Il coraggio della leggerezza

  • In Articoli
  • 21-12-2022
  • di Piero Fabbri
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Ennio Peres © Piero Tasso/Wikimedia Commons/CC BY-SA 3.0
Il 17 luglio scorso ci ha lasciati Ennio Peres, esperto di enigmistica e matematica ricreativa, divulgatore e grande sostenitore del CICAP. Lo ricordiamo con questo intervento di Piero Fabbri, autore con i Rudi Mathematici di una rubrica su Le Scienze e della seguitissima e-zine omonima (http://www.rudimathematici.com )

Non è facile raccontare Ennio Peres a chi non lo abbia già, in qualche modo, conosciuto; almeno attraverso i suoi moltissimi libri, o le centinaia di articoli scritti per un gran numero di quotidiani e riviste. O forse è facilissimo, se si sceglie di ridurre tutto davvero all’essenziale, ovvero ai tempi in cui è vissuto e alla passione che lo caratterizzava.

Ennio Peres era nato subito dopo la fine della guerra, in una Italia nuova, da ricostruire: e amava i giochi della mente. Se ne è andato il 17 luglio; avrebbe compiuto 77 anni a dicembre, e gli estremi della sua vita sono importanti per provare a raccontarlo: in quest’epoca piena di connessioni, telefoni, computer e tablet non è più strano vedere adulti che “giocano” in ogni momento del giorno: ma per molto tempo non è stato così.

Ennio è cresciuto in un mondo in cui gli “adulti che giocavano” erano classificati con aggettivi assai poco lusinghieri; giocare era cosa adatta solo ai bambini, e se un adulto giocava era poco serio, un mezzo fallito o – peggio ancora – un viziato destinato a rovinarsi con i giochi d’azzardo. Il gioco adulto lo si concedeva ai campioni sportivi, ma era un trucco: gli atleti giocavano per professione, ma lo sport non è un gioco – con buona pace dei Giochi Olimpici – e soprattutto, allora come adesso, uno sportivo professionista che fa sport non gioca: lavora. Il lavoro di Ennio era quello di insegnare: laureato in matematica, faceva il professore. E sospettiamo che la sua professione ufficiale abbia avuto un gran peso nella scelta della sua professione ufficiosa, quella di “giocologo”; era questo il termine con cui amava presentarsi.

La definizione, dice Wikipedia, è stata creata appositamente per lui dalla giornalista Sandra Onofri, ma è certo che Peres ne era entusiasta e l’ha fatta propria: ogni volta che ha potuto ha scritto di giochi, parlato di giochi, inventato giochi, organizzato giochi. E adesso può anche non sembrare possibile, ma per farlo, quando Ennio Peres ha cominciato a farlo, ci voleva coraggio.

Non che fosse il solo coraggioso, nel panorama della giovane Italia di quegli anni, ma era certo il più audace. Umberto Eco era abbastanza coraggioso da poter affermare in pubblico che adorava rebus e crittografie, ma era già Umberto Eco, intellettuale rivoluzionario e semiologo di fama internazionale; Sergio Morando ha avuto il coraggio di introdurre su Linus una pagina di giochi, ma lo aveva fatto celandosi dietro lo pseudonimo di Wutki; e quel celarsi era forse solo un altro modo per giocare, ma forse anche una maniera di proteggere la sua professione vera (Morando era direttore editoriale alla Bompiani), perché “giocare”, a quei tempi, era ancora un verbo assai pericoloso da spendere in un curriculum.

Ennio Peres, invece, era giocologo a tutto tondo: da matematico, amava i giochi matematici, ma non solo quelli; esplorava vorace quasi ogni aspetto che contenesse almeno una parvenza ludica per la mente. Scriveva libri, crea vacruciverba impossibili, giocava con gli anagrammi, spiegava come risolvere il cubo di Rubik, teneva conferenze e curava rubriche di giochi praticamente su ogni quotidiano o rivista che fosse disposto a concedergli un quarto di pagina. Non per niente sarà proprio lui a continuare la pagina di Wutki su Linus, dopo Morando e Giampaolo Dossena.

Erano anni in cui non c’erano in giro molti computer, soprattutto in Italia. In quegli anni, Ennio Peres già invitava i suoi lettori a sfidarsi e a sfidarlo, che per giocare i giochi di testa bastano carta e penna, e qualche volta non servono neppure quelle. Perché far giocare la mente è importante, pensava Ennio: e anche se il gioco era ancora considerato dai più solo uno sciocco passatempo leggero, capiva già che ci voleva – che era necessario – il coraggio della leggerezza.

Ce lo immaginiamo rattristato in cattedra, ad ascoltare alcuni studenti poco brillanti che magari ripetono perfettamente quanto scritto sul libro di testo senza aver davvero capito nulla: ce lo immaginiamo colto da una specie di decisione rivoluzionaria, che vede nelle sfide dei giochi mentali quanto serve a raggiungere consapevolezza deduttiva e senso critico. Nelle scuole, avrà pensato, non si riesce ancora a insegnare il metodo scientifico; non si riesce a indurre quello scetticismo cauto e critico necessario per distinguere i fatti dalle opinioni, per separare l’oggettività scientifica dalla soggettività più o meno autorevole. Forse nella scuola non c'è ancora una materia veramente adatta allo scopo, veramente in grado di farlo. Forse, certe caratteristiche hanno bisogno di una palestra diversa: e forse sono proprio il quesito imbarazzante, il gioco sorprendente che hanno in sé quel granello di sfida necessario ad emulare quella sfida costante che la Natura propone sempre a chi cerca di indagare i suoi misteri.

Forse pensava questo, Ennio Peres, quando invitava tutti a pensare giocando e a giocare pensando. Forse; o forse voleva solo divertire e divertirsi. Quali che fossero le sue reali intenzioni, possono rimanere irrisolte, come uno dei suoi cruciverba impossibili: ci sentiamo di doverlo ringraziare in ogni caso.
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