Didattica a distanza: palliativo o opportunità

La pandemia da SARS-Cov-2 ha sconvolto svariati settori, causando numerose e profonde trasformazioni. Uno di quelli che ha subito fin dall'inizio le conseguenze più significative è stata la scuola. Il DPCM del 4 marzo 2020 ha sancito l'immediata sospensione delle attività didattiche in tutte le scuole di ogni ordine e grado del territorio nazionale, anche se alcune regioni avevano già anticipato la sospensione da alcune settimane. Decreti successivi hanno poi stabilito che la sospensione delle attività didattiche in presenza sarebbe perdurata per l'intero anno scolastico (e ancora molte incertezze restano sull'avvio del prossimo).

Per la scuola è stato un fulmine a ciel sereno: non si era mai verificata una situazione simile. Occorre dar merito al corpo docente che, ancora prima che giungessero indicazioni in tal senso da parte ministeriale, si è dato un gran da fare, spontaneamente e autonomamente, affinché gli studenti non venissero abbandonati a loro stessi. In maniera estemporanea, ciascuno adottando gli strumenti informatici che riteneva più opportuni, è stata infatti avviata la cosiddetta didattica a distanza. Lo stesso Ministero ha poi cercato di gestire tale attività, coniando anche l'acronimo DaD, oramai divenuto familiare.

Molto si è discusso sull'efficacia e l'opportunità della DaD e le posizioni, anche degli esperti, sono state piuttosto eterogenee. C'è stato chi, manifestando un palese scetticismo, ha decantato con toni nostalgici le insostituibili qualità della didattica in presenza. Così si è espresso, ad esempio, Alberto Asor Rosa:

io non credo che esista strumento pedagogico più straordinario, sia dalla parte dello studente sia dalla parte dell'insegnante, della classe. La “classe”! [...] Cos'è una classe? È un insieme più o meno discreto d'individui giovani, generalmente coetanei, che seguono l'insegnamento di un gruppo di docenti, diversi per conoscenze e formazione, ma fortemente assimilati fra loro dal compito che di volta in volta sono chiamati a svolgere. Sarebbe possibile raggiungere gli stessi risultati, rinunciando a questo sistema di rapporti? Io non credo.[...] La classe è un luogo fisico - ripeto: fisico - di rapporti, nel quale l'intersezione dei molteplici rapporti, cui ho fatto riferimento in precedenza, si verifica e vive. Vive: perché se si riducessero l'insegnamento e l'apprendimento ai loro valori puramente intellettuali, invece di crescere gli studenti sarebbero condannati a un'identità para-biologica estremamente elementare.

In una classe scolastica persino la pedatina che lo studente appioppa al suo compagno sotto l'ala protettiva del proprio banco, persino l'occhiata dell'insegnante che la percorre da cima a fondo per trasmettere un avvertimento, un suggerimento, un ammonimento, rappresentano materia costitutiva del sapere scolastico, mentre si forma, quando si forma per la possibilità concreta di essere e diventare un sapere. Insomma: la “comunità fisica” è un coefficiente indispensabile di una “comunità intellettuale” funzionante.[1]

Prima di lui, Alberto Melloni aveva scritto:

Un errore grossolano grava sulla discussione italiana sulla scuola e l'università ai tempi del Covid 19. Quello di chi crede che l'insegnamento a distanza, impiantato con eroico fai-da-te a fronte del trauma del distanziamento, coincida con la trasformazione digitale della formazione o almeno ne sia la premessa.

L'insegnamento a distanza, in realtà, è piuttosto obsoleto e ha varie criticità. Spesso entusiasma chi ha una concezione “trasmissiva” del sapere, immaginato come un pacco da recapitare via web, facendo parti eguali fra diseguali. Rende plastica la distanza fra i figli dei ricchi (con la loro stanzetta singola, la fibra, l'iPad e la carta di credito già pronta per andare a una università vera) e i figli dei poveri a cui il ministero è riuscito a far giungere un tablet la cui webcam racconterà una cucina affollata di fratelli e adorna di angosce (e l'approdo al mondo opaco delle università telematiche e dei corsi telematici nelle università vere). Demotiva la vocazione dell'insegnante perché gli dice che un video scaricabile e un po' di tecnologia interattiva possono rimpiazzare la maieutica educativa del “corpo (del) docente”. Avalla una riduzione “wikipediana” del sapere, ridotto a un tutorial video che somministra i come e i cosa e non riesce mai a interrompersi per domandare un perché.[2]

Si tratta naturalmente di considerazioni in parte condivisibili. In particolare, hanno purtroppo un fondamento di triste verità le considerazioni sul drammatico divario tra figli dei ricchi e figli dei poveri. Secondo alcune statistiche[3] ben un milione e 600mila studenti (su un totale di 8,3 milioni) non sono raggiunti dalla DaD.

Tuttavia chi ha espresso queste pesanti critiche nei confronti della DaD ha forse perso di vista una cosa. Penso che nessuno che si occupi seriamente di didattica abbia mai pensato per un solo momento che la DaD possa sostituire la tradizionale didattica in presenza. Chiunque abbia esperienza di insegnamento e conosca i ragazzi sa bene quanto sia importante il rapporto interpersonale “fisico”.

Premesso questo, però, non bisogna demonizzare la DaD ed è indubbio che senza gli attuali strumenti informatici e la buona volontà dei docenti la situazione delle scuole sarebbe stata ben più drammatica e milioni di ragazzi sarebbero stati davvero totalmente abbandonati.

Una cosa però deve essere chiara: DaD e didattica in presenza sono due cose diverse e non bisogna correre il rischio di equipararle. Questa distinzione deve essere chiara prima di tutto ai docenti. Non si può pensare di utilizzare la DaD nello stesso modo in cui si opera in presenza. Non si può pretendere di svolgere normalmente le proprie ore di lezione frontale, come se l'unica differenza fosse quella di trovarsi davanti a una webcam e un monitor anziché una classe di studenti in carne e ossa. Purtroppo, per esperienza diretta, so che alcuni colleghi fanno proprio questo. E, azzardo un'ipotesi, proprio questo può forse spiegare un curioso fenomeno che si sta verificando.

All'inizio della pandemia, e quindi all'inizio dei primi tentativi di DaD, gli studenti sembravano entusiasti della nuova iniziativa: ben 9 studenti su dieci promuovevano la DaD. Inoltre un buon 14% degli studenti delle superiori e il 22% di quelli della secondaria di primo grado assegnava un “ottimo” ai propri docenti, spiegando che non avrebbero potuto chiedere di meglio. Quasi il 60% assegnava un “buono”, perché, nonostante i problemi, i professori hanno fatto il massimo per limitarli[4]. Un sondaggio più recente ha invece ridimensionato il consenso[5]. Solo il 36% degli studenti ha valutato positivamente l'esperienza vissuta finora. Di questi, il 20,6% ha anche detto che è più che sufficiente la preparazione dei docenti. Mentre solo il 15,4% restante considera la DaD svolta come una “preziosa occasione per riscoprire l'importanza delle tecnologie e del loro servizio alla scuola e alla didattica”.

Personalmente penso che la DaD possa essere un valido strumento, da usarsi come alternativa nell'impossibilità della didattica in presenza o come utile integrazione, se impiegato però in maniera differente. Non si può pensare di costringere giovani studenti a fissare per ore un monitor, ascoltando l'insegnante che spiega, come se fossero in aula[6].

Occorre escogitare nuove strategie che stimolino di più i ragazzi e li coinvolgano in maniera più attiva. Una possibile soluzione, secondo me, può essere la strategia utilizzata nella cosiddetta flipped classroom ovvero la classe rovesciata, di cui avevamo parlato in un precedente intervento di questa rubrica[7]. Dopo aver proposto una certa problematica, cercando di stimolare la loro curiosità, si invitano i ragazzi a ricercare informazioni e conoscenze su quel determinato argomento. Le nuove tecnologie offrono straordinarie risorse in tal senso. Ovviamente il docente deve dare indicazioni e, soprattutto, insegnare ai ragazzi a selezionare le fonti attendibili da quelle farlocche (e questo non è certo un obiettivo didattico secondario). Infine, gli incontri in videoconferenza possono servire per una discussione, rielaborazione e, perché no, valutazione di quanto fatto dai ragazzi. Il ruolo dell'insegnante risulta profondamente modificato: non è più un semplice trasmettitore della conoscenza, bensì un tutor, una guida, un consulente che stimola le capacità dei ragazzi, indirizzandole e correggendole opportunamente.

Io ritengo che, se usata in modo proficuo, la DaD possa essere una buona occasione, anche per ripensare in profondità la didattica in generale. La scuola italiana ha bisogno di innovazione. Ovviamente l'innovazione non può essere solamente tecnologica. Non basta usare il PC e la rete per dire di aver fatto innovazione. Ci vuole un profondo ripensamento metodologico e la DaD, in tal senso, può rappresentare una preziosa e inaspettata opportunità per attuarlo.

Note


1) A. Asor Rosa, “Scuola, elogio della classe”, la Repubblica, 7 maggio 2020: https://tinyurl.com/yafwx9wu . Asor Rosa ha anche sottoscritto un appello in tal senso, insieme a Massimo Cacciari e altri 14 intellettuali: M. Cacciari, “La scuola è socialità. Non si rimpiazza con monitor e tablet”, La Stampa, 18 maggio 2020: https://tinyurl.com/y74dpy68
2) A. Melloni, “Lezioni online e didattica a distanza: i limiti della scuola digitale”, la Repubblica, 16 aprile 2020: https://tinyurl.com/ycssvxo5 ;
3) A.D. Ficara, “DaD: mancano all'appello un milione e 600mila studenti”, 29 marzo 2020: https://tinyurl.com/yawwfek5 ;
4) P. Almirante, “9 studenti su 10 promuovono i loro prof e la didattica a distanza”, La Tecnica della Scuola, 11 aprile 2020: https://tinyurl.com/y8yohzee
5) A. Giuliani, “La didattica a distanza non dà emozioni, la metà degli studenti è nostalgico della classe vera”, La Tecnica della Scuola, 24 aprile 2020: https://tinyurl.com/y8usl7mc
6) “Perché le videochiamate sono sfinenti”, Il Post, 11 maggio 2020: https://tinyurl.com/y737fg97 ;
7) S. Fuso, “Tullio De Mauro e l'insegnamento capovolto”, Query n. 28-VII, inverno 2016: https://tinyurl.com/yaykomkv .
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