Diete tra bufale e scienza; Sillabario di genetica; Il mistero di van Gogh; Imperfezione. Una storia naturale; Matematica rock

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Diete tra bufale e scienza
di Giacinto A. D. Miggiano e Giulia Vincenzo
Il Pensiero Scientifico editore, 2019
pp. 180, € 15,00


Recensione di Sabrina Campana

L’ennesimo libro sulle diete che fornisce miracolosi segreti per dimagrire senza sforzi? Decisamente no. L’obiettivo dell’elaborato è francamente espresso già nella prefazione: “fare chiarezza e mettere un po’ di ordine in un settore ormai assediato dalle bufale, dove fantasia e realtà si mescolano generando false speranze e cocenti delusioni”.

Il testo, redatto a quattro mani dal prof. Miggiano e dalla dott.ssa Vincenzo, rispettivamente medico specialista in nutrizione e biologa nutrizionista, rappresenta una chiara analisi di quelle che oggi sono le diete più seguite da ignari soggetti che preferiscono rivolgersi a riviste o all’ormai onnipotente dott. Google, per risolvere problematiche legate al proprio peso.

Dalla dieta alcalina alla dieta del gruppo sanguigno, dalla dieta Dukan alla dieta Tisanoreica, fino alle più assurde come la dieta della luna, la dieta dell’urina o la dieta del batuffolo di cotone, gli autori spiegano come questi fasulli piani alimentari siano privi di fondamenti scientifici e possano incidere sulla nostra salute.

Si stima che oggi quasi il 50% della popolazione dei paesi sviluppati sia obesa o in sovrappeso, percentuale destinata ad aumentare per la vita sempre più frenetica che porta a seguire uno stile di vita scorretto fatto di pasti veloci, ipercalorici e già pronti e dal non includere nelle proprie giornate una buona dose di attività fisica.

In un quadro del genere, a trovare terreno fertile è il business dei prodotti collegati alle diete, come libri, sostituti del pasto, integratori. Il mercato mondiale che ruota attorno alla perdita e al mantenimento del peso conta centinaia di miliardi di dollari, cifra che salirà nei prossimi anni.

Ma dove risiede il problema della situazione attuale? È da ricercarsi nel fatto che la maggior parte dei libri e dei consigli nutrizionali provengono non da professionisti del settore, ma da soggetti che si improvvisano tali solo per trarne guadagno.

Questo libro non ha la presunzione di dirci cosa pensare, ma porta a riflettere e permette di arrivare a un’autonoma consapevolezza e a un approccio critico nei confronti delle informazioni che ogni giorno leggiamo o sentiamo in merito al tema dell’alimentazione.

Si tratta, quindi, di un testo che introduce all’argomento della nutrizione e che, attraverso un percorso conoscitivo, fa sì che il lettore arrivi a trarre le proprie conclusioni che prescindono dall’ultimo prodotto dimagrante sponsorizzato dall’instagrammer di turno.

Questo libro non svelerà il segreto per un corpo perfetto dentro e fuori, ma qualcosa di molto più prezioso, ovvero come riconoscere le bufale e sapersi destreggiare tra le tante diete propinateci da sedicenti professionisti alquanto discutibili.

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Sillabario di genetica per principianti
di Guido Barbujani
Bompiani editore, 2019
pp. 272, € 18,00


Recensione di Simone Raho

La genetica è una scienza facile da imparare male. I più avvezzi al mondo musicale avranno forse notato l’analogia con una citazione riguardante il mondo della chitarra, da cui ho preso spunto (“La chitarra è uno strumento facile da imparare male” ha detto il chitarrista Fabio Mariani), ma, in ogni caso, la frase calza a pennello e credo che possa riassumere bene ciò che intendevo dire. La genetica, infatti, è una materia che affascina da sempre il grande pubblico, vuoi per le tematiche che si trova ad affrontare, vuoi per i misteri che la riguardano e per tutto quello che resta ancora da scoprire su ciò che ha a che fare con la scienza dell’ereditarietà.

Ma un conto è il fascino per la materia in sé e un conto è, invece, avere gli strumenti necessari per discernere tra le notizie serie e quelle poco attendibili o chiaramente false. Non di rado, infatti, sui giornali o nei media in generale capita di leggere annunci mirabolanti sulla scoperta del gene dell’intelligenza, dell’aggressività o di qualsivoglia altro carattere. È certamente vero che la genetica ha fatto negli ultimi anni grandi progressi, ma se esiste una cosa che la ricerca in questo campo della biologia è riuscita a dimostrare è che è quasi sempre impossibile riuscire ad assegnare uno specifico gene a un determinato carattere complesso. Le difficoltà e le variabili in gioco sono spesso numerose e pertanto le semplificazioni fatte, talvolta troppo frettolosamente, sui giornali servono purtroppo solo a spettacolarizzare la scienza e a fuorviare il lettore, alimentando la diffusione di notizie distorte o poco veritiere.

Se c’è un libro in grado di spiegarlo bene al lettore che volesse saperne di più sullo stato dell’arte della genetica, questo è proprio l’ultimo lavoro di Guido Barbujani, professore di genetica all’Università di Ferrara, ma già autore di altri saggi sull’argomento e quindi avvezzo alla divulgazione scientifica. Lungi dall’essere un noioso trattato formale e nozionistico, infatti, il testo si rivela piacevolmente scorrevole e attrattivo: l’autore sa come mantenere alta l’attenzione del lettore e ogni capitolo del libro presenta diverse curiosità o degli spunti di riflessione in grado di stimolare il pensiero critico.

Si inizia, così, con una prima parte contenente dei capitoli a carattere introduttivo, che oltre a fornire la basi della genetica moderna, inquadra la materia nel suo contesto storico e scientifico, oltre a essere un utile punto di partenza per il lettore meno preparato e che timidamente si affaccia per la prima volta all’affascinante mondo di DNA, RNA e proteine.

Ma il meglio deve ancora venire: è, infatti, con la seconda parte del libro che vengono affrontati alcuni degli argomenti di più stretta attualità. E anche quelli più scottanti o che animano talvolta il dibattito politico in base alle correnti del momento: cosa sono e a cosa servono gli OGM? Siamo davvero sicuri che facciano male alla salute? Esistono davvero le razze?

Se siete curiosi di avere risposte a queste e altre domande, allora questo è il libro che fa per voi. Vi troverete risposte chiare e suffragate dalle più recenti evidenze scientifiche e non risposte “di pancia”, o risposte emotive e di convenienza.

È un libro che mi sento di consigliare, inoltre, anche a chiunque sia interessato a conoscere come lavorino gli uomini di scienza, oppure si chieda a cosa serva la scienza stessa, quale sia il suo ruolo nella società moderna e cosa possa fare per contribuire al progresso di Homo sapiens. Senza distinzione di razza alcuna. Chiaro il concetto, no?

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Il mistero di van Gogh. L’arte di un genio o di un folle?
di Gloria Albonetti
C1V Edizioni, 2019
pp. 172, € 15,00


Recensione di Jessica Marzaro

«La maggior parte dei pittori, non essendo coloristi propriamente detti, non vi vedono questi colori e giudicano pazzo il pittore che vede con occhi diversi dai loro». Nelle lettere al fratello Theo, è Vincent van Gogh stesso ad associare la sua pittura alla pazzia. Ma van Gogh, considerato oggi un genio del suo tempo, era davvero pazzo? Questo è l’interrogativo che si pone Gloria Albonetti all’inizio del suo libro Il mistero di van Gogh, C1V Edizioni, in cui l’autrice cerca di trovare una risposta, analizzando la figura di van Gogh a 360°.

Il libro crea una cartella clinica dell’artista, inserendo tutte le congetture che sono state fatte da medici moderni sulla malattia che avrebbe colpito van Gogh. Ma questa malattia non risulta per nulla semplice da individuare: nonostante le indicazioni dei medici che lo ebbero in cura e le lettere che van Gogh era solito scrivere a familiari e amici, le prove per una diagnosi postuma non sembrano sufficienti, ed è tuttora molto difficile creare un quadro completo. Le ipotesi che sono state avanzate sono le più varie: chi parla di disturbo della personalità, chi di epilessia, chi di glaucoma, chi dell’intossicazione da sostanze o da assenzio.

Ma Gloria Albonetti non propone una semplice serie di ipotesi riguardo la malattia, anzi, l’autrice è in grado di ricreare un quadro storico e culturale della società con cui Vincent dovette rapportarsi. Non solo, l’autrice porta il lettore dentro la vita di Vincent, la sua famiglia, i suoi numerosi spostamenti, le amicizie e le frequentazioni, tutto unito dal filo conduttore di una vita vissuta in maniera frenetica, malinconica e di un’anima inquieta. Tutte esperienze che si riflettono nella sua opera pittorica, ed è proprio dai suoi quadri che molte delle ipotesi cercano di trovare conferma, per cercare di scoprire una volta per tutte il mistero di van Gogh.

Leggendo e approfondendo la vita di un uomo così eclettico e creativo, ma anche così inquieto e ribelle, ci si pone una domanda fondamentale: in che modo la malattia ha influenzato la vita di Vincent? Da pittore squattrinato in vita (dipinse un vastissimo numero di quadri vendendone solo uno) è divenuto un’icona della storia dell’arte dopo la morte. Qualunque sia stata la sua malattia, van Gogh ha potuto compiere la sua celebre opera, lasciando un numero enorme di dipinti che oggi testimoniano la sua vita, in qualche modo vincendo la morte. Il tentativo dell’artista di lasciare la sua impronta non è paragonabile alla strenua lotta della medicina contro la morte?

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Imperfezione. Una storia naturale
di Telmo Pievani
Raffaello Cortina Editore, 2019
pp. 197, € 14,00


Recensione e intervista di Jessica Marzaro

Quando Galileo, a cavallo del Seicento, rivoluzionò il modo di pensare dei suoi contemporanei, lo fece rompendo l’idea di perfezione assoluta che permeava la sua epoca, inaugurando un nuovo modo di vedere la scienza. La Terra non era fissa, non era al centro, ma era solo uno dei pianeti del sistema solare che giravano attorno al Sole. Ma quando Keplero dimostrò che le orbite dei pianeti non erano perfettamente circolari, bensì ellittiche, Galileo non lo accettò: colui che modificò il metodo scientifico non riusciva ad accettare quella che ai suoi occhi era un’imperfezione.

E tuttora “imperfezione” è una parola dal significato negativo: sappiamo di essere imperfetti, ma ciò non ci piace, la nostra mente continua a preferire l’idea di perfezione. Ma sapere che anche la natura è imperfetta potrebbe permetterci di accettare questa condizione con un sorriso.

Imperfezione, di Telmo Pievani, è un libro dedicato all’imperfezione e alle sue numerose manifestazioni negli ambiti più diversi, nel DNA, nella struttura stessa degli organismi, nel cervello e in tutta la nostra storia evolutiva: siamo figli dell’imperfezione. Ma, fortunatamente, l’imperfezione scientifica e biologica non ha lo stesso significato che le attribuiamo noi. Perché l’imperfezione non è solo non-perfezione, ma è ricchezza, è varietà, è diversità. Dalla lettura emerge che la presenza delle forme della vita come le conosciamo oggi può essere spiegata solo allontanandosi da un’ideale di perfezione, e ragionando invece in termini di imperfezione: proprio i continui rimaneggiamenti evolutivi hanno prodotto la grande varietà biologica presente oggi.

L’evoluzione non riuscirebbe a conseguire la laurea in ingegneria: troppo materiale inutile, troppi compromessi non funzionali al 100%, troppe soluzioni che sprecano energia. L’evoluzione potrebbe essere, invece, un fantastico artigiano, che si arrangia con quello che ha, tagliando da una parte e aggiungendo dall’altra, creando certamente delle imperfezioni, ma portando innovazione e creatività. Il libro non è solo un excursus sulle imperfezioni che ci circondano e ci riguardano, ma anche uno spunto per una riflessione più profonda sulla nostra natura duale, di cui dobbiamo prendere coscienza, per poter trovare equilibrio tra le nostre enormi capacità e i nostri limiti.

Alla luce di tutto questo, chi comprerebbe un’auto usata da Homo sapiens?

Approfondiamo ora alcuni aspetti intervistando l’autore.

Professor Pievani, cominciamo col dire che dal punto di vista editoriale, un libro che tratta di quanto siamo imperfetti, e non in senso metaforico, è un tipo di narrazione particolare. Perché ha sentito la necessità di scrivere un intero libro sulle imperfezioni, analizzandole dal punto di vista scientifico?

Innanzitutto, il libro non vuole essere un elogio dell’imperfezione come già ce ne sono tanti in giro, perché il mio presupposto è sempre naturalistico e di studio, e due sono le ragioni fondamentali. La prima è il fatto che a me piacciono un sacco i lavori dove c’è un solo concetto, che può diventare una chiave di lettura per fenomeni diversi. La seconda è che non c’è nulla in letteratura. Studiando evoluzione ho incontrato molto spesso questo concetto di subottimalità, in cui le strutture più creative in natura sono ridondanti, con delle cose in più che non rispettano i canoni della perfezione strutturale e funzionale, e tutto questo non l’ho mai trovato messo a tema. Ho pensato, quindi, di fare una specie di “teoria di imperfezione”, cercando di contestare l’idea di imperfezione come errore, un effetto collaterale non desiderato, perché secondo me l’imperfezione è radicata nel processo evolutivo.

Nel libro lei parla molte volte del concetto di inutilità, che però è parte integrante dell’evoluzione in qualche modo. Come si fa a parlare di un concetto così ambiguo?

Se facciamo riferimento alla storia, è Darwin stesso che ha teorizzato questo: lui diceva che la natura “gronda di inutilità” e poi, se si va a vedere, il perché è chiaro: nell'evoluzione non ci sono cause finali e non c’è un processo necessariamente migliorativo. In natura ci sono moltissimi effetti collaterali, che portano ad avere strutture inutili, dunque l’inutilità è un prezzo da pagare per avere un adattamento. Se poi ci sono delle strutture che, è vero, sono inutili, ma non sono troppo costose da mantenere, la selezione naturale le tiene lì, e rimangono come una sorta di inerzia. Così funziona l’evoluzione, come un artigiano che riutilizza il materiale che ha, trovando un rimaneggiamento che funziona di volta in volta.

Lei parla di quanto sia pericoloso ragionare “con il senno di poi”, dal punto di vista scientifico. Però è molto difficile non leggere tutti gli eventi in un’ottica finalistica, come se fosse tutto parte del destino. Come si fa a proporre al grande pubblico l’idea che questa realtà è una delle tante che potevano verificarsi?

La spiegazione evoluzionistica ha un problema: spesso è controintuitiva. Ed è una spiegazione prettamente storica, cioè noi siamo presenti oggi, e con sguardo retrospettivo dobbiamo ricostruire quello che è successo nel passato. Questo è pericoloso, perché la nostra mente, sapendo come è finita la storia, tende a ricostruire il processo come se giustificasse il presente, come l’unico possibile fin dall’inizio. Ma questo pensare finalistico ci porta a credere che tutte le informazioni fossero presenti fin dall’inizio, e che debbano solo svolgersi: la stessa parola, “evoluzione”, vuol dire proprio questo. L’esercizio da fare, quindi, è controintuitivo: bisogna eliminare il “senno di poi”, immaginando di non sapere la fine della storia. Così ci si accorge che il passato era carico di molte possibilità diverse, e che l’esito non era scritto fin dall’inizio, ma era una possibilità.

Lei stesso pone alla fine del libro la domanda: “compreresti mai un’auto usata da Homo sapiens?”, per far riflettere sul fatto che le nostre imperfezioni si ripercuotono non solo nelle nostre vite, ma in quelle che ci seguiranno. Come si fa a diventare più coscienti del nostro ruolo?

Una cosa che sicuramente un filosofo della scienza può fare è togliere alcuni alibi. Un alibi classico è dare la colpa alla natura, e vederla come buona o cattiva, applicandole i nostri giudizi morali. Un altro alibi è connesso alla domanda senza senso “ma noi uomini siamo buoni o cattivi?”: i dati ci mostrano che abbiamo una natura ambivalente, capace dell'uno e dell’altro comportamento. Quindi, non si può più chiedere alla biologia qual è la causa di un comportamento; la biologia è un ingrediente, assieme a tanti altri. Ma se è così, le azioni sono sotto la nostra responsabilità, non si possono addebitare ai geni o alla natura, ma alle nostre scelte. Bisogna, poi, dare la consapevolezza che il gioco evolutivo che ci ha dato così tanto successo, rischia di diventare una trappola, perché noi adesso dobbiamo adattarci ai cambiamenti ambientali che noi stessi abbiamo indotto nell’ambiente, e questo gioco può essere molto pericoloso, perché veloce, difficile da controllare e bisogna esserne consapevoli. Oggi si parla di “nativi climatici”, cioè le generazioni native del riscaldamento climatico, pur non essendone state responsabili. Può darsi che queste generazioni ragioneranno con un paradigma alternativo al nostro. Secondo me, Greta non è un fenomeno casuale, ma un sintomo di qualcosa di molto profondo che sta accadendo.

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Matematica rock. Storie di musica e numeri dai Beatles ai Led Zeppelin
di Paolo Alessandrini
Hoepli Editore, 2019
pp. 256, € 14,90


Recensione e intervista di Luca Menichelli

Immagina di essere in uno stadio. L’attesa è finita, il pubblico attende l’avvio della musica. Improvvisamente dal palco si sente “tump tump clap... tump tump clap”. Senza indugio il pubblico segue l’invito e in pochi secondi all’unisono tutti si uniscono in una serie di fragorosi “tump tump clap...”. Sii sincero, l’hai fatto mentre leggevi queste righe, impossibile non venire travolti dall’intro di We Will Rock You dei Queen, una canzone che anche chi non è fan della band inglese conosce e apprezza. Quello che molti non sanno è il fatto che il successo di questo “semplice” passaggio musicale è frutto dell’applicazione, da parte di Bryan May – che forse non molti sanno essere astrofisico – dei numeri primi per trovare il riverbero adatto allo scopo. Siamo abituati a trovare applicazioni della matematica in ogni ambito, basti pensare ai frattali nelle verdure o alla successione di Fibonacci in molte configurazioni naturali solo per citarne alcuni, ma trovare bellezza nella matematica attraverso la musica rock è un’esperienza unica che ci viene regalata da Paolo Alessandrini nel suo saggio Matematica rock. L’autore nel libro concilia la sua passione per la matematica con quella per la musica d’autore. Attraverso aneddoti riguardanti i maggiori personaggi del rock internazionale, il libro mostra come grazie alla matematica siano stati possibili capolavori come, appunto, We Will Rock You. Come ci si può aspettare da un libro del genere, la narrazione è scorrevole e gli approfondimenti, malgrado trattino argomenti ritenuti ostici, sono facili da comprendere. Un libro consigliato a tutti, soprattutto agli amanti delle leggende immortali del rock. Abbiamo avuto il piacere di intervistare l’autore Paolo Alessandrini che, tra un’equazione e un accordo di chitarra, ha accettato il nostro invito.

La matematica è una materia da molti considerata ostica e barbosa. Potresti dirci per quale motivo una persona dovrebbe leggere, per diletto e non per studio, un libro proprio riguardante la matematica?

Perché la matematica vera assomiglia poco a quella cosa che abbiamo studiato a scuola. Vediamo spesso la matematica come uno strano mondo in cui si fanno calcoli, calcoli e calcoli, e nel quale vigono regole ferree imposte non si sa da chi né perché. Ma la matematica è un’altra cosa. È un grande gioco inventato nel corso dei secoli, grazie alla creatività e al genio di molti uomini e donne. Un gioco con le sue regole (come tutti i giochi), scelte però non per soffocare la fantasia dei giocatori, ma per rendere il gioco più bello. Per vincere, la cosa importante non è fare calcoli, ma scovare strutture nascoste, trovare l’ordine nel caos. Questa è la matematica che cerco di insegnare ogni giorno ai miei studenti e che ho voluto mostrare anche nel mio libro Matematica rock. Inoltre, questo libro non parla soltanto di matematica, ma contiene anche storie di rock: band, canzoni famose, testi enigmatici, leggendarie copertine di dischi. Vicende che, a sorpresa, accompagnano il lettore verso territori matematici interessanti, diversi da quelli che abbiamo esplorato a scuola. Nel libro si scopre come matematica e rock si assomiglino: in entrambi conta la libertà, la fantasia, la capacità di innovare, anche attraverso rivoluzioni e coraggiosi capovolgimenti. Molti grandi matematici del passato, come Rafael Bombelli, Cartesio e Leibniz sono state vere rockstar, perché hanno saputo scardinare le certezze del passato e introdurre una musica del tutto nuova.

Quanto è presente la matematica nella nostra vita quotidiana?

Il fatto è che il gioco matematico di cui parlavo prima può nascere in modo astratto, ma poi trova sempre mille collegamenti con la realtà. Come dico sempre, la matematica è ovunque. Potrei citare i numeri di Fibonacci e la sezione aurea, che affiorano nella riproduzione delle api, nella forma delle galassie, ma anche nella struttura di Firth of Fifth dei Genesis. Oppure il calcolo combinatorio, che nel libro esce dalle copertine dei Beatles e dei Coldplay. O ancora la topologia, branca della matematica che emerge dal più famoso disco dei Led Zeppelin. Se la matematica è così pervasiva, meglio non averne paura, no?

Progetti per il futuro?

Per adesso promuovere il mio libro Matematica rock attraverso presentazioni e conferenze-spettacolo. Un appuntamento importante legato al tour promozionale è la mia partecipazione al Festival della Scienza di Genova, nel cui programma figura una presentazione-spettacolo in cui espongo alcuni temi del libro con l’intervento di un chitarrista dal vivo. Mi piacerebbe portare questo math show nelle scuole, tra i giovani: un’occasione perfetta per divertire con la matematica e far conoscere un genere musicale così attraente e spesso poco conosciuto dai nostri ragazzi.
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