Ecco il parere di Gianni Comoretto, astronomo associato all’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, dove sviluppa strumentazione elettronica per l’astronomia, e studia i processi di formazione stellare.
«In tutti i casi in cui si è potuto fare un’analisi seria, è risultato che le manifestazioni “allergiche” non sono correlate all’effettiva esposizione a campi elettromagnetici, ma alla convinzione di essere esposti. Ad esempio, in una prova si metteva il soggetto “allergico” vicino a una scatola che conteneva un apparecchio, acceso a distanza, e le manifestazioni allergiche comparivano anche se l’apparecchio era spento, o (più raramente, poiché nel dubbio la tendenza è a pensare sia acceso) non comparivano ad apparecchio acceso. Ciò non significa che le manifestazioni non siano reali, e anche abbastanza gravi. Avere un guaio del genere, oggi, significa che non puoi condurre una vita normale. Né si può obiettare “son tutte fissazioni”. In alcuni paesi, soprattutto in Nord Europa, dove la fobia dell’elettrosmog è stata più martellante, una frazione significativa della popolazione è “elettrosensitiva”, ha manifestazioni di questo tipo, anche se di solito non così drastiche. Ricordo in un documentario che un “elettrosensitivo” non poteva essere filmato, perché era sensibile ai campi della telecamera. Ma viveva in una casa non schermata, quindi era esposto a campi radio sicuramente maggiori di quelli generati da una telecamera a 3-4 metri. Altri elettrosensitivi non potevano avvicinarsi a un monitor, neppure a quelli moderni a basse emissioni, ma se il monitor (anche vecchio) veniva poggiato in una scatola di legno con finestra frontale (come se questo potesse schermare i campi magnetici) andava tutto bene».