La catena di Sant’Antonio

  • In Articoli
  • 24-11-2016
  • di Paola Dassori
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©Wikimedia
Quando riceviamo la solita mail “Condividi questa foto” o “Ecco come ho fatto a guadagnare 10.000 euro al mese lavorando due ore al giorno” e la cestiniamo con fastidio, ci troviamo di fronte ad un fenomeno antico.

Già durante la prima guerra mondiale, infatti, circolavano cartoline stampate con una “Preghiera per la Pace”, da ricopiare e rispedire, che all’epoca furono interpretate come propaganda nemica.

Fu solo nel 1934, però, che una vera ondata di fogli dattiloscritti che promettevano fortissimi guadagni in breve tempo a patto di ricopiare e inviare il messaggio ad un certo numero di persone, invase l’Italia. Mussolini diede un ordine perentorio a tutte le Questure e un apposito manifesto diffidò chiunque dal continuarne la diffusione, dichiarando la catena una truffa e minacciando di prendere provvedimenti contro i trasgressori.

Una simile “catena della felicità” risultava, infatti, assolutamente contraria alla politica del regime, che in quell’epoca si batteva per un “necessario e vitale posto al sole”. Qualcuno tentò di far includere la catena nella lista dei giochi permessi dallo Stato per far pagare anche su questo un’apposita tassa ma Mussolini non tornò sulla sua decisione.

La guerra, coi suoi disastri, pose fine alla cosa ma non per molto: nel 1951 la catena, ribattezzata “Catena di Sant’Antonio” dato che solitamente le lettere iniziavano con la frase “Recita tre avemarie a Sant’Antonio” fece ritorno e migliaia di fogli dattiloscritti tornarono a portare nuove liste di nomi e nuove speranze di utopistici guadagni. Non c’erano banche popolari, roulette o lotterie che potessero gareggiare con la mirabolante catena che garantiva a tutti i partecipanti un premio pari a 1024 volte la posta nel tempo limite di un mese.

“Inviate al primo nome della lista un vaglia o un biglietto di banca da cinquecento lire”, era spiegato nelle brevi istruzioni, “quindi scalate di un posto i nove nomi rimasti e mettete il vostro al decimo: poi fate due copie del nuovo foglio e datele a due amici disposti a fare altrettanto. Seguendo scrupolosamente queste istruzioni, entro un mese circa, attraverso i successivi passaggi da amici ad amici, quando il vostro nome avrà raggiunto il primo posto della lista, riceverete 1024 vaglia da lire cinquecento, pari ad un ammontare di 512.000 lire…”

Purtroppo, come tutti sanno, questo meccanismo era perfetto solo in teoria: anche ammettendo che l’intera popolazione italiana (all’epoca 40 milioni di persone) avesse partecipato inviando le fatidiche cinquecento lire, e si fosse raggiunto un montepremi totale di 20 miliardi, i fortunati che avrebbero ricevuto le 512.000 sarebbero stati soltanto 40.000: e gli altri 39.960.000 sarebbero rimasti a bocca asciutta...

Qualcuno giurava che dietro a tutto quel movimento di lettere ci fosse un undicesimo nome della lista, un misterioso personaggio ideatore del gioco per trarne da solo il maggior vantaggio: costui avrebbe inizialmente spedito diecimila lettere con il proprio nominativo al primo posto, e ricevuto il denaro sarebbe scomparso definitivamente e prudentemente dalla scena.

Col tempo la catena si modernizzò: la fotocopiatrice evitò le lunghe e noiose trascrizioni e, con l’avvento di Internet, la diffusione di questo genere di messaggi non ebbe più limiti.

Oggi in molti casi il messaggio iniziale è diffuso da pagine Facebook o da siti che guadagnano sui click e hanno quindi interesse a spargere notizie mirabolanti per aumentare i loro visitatori. Altre volte si tratta di persone in buona fede che, ricevuto un appello magari scaduto da anni (come un’urgente donazione di sangue per un bambino malato) lo condividono senza prendersi la briga di verificare, creando ulteriori danni; non è raro che messaggi ed auguri di persone ignare continuino ad arrivare per anni, ad esempio, ai genitori di un bambino morto per una grave malattia, rinnovando così il loro dolore.

Quindi, quando si riceve una di queste mail o si legge un drammatico appello su Facebook, la prima cosa da fare è informarsi e, appurato nella maggior parte dei casi che si tratta di una bufala, cestinare senza rimpianti.
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