L’origine letteraria delle teorie pseudoscientifiche

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Il panorama della moderna Santorini reca ancora le tracce della spaventosa eruzione del 1600 a.C. © liorpt/iStock
In questa rubrica ci siamo occupati molte volte del rapporto tra scienza e letteratura: per parlare di autori e scrittori che hanno chiaramente distinto i piani del discorso, occupandosi di entrambi (da Galileo a Coleridge, da Lovecraft a Asimov); per documentare la vastità di fonti a cui in genere fanno ricorso gli autori di romanzi, racconti o componimenti poetici; per evidenziare l’importanza dell’immaginazione in ambito scientifico. Ora può essere utile spendere qualche parola sul fatto che molte teorie pseudoscientifiche (comprendendo nel discorso “scientifico” anche la ricerca storica), più che nascere da studi sperimentali malamente interpretati o da analisi errate di dati e documenti, derivano direttamente da suggestioni di tipo letterario.

Prendiamo, per esempio, la cosiddetta “teoria degli antichi astronauti”, che si riferisce alla possibilità che entità extraterrestri abbiano raggiunto il nostro pianeta nel passato, lasciando tracce più o meno tangibili del loro passaggio: tracce che sarebbero individuabili in particolari reperti archeologici, non spiegabili all’interno del contesto nel quale sono stati rinvenuti. C’è chi si spinge ad affermare che gli alieni avrebbero manipolato il codice genetico degli ominidi preistorici, cambiando il corso dell’evoluzione. Secondo molti sostenitori di questa teoria, inoltre, nei testi dell’antichità, soprattutto quelli religiosi, inclusa la Bibbia, non si parla di divinità, ma di alieni.

Se dovessimo basarci sulla lettura dei libri dedicati all’argomento dagli anni '50 del Novecento in poi, potremmo pensare che la discussione si stia svolgendo su un piano scientifico, per quanto improbabile e controverso. Tuttavia, così facendo trascureremmo l’elemento più importante, e cioè che la teoria degli antichi astronauti non è nata per mano di scienziati e di storici (più o meno eccentrici, più o meno eterodossi), ma ha avuto origine, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dall’intreccio fra le idee di un movimento spirituale, la teosofia, e la letteratura dell’epoca. E che i primi sbarchi di navicelle aliene nel passato sono rintracciabili in romanzi e racconti fantascientifici del periodo, fra cui Edison’s Conquest of Mars di Garrett Putnam Serviss, pubblicato nel 1898 (un vero e proprio sequel di The War of the Worlds di H. G. Wells, uscito l’anno prima), oppure The Red One di Jack London, edito postumo dalla rivista Cosmopolitan nell’ottobre del 1918.

Naturalmente, come ci ricorda Jules Verne, non sarebbe la prima volta che la letteratura, con le sue mirabolanti previsioni, anticipa la scienza. Il problema è che, negli ultimi cento anni, gli antichi astronauti hanno continuato a popolare soprattutto le pagine di romanzi e racconti (per non parlare di cinema e fumetti), per poi diventare patrimonio della pseudoscienza, senza mai raggiungere risultati concreti e convincenti sotto il profilo della ricerca. A meno che non si voglia ricorrere a delle motivazioni complottiste, che tuttavia non fanno parte del corretto modo di argomentare in ambito storico e scientifico.

Ed è proprio una delle teorie del complotto più tristemente note a essere nata su un piano esclusivamente letterario, quella legata ai Protocolli dei Savi di Sion, un fantomatico testo che ha iniziato a circolare all’inizio del Novecento. Tale documento avrebbe rappresentato la prova evidente che gli ebrei stavano cospirando in segreto per ottenere il controllo del mondo, come avevano fatto molte altre volte in precedenza. In realtà, si trattava di un palese falso, prodotto negli ambienti antisemiti russi, in gran parte costruito sulla base della trascrizione di vari testi letterari dell’epoca, fra cui Les Mystères du peuple (1849-1857) di Eugène Sue, Joseph Balsamo (1846-1849) di Alexandre Dumas, Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu (1864) di Maurice Joly e Biarritz (1868) di Hermann Goedsche. L’inattendibilità dell’opera venne presto dimostrata, in particolar modo da un’inchiesta sul Times, che nell’agosto del 1921 ricostruì in maniera dettagliata le fonti del falso documento. Nonostante ciò, il falso divenne uno dei punti di riferimento della tragica politica che portò ai campi di sterminio nazisti, e ancora oggi c’è chi pensa che si tratti di un documento vero.

Infine, non si può non citare la più famosa di tutte le invenzioni letterarie, poi trasformatasi in oggetto di discussione scientifica, cioè il racconto di Platone sul mitico continente di Atlantide. Ciò non significa che quanto narrato dal filosofo greco intorno al 360 a. C. non possa contenere elementi di verità. Il geologo inglese Richard Fortey, per esempio, ha ribadito che lo scenario più plausibile per comprendere il mito di Atlantide potrebbe essere l’eruzione di Thera. Una posizione analoga è stata espressa da Eric H. Cline, docente nel dipartimento di lingue e civiltà classiche del Vicino Oriente e direttore del Capitol Archaeological Institute della George Washington University. Nella sua storia dell’archeologia, Three Stones Make a Wall (2017), scrive tra l’altro: «Come molti altri archeologi, sospetto che, se c’è un benché minimo fondo di verità alla base del mito di Atlantide, probabilmente si tratti di Thera, detta anche Santorini, isola vulcanica greca che eruttò a metà del secondo millennio a.C.»

Ma, al di là di questo, resta il fatto che l’invenzione di Platone è puramente letteraria e che il mito di Atlantide è comprensibile solo all'interno del pensiero politico del filosofo greco, dove il termine “mito” assume uno specifico significato, come ha precisato Pietro Janni: «Per parlare di Atlantide bisogna per prima cosa sgomberare il campo da un equivoco sempre rinnovato, e non ci sono parole troppo forti per farlo; bisogna ribadire cento volte, metterselo bene in testa, che stando a quanto sappiamo è assolutamente improprio ed erroneo chiamare la storia dell’Atlantide 'leggenda’ o 'mito’; essa è tramandata in sostanza da un unico autore, Platone, che la riferisce come arrivatagli attraverso una vicenda romanzesca in cui compaiono poche persone, senza pretendere affatto che si tratti di una tradizione diffusa della quale si sia impadronita la fantasia popolare». Per questo è bene ribadire che Platone non solo è stato il primo a parlare di Atlantide, ma anche l’unico. Ciò non toglie valore, naturalmente, al fatto che Atlantide sia stata a lungo un’ipotesi scientifica, utilizzata soprattutto in geologia e storia naturale, e come tale vada studiata per comprenderne esattamente il significato storico nel corso dei secoli.

Chissà, forse in un lontano futuro, magari dopo qualche cataclisma naturale, o pandemia, o una distruttiva guerra, gli uomini, o coloro che dalla specie umana si saranno evoluti, andranno alla ricerca di un luogo chiamato Terra di Mezzo. Io, per sicurezza, già da tempo studio attentamente e leggo con altrettanto piacere gli atlanti de Il Signore degli Anelli.

Bibliografia

  • Ciardi M., 2017. Il mistero degli antichi astronauti, Carocci.
  • Ciardi M., 2021. Breve storia delle pseudoscienze, Hoepli.
  • Ciardi M., 2022. Benvenuti ad Atlantide. Passato e futuro di una città senza luogo, Carocci.
  • Janni P., 2004. Miti e falsi miti. Luoghi comuni, leggende, errori sui Greci e sui Romani, Dedalo.
  • Vidal-Naquet P., 2006. Atlantide. Breve storia di un mito, Einaudi.
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