DaD ante litteram - Ricordo di uno straordinario esperimento didattico

«Senza la DaD l’alternativa era l’abbandono. Il problema non è stato la DaD ma arrivare alla DaD con un modello vecchio, mettendo in mezzo un pc».

Sono parole del Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, pronunciate durante l’iniziativa “La scuola dalla DaD al futuro” su Repubblica.it[1].

Già in un precedente numero[2] di questa rubrica ci eravamo occupati della DaD (Didattica a Distanza), cercando di metterne in evidenza limiti e opportunità. Il tema è quanto mai attuale, visto che anche l’anno scolastico appena concluso si è svolto in buona parte a distanza, a causa della persistente pandemia. La discussione sulla DaD è naturalmente proseguita e prosegue tuttora, con la contrapposizione tra suoi sostenitori e oppositori.

Al di là della discussione, che vede sicuramente valide ragioni da entrambe le parti, noi vogliamo ricordare un esempio straordinario di DaD, che ha interessato il nostro Paese negli anni Sessanta e che purtroppo molti hanno dimenticato, e il suo principale protagonista. Si tratta della trasmissione Non è mai troppo tardi, mandata in onda dalla RAI tra il 1960 e il 1968, prima sull’unico canale nazionale e poi sul Secondo Programma. (Tra l’altro, lo stesso titolo di questa rubrica si ispira proprio al celebre programma).

Protagonista di questa storica trasmissione fu Alberto Manzi[3]. Nato a Roma il 3 novembre 1924 e morto a Pitigliano (GR) il 4 dicembre 1997, Alberto Manzi fu un personaggio davvero straordinario. Si diplomò contemporaneamente all’Istituto Magistrale e all’Istituto Tecnico Nautico, successivamente si iscrisse al corso di laurea in Scienze Naturali presso l’Università La Sapienza di Roma. Interruppe gli studi per andare in guerra e nel 1946 iniziò a insegnare presso l’Istituto di Rieducazione e Pena “Aristide Gabelli” di Roma. Nel frattempo, si laureò in Biologia, si iscrisse quindi alla Facoltà di Magistero e nel 1950 si laureò anche in Pedagogia e Filosofia. Successivamente si specializzò in Psicologia e, nel 1953, diresse la Scuola Sperimentale dell’Istituto di Pedagogia della Facoltà di Magistero della Sapienza.

L’anno seguente abbandonò l’incarico universitario per prendere servizio come maestro elementare presso la scuola “Fratelli Bandiera” di Roma. La sua scelta fu motivata dal desiderio di svolgere direttamente “sul campo” ricerche di psicologia didattica. Nello stesso anno, su incarico dell’Università di Ginevra, intraprese diversi viaggi nella zona orientale della Foresta Amazzonica. Scopo dei viaggi era quello di compiere ricerche didattiche sui nativi e innalzare il loro livello di istruzione, interessandosi fortemente anche alle loro problematiche socioeconomiche. Questo suo impegno gli attirò le antipatie del governo peruviano che lo accusò di essere legato ai movimenti rivoluzionari di Che Guevara. Nel frattempo, pubblicò diversi libri per ragazzi. Tra questi il più famoso è Orzowei (1955), da cui fu tratta l’omonima serie televisiva (Orzowei, il figlio della savana), che ebbe grande successo negli anni Settanta nella TV dei ragazzi.

Nel 1958, con il sostegno del Ministero della Pubblica Istruzione, la RAI lanciò un progetto pilota intitolato Telescuola. Scopo del programma era quello di consentire il completamento del ciclo di istruzione obbligatoria ai residenti in zone prive di scuole secondarie. Il programma ebbe un notevole successo e raggiunse i 4 milioni di ascolti giornalieri.

L’idea di realizzare un programma dal titolo Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta nacque dalla collaborazione tra Alberto Manzi, Oreste Gasperini e Carlo Piantoni. Venne prodotto dalla RAI in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione, iniziò le trasmissioni il 15 novembre 1960 e sopravvisse fino al 10 maggio 1968, mandando in onda 484 puntate, tutte condotte da Alberto Manzi.

Il ruolo educativo e sociale del programma fu straordinario. In un Paese dove il tasso di analfabetismo era preoccupantemente elevato, è stato stimato che grazie alle lezioni a distanza di Alberto Manzi, quasi un milione e mezzo di persone riuscì a conseguire la licenza elementare. Molti altri Paesi imitarono l’Italia realizzando programmi analoghi.

Come dichiarò in un’intervista lo stesso Manzi[4]: «Non sono stato mai pagato dalla RAI. Ricevevo duemila lire a trasmissione per il rimborso camicia. Perché il gessetto si attaccava al bordo della manica della camicia. Perché non ero pagato? Perché io ero un insegnante dello Stato!».

Dopo la chiusura del programma (motivata dalla maggiore diffusione delle scuole e dall’aumento della frequenza infantile), Alberto Manzi riprese il suo servizio di maestro presso la scuola elementare “Fratelli Bandiera” di Roma, preceduto da qualche altra esperienza radiotelevisiva. Riprese anche alcune sue attività educative in America latina.

Spirito critico e mai allineato o conformista, Manzi mal sopportò la progressiva burocratizzazione della scuola italiana. Nel 1981 vennero introdotte le “schede di valutazione” sostitutive della tradizionale pagella. Manzi si rifiutò di compilarle affermando: «Non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest’anno, l’abbiamo bollato per i prossimi anni».

Questa ribellione gli costò la sospensione dall’insegnamento e dallo stipendio. Successive pressioni da parte del Ministero non gli fecero cambiare parere. Ebbe però un’idea. Si fece fare un timbro con un giudizio valido per tutti i suoi allievi: «Fa quel che può, quel che non può non fa». Il Ministero non accettò la valutazione timbrata. Molto serenamente Manzi replicò: «Non c’è problema, posso scriverlo anche a penna».

La sempre più aggressiva burocratizzazione della scuola degli ultimi anni[5] rende quanto mai attuale l’insegnamento e la libertà di pensiero del grande Alberto Manzi.

Nel 1992 Rai 3 mandò in onda 60 puntate di un programma dal titolo L’italiano per gli extracomunitari e il docente fu ancora una volta Alberto Manzi.

Diverse scuole italiane sono a lui intitolate. Il 24 e il 25 febbraio 2014 Rai 1 ha mandato in onda una miniserie in due puntate dedicata alla sua vita che si intitolava proprio Non è mai troppo tardi. Il ruolo di Manzi è stato affidato all’attore Claudio Santamaria.

Nella sua ultima intervista, Alberto Manzi ha così sintetizzato la sua visione dell’insegnamento, sulla quale dovrebbe riflettere chiunque si occupi di didattica e divulgazione:

Dentro la scuola bisogna ottenere una tensione cognitiva, una curiosità che spinge a voler sapere. Poi io devo sapere quello che lui sa, perché se non so quello che lui sa non riesco a lavorare. Questo discutere insieme obbligava i ragazzi a rivedere quello che loro sapevano, a dirlo, e poi li obbligava a parlare. Questo era il punto. E la scuola funzionava, questi venivano contenti a scuola. Questa era la cosa essenziale[6].

Note

1) A. Giuliani, “Bianchi, durante il Covid il problema non è stata la DaD ma il modello didattico vecchio: chi insegna non deve avere paura del pc”, La Tecnica della Scuola, 9 giugno 2021: https://bit.ly/3jSWlED ;
2) S. Fuso, “Didattica a distanza: palliativo o opportunità”, Query n. 42-XI, 2020: https://bit.ly/3wtVrkY ;
3) R. Farné, Alberto Manzi. L’avventura di un maestro, Bononia University Press, Bologna 2011; G. Manzi, Il tempo non basta mai. Alberto Manzi, una vita tante vite, ADD Editore, Torino 2014;
4) R. Farnè e L. Zanolio, “L’integrale dell’ultima intervista al Maestro Manzi”: https://bit.ly/3xs63lt ;
5) Si veda: A. R. Longo, “Qualità nella scuola: è solo questione di “carte”?”, Query n. 10-III, 2012: https://bit.ly/2TAJ60V
6) R. Farnè e L. Zanolio, “L’integrale dell’ultima intervista al Maestro Manzi”, op. cit.

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