Voti sì o voti no? Il problema della valutazione a scuola

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© tiero/iStock
In occasione della fine dell’ultimo anno scolastico, diverse testate giornalistiche si sono occupate del liceo scientifico “Giuseppe Peano” di Roma. In due classi prime della scuola romana è stata infatti intrapresa una singolare sperimentazione che ha previsto l’eliminazione dei voti nel corso dell’anno. Le valutazioni numeriche sono state infatti utilizzate solamente alla fine dei due quadrimestri (si tratta di un obbligo di legge).

Al posto dei voti, agli studenti sono stati forniti suggerimenti su come migliorare le proprie conoscenze e competenze. Inoltre ai ragazzi è stato insegnato ad autovalutarsi, rendendoli consapevoli di ciò che era andato male nelle singole verifiche. Il giudizio complessivo, concordato tra docenti e allievi, veniva poi riportato sul registro al posto del tradizionale e sintetico voto numerico.

Le due nuove classi prime sono state denominate “sezioni finlandesi” in quanto il modello che ha ispirato la sperimentazione è il sistema scolastico del paese scandinavo, da molti anni eccellenza nelle classifiche scolastiche internazionali.

Gli studenti iscritti alle due classi sperimentali erano inizialmente 60. A fine anno sono arrivati in 59 poiché uno ha cambiato scuola. Nessuno studente è stato bocciato e inoltre il numero complessivo delle assenze durante l’anno è risultato essere inferiore di un terzo rispetto a quello delle altre classi tradizionali dello stesso liceo.

Il liceo Peano non è comunque né l’unico né il primo ad aver intrapreso una simile sperimentazione. In passato altre scuole italiane avevano già fatto altrettanto: per esempio, il liceo scientifico “Copernico-Luxemburg” di Torino, l’istituto “Marco Polo” di Firenze, il liceo “Stanislao Cannizzaro” di Palermo, il liceo scientifico “Piero Bottoni” di Milano, il polo scolastico “Alessandro Volta” di Piacenza e altri.

Se in Italia fa ancora notizia, all’estero l’assenza di voti è in molti casi la norma. Nella citata Finlandia, gli studenti non ricevono voti e non possono essere bocciati fino all’età di 13 anni. Per chi ha difficoltà sono previsti aiuti individuali e la maggiore preoccupazione è il benessere degli studenti. A tale scopo sono obbligatorie pause di 15 minuti tra le lezioni e non vengono assegnati compiti al di fuori della scuola. La Svezia ha un sistema simile fino all’età di 12 anni. Anche in alcuni stati americani vengono adottati metodi didattici analoghi.

I risultati sono stati in generale positivi e le scuole che hanno intrapreso questi percorsi non sono tornate indietro. I momentanei insuccessi degli studenti non vengono stigmatizzati e la filosofia che ispira queste sperimentazioni è sintetizzabile negli slogan «Fallire dimostra che ci stai provando» e «Sbagliare è la chiave per avere successo».

Ovviamente tali scelte hanno suscitato dibattiti talvolta piuttosto accesi, anche in ambito politico. Da un lato c’è chi difende l’eliminazione del voto, dall’altra chi sostiene la necessità che gli studenti si abituino a essere valutati e a sottoporsi al giudizio altrui, come inevitabilmente capiterà loro nella vita, al di fuori della scuola. In entrambe le posizioni c’è qualcosa di vero.

Innanzitutto è bene ricordare che la scuola, almeno quella italiana, rilascia titoli di studio con valore legale e quindi un controllo dei risultati e una valutazione in uscita sono necessari. In ogni caso nessuno ha mai sostenuto di voler eliminare la valutazione: si tratta semplicemente di stabilire le migliori modalità per attuarla.

Personalmente, in molti anni di insegnamento, la prima cosa che dicevo ai miei studenti, il primo giorno di lezione, è che il voto è solo uno strumento e non un fine: il vero fine della scuola è l’apprendimento e la formazione. Il voto è solo un modo sintetico per esprimere il livello raggiunto. E, una volta fuori dalla scuola, i voti ottenuti conteranno ben poco, mentre sarà fondamentale ciò che ogni studente sarà diventato. Chiunque conosca un po’ i ragazzi, però, sa benissimo quale impatto hanno i voti su di essi (…e sui genitori!) e come non sia facile per loro tenere sempre presente la distinzione tra strumento e fine.

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Il diploma di maturità rilasciato ad Albert Einstein dal liceo di Aarau, in Svizzera. Contrariamente a una diffusa leggenda, Einstein era un ottimo scolaro: in quel sistema di punteggio, infatti, 6 è il voto più alto e 1 il più basso © Wikimedia Commons/Pubblico Dominio
Diversi esperti si sono pronunciati a favore dell’eliminazione dei voti in itinere. Per esempio, Cristiano Corsini, professore ordinario di pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre, ha dichiarato: «Il voto nella scuola italiana è obbligatorio a fine quadrimestre e può essere giusto che ci sia. Ma non racconta quello che hai appreso, quello che puoi ancora apprendere e soprattutto come puoi farlo. La valutazione ha una funzione educativa. Quando stiamo dentro il processo, se lo scopo è migliorare l’apprendimento, lo strumento voto – in itinere – può essere un errore di valutazione dell’insegnante»[1]. Il docente sottolinea inoltre le positive ricadute che l’eliminazione dei voti in itinere comporta sul piano didattico: «In classe c’è un clima più disteso e maggiore responsabilizzazione da parte degli studenti. Si stabilisce una proficua alleanza con i genitori. Si abbassa il clima tossico e competitivo (negativo) [...] Nel momento in cui i voti sono sospesi ma arrivano solo a fine quadrimestre gli studenti cooperano e si impegnano di più. E vanno più volentieri a scuola»[2].

Quest’ultimo non è un aspetto trascurabile se pensiamo che, secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), la maggioranza degli adolescenti non ama la scuola. Solo il 13% di loro (con valori leggermente maggiori per le ragazze e per i più piccoli) dichiara di apprezzare la scuola, percentuale che scende drammaticamente al 6% tra i quindicenni. Inoltre, circa il 50% degli undicenni si sente molto stressato dagli impegni scolastici, percentuale che cresce fino al 60% e al 78% rispettivamente nei ragazzi e nelle ragazze di 15 anni[3].

Nessuno nega che apprendere sia faticoso e richieda impegno e sacrificio. Però sicuramente è necessario intraprendere tutte le possibili iniziative che mettano in evidenza gli aspetti positivi della formazione rispetto a quelli negativi. In fin dei conti molti ragazze e ragazzi, al di fuori della scuola, intraprendono spontaneamente percorsi formativi in campo sportivo, musicale o altro, affrontando indubbiamente sacrifici, che sono però ampiamente compensati dalla soddisfazione che essi provano nel progredire in un certo campo e dalla motivazione che li spinge. In tali percorsi non ricevono voti, anche se vengono in qualche modo comunque valutati. Qualcosa di simile occorrerebbe farlo a scuola, ovvero lavorare molto sulle motivazioni, facendo comprendere agli studenti l’importanza della formazione e mettendo in evidenza il piacere e la soddisfazione che da essa possono derivare. In tal modo qualsiasi tipo di valutazione, con voti o senza, diventerà parte integrante e naturale del processo formativo senza creare stress e ansia da prestazione. Come sempre però un ruolo fondamentale è svolto dagli insegnanti che devono far vivere allo studente il momento della valutazione (comunque essa venga effettuata) non come un giudizio, una sentenza o addirittura una punizione, bensì una fase importante del percorso didattico che va a beneficio dello stesso studente.

Note

1) Forte, E., 2024. “Giusto abolire i voti a scuola, creano un clima tossico e competitivo”, in La Stampa, 1 luglio
2) Ibidem
3) Istituto Superiore di Sanità, 2023. "Gli adolescenti italiani dopo la pandemia nella fotografia dell’ISS”, Comunicato Stampa N°08/2023

SILVANO FUSO è dottore di ricerca in scienze chimiche, docente di chimica e si occupa di didattica e divulgazione scientifica. Collabora con diverse riviste e siti Internet e ha pubblicato numerosi libri. È socio effettivo del CICAP; il suo sito si trova a: www.silvanofuso.it
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