Non esiste un’entità monolitica che possiamo definire memoria. «Ma tu come vuoi essere chiamata? Ogni volta è diversa la parola che ti invoca», diceva l’Esiodo immaginato da Pavese a Mnemosine (Dialoghi con Leucò, p.163). Disponiamo di diversi tipi di memoria, che ci servono in diversi domini. Nessuno ha una memoria eccezionale valida per tutto e tutti siamo potenziali Mister Memory in un dominio di nostra competenza.

In più
  • ALLY B.A., HUSSEY E.P., DONAHUE M.J. (2012). A case of hyperthymesia: rethinking the role of the amygdala in autobiographical memory. "Neurocase", 19, 166-181.

  • de VITO S., DELLA SALA S. (2011). Predicting the future. "Cortex", 47, 1018-1022.

  • MERRITT J.O. (1979). None in a million: results of mass screening for eidetic ability using objective tests published in newspapers and magazines. "Behavioral and Brain Sciences", 2, 612.

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