Si narra che esista un Centro Raccolta Leggende Metropolitane

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  • 13-11-2020
  • di Paolo Toselli
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Una leggenda classica, la Bionda ruba rene.
Da decenni mi occupo di argomenti che spaziano dalla psicologia della testimonianza, alla percezione visiva, alla trasmissione dell'informazione, applicati in generale alle tematiche dell'“insolito”. Oltre a raccogliere anche articoli sulle “voci” (“notizie” brevi, poco verificabili, di solito infondate, che nascono da un processo di discussione collettiva, in inglese “rumors”), all’inizio degli anni '80 acquistai il libro di Edgar Morin Medioevo moderno a Orléans che analizzava da un punto di vista sociologico la diceria diffusasi in Francia nel 1969 secondo cui nei camerini di alcuni negozi di abbigliamento della cittadina d’oltralpe scomparivano ignare ragazze per essere avviate alla “tratta delle bianche”. Poi fu la volta del saggio di Jean-Noël Kapferer Le voci che corrono. Queste e altre letture mi fecero intuire l’importanza di un fenomeno emergente, di cui in Italia si iniziò a prendere coscienza a partire dal 1988. Le hanno chiamate “urban legends”, da noi tradotto come “leggende metropolitane”, termine ormai entrato a far parte del linguaggio comune, anche se sarebbe più corretto parlare di “leggende contemporanee”, visto che la loro ambientazione non necessariamente è la metropoli, né tantomeno vengono raccontate solo nelle grandi città.

Le leggende metropolitane sono un genere narrativo abbastanza definito: si tratta di storie che hanno protagonisti dei nostri giorni, ma sfuggenti, anonimi, che, come le “voci” di cui sopra, nascono da discussioni collettive e circolano in modo incontrollato, mescolando elementi reali con alcuni verosimili e altri decisamente falsi.

Queste leggende possono presentare elementi comici, ma è l’angoscia a prevalere. Esse esprimono sovente l’inquietudine, la paura prodotta in noi dall’“altro”, il diverso, lo straniero, la novità. Danno un senso a fatti socialmente importanti che non hanno un’interpretazione chiara o accettata. Il messaggio trasmesso è di solito conservatore. Il loro racconto è in qualche modo un toccasana, una forma particolare di esorcismo.

Essendo all’epoca in contatto con studiosi che in Europa piuttosto che negli USA avevano iniziato ad occuparsi di “voci” e poi di leggende urbane e constatando che loro stessi si stavano organizzando in istituzioni dedite al loro studio, decisi, assieme a una decina di persone che già conoscevo e sapevo interessate, di formalizzare anche per l’Italia quest’attività. Fu così che nel settembre 1990 fondai il Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee, in sigla CeRaVoLC, finalizzato a coordinare, a livello nazionale, le attività di raccolta dei dati sul tema, favorire la circolazione di una corretta informazione sull'argomento e promuovere lo studio del fenomeno.

All’inizio la raccolta delle “storie” avveniva quasi esclusivamente attraverso la registrazione o la trascrizione dei racconti orali. Poi abbiamo utilizzato anche una sorta di “questionario conoscitivo del folklore moderno” in cui venivano elencate sinteticamente alcune leggende contemporanee e si chiedeva se erano note e, in caso di risposta affermativa, di raccontare le storie. Di conserva, si è cercato, grazie anche a vari collaboratori che via via si sono succeduti, di monitorare la stampa, soprattutto i quotidiani e i settimanali. L’attivazione di una casella postale, di un sito internet e di una mailing list è stata utile per farci conoscere, ricevere numerose informazioni su nuove e vecchie leggende, ed instaurare una discussione sulle stesse.

Da ricordare i vari incontri e scambi di materiale e opinioni con lo storico Cesare Bermani e l’antropologo Marino Niola, ma soprattutto con Marisa Milani, docente di letteratura delle tradizioni popolari all'Università di Padova e presidente del Gruppo Veneto del CICAP, scomparsa prematuramente anni fa. Quest’ultima è stata probabilmente la prima a introdurre nei suoi corsi l’argomento, tant’è che nell’autunno 1992 ci ha permesso di collaborare somministrando ai suoi studenti il nostro questionario. Parallelamente, grazie a un analogo lavoro di ricerca sul campo, da antesignana ha prodotto il primo database informatizzato sulle leggende contemporanee con oltre 700 schede suddivise per categoria, di cui conserviamo copia nei nostri archivi. Da lì ha preso avvio anche il nostro supporto con consulenze generali e bibliografiche nella stesura di numerose tesi universitarie sulle leggende metropolitane presentate in vari atenei d’Italia.
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Illustrazione della leggenda L'autostoppista fantasma.

Nell’estate 1993 mi ritrovai intervistato sul settimanale L’Espresso e poco dopo un responsabile di uno dei maggiori gruppi editoriali di casa nostra si interessò ai contenuti dell’articolo e mi contattò per valutare la possibile redazione e pubblicazione di un libro a mia firma, in alternativa alla traduzione di un testo americano di cui avevano già acquistato i diritti. Da questa concatenazione di eventi, nasceva il mio primo libro La famosa invasione delle vipere volanti (Sonzogno, 1994). L’altro saggio, che da noi non ha mai visto la luce, si intitolava The Baby Train and Other Lusty Urban Legends ed era scritto nientemeno che da Jan Harold Brunvand, docente presso l’Università dello Utah, da tutti considerato una delle massime autorità in fatto di leggende metropolitane. Nello stesso periodo ebbi l’opportunità di partecipare al seminario internazionale sulle leggende contemporanee organizzato a Parigi dall’International Society for Contemporary Legend Research, con una relazione sulle voci che avevano percorso l’Italia a proposito di presunti rapimenti di bambini per il mercato clandestino degli organi. Un’esperienza unica in cui mi sono potuto confrontare con oltre una trentina di studiosi provenienti da vari continenti.

Col passare degli anni molti giornalisti fiutarono un argomento succoso, dedicando lunghi articoli a queste “storie improbabili raccontate come vere”. Oltre alla pubblicazione di altri libri che hanno contribuito a far riconoscere al grande pubblico l’argomento come genere narrativo ben definito, alle leggende metropolitane, in quanto tali, sono stati dedicati programmi radiofonici, format televisivi e anche pièces teatrali. Parallelamente, si è diffusa la moda di utilizzare la “leggenda metropolitana” per indicare una bufala, una battuta scherzosa, una diceria, un pettegolezzo, insomma qualcosa di falso, tutt’altro che vero. Si tratta di una semplificazione fuorviante, sempre più spesso attuata dai mezzi di informazione ed entrata a far parte del linguaggio comune, che giustifica un atteggiamento generico di discredito e di denigrazione nei confronti di coloro che credono in queste storie, soggetti ignoranti e privi di senso critico. Ma sovente sono proprio le persone istruite, razionali, che rivestono incarichi di responsabilità, i maggiori portatori e diffusori di leggende metropolitane. Lungi dall’essere storie insignificanti sono al contrario narrazioni piene di significato, che vale la pena di studiare e comprendere. risalendo la catena con cui si è formata e tramandata una leggenda. Ci si muove tra una sorta di indagine poliziesca e di approfondimento che può utilizzare vari approcci: da quello storico, a quello sociologico, a quello folkloristico o antropologico.

Ogni tanto alcune leggende si trasformano in fatti di cronaca, come il caso della moglie dimenticata in autostrada. Nell’agosto 1990 un tizio parte dall’Autogrill di Orte, vicino a Viterbo, e si accorge al casello di Cantù, dopo 500 km., che la moglie seduta sui sedili posteriori non c’era più. E’ un classico del genere, ma andando alla ricerca delle fonti sono riuscito a parlare con uno dei poliziotti della Stradale che aveva fatto la colletta alla signora per pagarle il treno per Milano, oltre che con una parente della malcapitata. Il fatto è successo veramente. Dimenticata o abbandonata? Vai a saperlo... L’anno dopo, lo stesso racconto spuntò in Toscana, ma era un’invenzione giornalistica.

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Poster Convegno di Torino nel 2004.
Ricordate la raccolta dei codici a barre per ottenere in cambio una sedia a rotelle per disabili? Le prime notizie arrivano dalla Francia a partire dal 1982 per diffondersi poco dopo anche da noi. A Torino scopro che l’Istituto Maria Ausiliatrice fungeva da centro di riferimento per la raccolta, ma nessuno sapeva a chi rivolgersi per attuare l’agognato baratto. Caso vuole che vengo contattato da un’agenzia pubblicitaria che stava organizzando l’allestimento di una mostra sul commercio e il codice a barre. Erano interessati a ottenere la “montagna” di codici a barre che le suore dell’Istituto religioso avevano raccolto. In cambio l’Istituto Nazionale per la Diffusione della Codifica dei prodotti, promotore della mostra, era disponibile a donare veramente una carrozzella: un fatto eccezionale in quanto l’Indicod ha dichiarato più volte che queste raccolte non sono avallate da nulla di ufficiale e rientrano nel grande campionario dei misteri contemporanei. Così nove scatoloni dal peso complessivo di 111 chili, colmi di bollini meticolosamente ritagliati in anni e anni di “accaparramento”, sono arrivati a Milano ed esposti in due teche all’interno della mostra storica Il cammino del commercio, dal baratto al codice a barre, tenutasi nel novembre 1991 presso l’ex Fiera campionaria. Non era mai capitato che una leggenda, spiegata e illustrata in quanto tale grazie anche a un testo da noi predisposto, fosse rappresentata in una simile manifestazione. Non solo: l’ente organizzatore ha autorizzato all’Istituto un acquisto pari a un milione e mezzo di lire che le religiose hanno speso in attrezzi per la ginnastica degli anziani.

E visto che siamo in tema, merita ricordare che nel giugno 2001, per la prima volta in Italia, le leggende metropolitane diventano soggetto di una mostra presso il museo etnografico C’era una volta di Alessandria, allestimento a cura del CeRaVoLC. Si trattava di rendere visibile l’invisibile, concretizzare delle storie e il successo della manifestazione ha dimostrato che c’eravamo riusciti, tant’è che l’evento è stato riproposto, con continui aggiornamenti, anche in anni successivi.

Tra l’altro, per la serie “quando la realtà supera la leggenda”, la città di Alessandria, quasi a sfatare la sentenza di Umberto Eco ormai consegnata al mito dei “pochi clamori tra la Bormida e il Tanaro”, si trova ad avere tra i suoi abitanti, oltre al sottoscritto, altre due figure di rilievo che si sono occupate di leggende metropolitane. Lo scrittore e critico cinematografico Danilo Arona che, oltre a essere tra i fondatori del CeRaVoLC e aver dato alle stampe con l’editore Costa & Nolan (lo stesso che ha pubblicato in Italia due libri di Brunvand sul tema) il saggio Tutte Storie, distribuito nelle librerie nell’estate 1994 in contemporanea al mio primo libro (coincidenza nella coincidenza), ha plasmato proprio dalla leggenda metropolitana dell’autostoppista fantasma il suo personaggio feticcio, Melissa, protagonista di alcuni romanzi. Ma non è finita, perché alessandrina è anche l’antropologa e docente universitaria Laura Bonato che ha inserito l’argomento nei suoi corsi e, tra l’altro, ha pubblicato il volume Trapianti, sesso, angosce (Meltemi, 1998).
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Illustrazione della leggenda Il ragno nel tronchetto.

Ritengo l’analisi delle leggende contemporanee un settore chiave della ricerca sociologica e sul folklore moderno. Anche solo diventare consapevoli di questo folklore è una rivelazione in sé, ma superare questo stadio per paragonare le storie, chiarire i loro temi ricorrenti e metterli a confronto con altri aspetti del patrimonio culturale, può aiutare a penetrare più a fondo lo stato della civiltà in cui viviamo. Anche per questo, nel novembre 2004 il CeRaVoLC ha organizzato a Torino assieme al CICAP Piemonte il primo convegno internazionale sulle “voci, bufale e leggende metropolitane nell’era di internet”, una manifestazione unica nel suo genere che ha radunato tutti i massimi esponenti della materia sia italiani che europei, i cui interventi sono stati raccolti nell’antologia curata da Stefano Bagnasco e il sottoscritto Le nuove leggende metropolitane (Avverbi, 2005). L’evento, che ha ottenuto un rilevante successo di pubblico a cui si è affiancato un notevole interessamento dei mezzi di informazione, ha rappresentato un importante momento di confronto e di divulgazione, e un primo passo per far riconoscere l’importanza del fenomeno.

Grazie al puntiglioso lavoro dei componenti e dei collaboratori del Centro, tra cui vorrei citare Paolo Fiorino e Roberto Labanti, è stato costituito un archivio documentale unico in Italia e composto da libri, riviste, pubblicazioni varie, ma soprattutto migliaia di ritagli e lettere, messaggi elettronici e registrazioni di racconti orali. Merito di quest’attività, tutta incentrata sul volontariato, è l’aver evitato il rischio che tale materiale andasse irrimediabilmente perso.

Le voci infondate e le dicerie diffuse negli ultimi decenni a proposito del traffico clandestino di organi umani rappresentano uno dei dossier più voluminosi presenti in archivio, di cui la leggenda della “bionda rubarene” rappresenta un must. Un po’ di anni fa, ebbi modo di conoscere anche due giovani, residenti nel nord Italia, che, loro malgrado, erano stati additati da amici e conoscenti come vittime della ragazza conosciuta in discoteca che li aveva lasciati con una vistosa cicatrice e un rene in meno. Nulla di più falso, ma la smentita non è stata semplice. Altrettanto materiale è stato raccolto sulle storie di rapimenti di bambini che hanno alimentato numerose leggende metropolitane in tutto il mondo come quella nostrana della “zingara rapitrice”. Di tutt’altro genere, ma non meno consistente, la documentazione sulle apparizioni di felini misteriosi (noti nel mondo anglosassone anche come “alien big cats”) che vagherebbero nelle nostre campagne facendosi fotografare e lasciando tracce, ma che nessuno riesce a catturare. Così come le narrazioni di lanci da elicotteri di vipere, ma anche lupi, che attuerebbero di nascosto alcune organizzazioni ambientalistiche. E poi le cosiddette leggende di guerra, che hanno nutrito le nostre menti anche a seguito della tragedia del crollo delle Torri Gemelle nel 2001, ma anche Il filone che può essere raggruppato nella categoria “sesso e scandalo”: gli amanti incastrati (tra l’altro la rete negli ultimi anni ha reso “visibile” la narrazione con alcuni video, di solito originati nel continente africano, che mostrerebbero la coppia indissolubilmente unita trasportata all’ospedale o dallo stregone di turno) e la sposa abbandonata sull’altare. Senza dimenticare eventi che stanno in bilico tra realtà e fantasia come le rapine con ipnosi.

Poco più di due anni fa, grazie al fattivo contributo di Giuseppe Stilo e Sofia Lincos, il nostro sito (leggendemetropolitane.eu) si è completamente rinnovato cercando di essere un punto di riferimento costante e affidabile per chi è incuriosito da questo fenomeno complesso, sempre in mutamento e che ogni giorno produce novità sorprendenti. L’occasione ci ha permesso anche di rendere per la prima volta disponibili online e scaricabili gratuitamente le pubblicazioni da noi prodotte a partire dal 1991.

Nel tempo le leggende metropolitane hanno anche subito delle mutazioni. Da qualche anno sono iniziate a circolare in rete strane storie dai contenuti inquietanti. Solitamente si propagano tramite e-mail, messaggi WhatsApp, immagini, brevi video o file audio. Si chiamano “creepypasta” e per molti sono l’ultima generazione di “urban legends”. Il termine deriva dall’inglese “copypaste”, neologismo riferito a storie generalmente anonime che vengono copiate (copy) e incollate (paste) su vari siti, blog, forum e social network. Nel caso specifico, “copy” è stato sostituito con “creepy” (spaventoso, che fa paura) per sottolineare la volontà di impressionare e scioccare il lettore. I temi sono ricorrenti, quali entità misteriose, videogiochi maledetti, computer e telefonini infestati. Sono caratterizzate dalla velocità con cui si diffondono e la facilità di divenire immediatamente virali. Sovente non hanno autore, ma si tratta di storie immaginarie originate spesso in alcuni forum specifici. Ad esempio, uno di questi è responsabile della creazione di “Slenderman”, una delle personificazioni più inquietanti di questo genere, dedita di solito a rapire bambini e adolescenti, nata per mano di Eric Knudsen a fronte di un concorso fotografico. È questa la nuova frontiera? Forse sì, anche se ad esorcizzare le nostre paure, ma non solo, ci sia consentito pensare che continueranno a esistere le vecchie, classiche leggende metropolitane.

Avremmo voluto festeggiare i trent’anni di attività del CeRaVoLC, un traguardo non scontato, con un nuovo convegno e altre manifestazioni, ma l’attuale situazione ci ha suggerito di rimandare a tempi migliori. Con l’auspicio di ricevere nuovi contributi e supporto anche dai lettori di Query, mi congedo con una frase di Umberto Eco, tratta dal numero speciale del 2001 della rivista Nuova Alexandria, da estendere a tutti quanti noi: “Alessandrini, non abbiate paura delle leggende, quando non inducono alla superstizione”.
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