La numerologia

Un viaggio tra coincidenze mysteriose e significati segreti

  • In Articoli
  • 17-10-2011
  • di Mariano Tomatis
Un curioso spot pubblicitario reclamizza un’applicazione per cellulare piuttosto bizzarra: inviando per sms il proprio nome e quello della persona amata, e pagando pochi euro, si riceve una percentuale che va da 1 a 100, che rappresenta il grado di compatibilità di coppia; più alto è il numero, maggiore è la probabilità di costruire un rapporto durevole.

Si tratta naturalmente di una ciarlatanata, usata come esca per convincere gli adolescenti ad acquistare loghi e suonerie per il cellulare; come si potrebbe, infatti, dare un giudizio del genere senza alcuna altra informazione che i due nomi di battesimo?

Eppure tale pretesa si fonda su una dottrina molto antica, che da sempre mima le tecniche della matematica e pretende di essere riconosciuta come scienza: la numerologia, una disciplina che utilizza i numeri per interpretare il carattere di un individuo e prevedere il suo futuro, basata sull’idea che la natura sia una rete di “relazioni simboliche” riconducibili a termini numerici.

Tale visione mescola allegramente credenze antiche di secoli e moderne scoperte scientifiche, proponendo una macedonia di idee in cui si possono incontrare le piramidi d’Egitto, la forma delle galassie, i numeri atomici degli elementi chimici, gli archetipi di Jung, i cerchi nel grano e molto altro ancora.

La numerologia


L’idea di cercare “relazioni simboliche” in natura oggi può far sorridere, ma per oltre duemila anni la fisica è stata studiata in questo modo; fu Aristotele (384-322 a.C.) il più grande sostenitore di questo approccio. Il filosofo greco scriveva che in natura esistono quattro elementi: l’Aria, l’Acqua, la Terra e il Fuoco.

Per spiegare il movimento dei corpi, bisogna innanzitutto identificare l’elemento cui appartengono. Una pietra cade perché è un elemento della Terra, e il suo “luogo privilegiato” è in basso. La fiamma, invece, sale perché la sua naturale tendenza è quella di ritornare al luogo privilegiato del Fuoco, che è in alto. Gli aspetti simbolici avevano la precedenza sull’osservazione dei fenomeni, e questo frenò per molti secoli il progresso scientifico.

Questa concezione non convinceva affatto Galileo Galilei (1564-1642), che riteneva che per capire la natura fosse necessario esprimerla in termini matematici. Tale intuizione cambiò il corso della scienza e segnò l’ingresso della matematica nell’indagine del mondo naturale. Si passò quindi a descrivere con un’equazione la velocità di una pietra che cade, abbandonando l’idea che tale caduta fosse dovuta ad una “tendenza” a ritornare alla terra da cui proveniva. Attraverso l’osservazione sperimentale, dall’epoca di Galileo ad oggi sono stati elaborati moltissimi modelli matematici per descrivere il mondo naturale, e la matematica si è rivelata lo strumento più potente per indagare e fare previsioni su ciò che accade.

Non tutti però erano disposti ad abbandonare l’approccio simbolico: Francesco Sizzi, uno studioso fiorentino dei Seicento, scrisse che i satelliti di Giove osservati da Galilei non esistevano – anzi, non potevano esistere; l’argomentazione era squisitamente simbolica: “Le finestre della testa sono sette: due narici, due orecchie, due occhi e una bocca. Così, nei cieli vi sono due stelle propizie, due infauste, due astri e il solo Mercurio inerte e noncurante. Dal quale fenomeno di natura, e da molti altri simili [...] per esempio che i metalli sono in numero sette, comprendiamo che il numero di pianeti è necessariamente sette. Inoltre i satelliti sono invisibili ad occhi nudo, dunque non hanno influssi sulla terra, dunque sarebbero inutili, dunque non esistono.”

La svolta di Galileo provocò un vero e proprio terremoto culturale. Lo studio delle stelle prese due vie completamente divergenti: gli astrologi continuarono a cercare relazioni simboliche e magiche tra il movimento dei pianeti e la vita quotidiana, mentre gli astronomi – in linea con le intuizioni dello scienziato di Pisa – costituirono una scienza basata sulla matematica e sull’osservazione sperimentale.

Lo stesso avvenne in seno allo studio dei numeri: la numerologia prese una strada a sé, allontanandosi dalla matematica e proponendo un modo di descrivere la natura alternativo, ispirato a relazioni simboliche piuttosto che a precise equazioni. Ma qual è la differenza tra una relazione espressa in termini matematici ed una espressa in termini numerologici?

Supponiamo di dover percorrere 50 chilometri per raggiungere un luogo dove siamo attesi tra un’ora esatta. Chiunque sa che, viaggiando ad una velocità media di 50 km/h, impiegherà un’ora a compiere il tragitto. Questo calcolo, facile da fare mentalmente perfino mentre stiamo guidando, ci consente anche di prevedere che viaggiando ai 100 km/h arriveremo a destinazione in mezz’ora: ciò che rende possibili questi calcoli è una semplicissima equazione (S = V × T) che descrive in modo preciso la relazione che esiste tra lo spazio S da percorrere, il tempo T impiegato e la velocità V mantenuta.

Questo esempio mostra che le relazioni definite in termini matematici sono “quantificate” con esattezza, e solo tale precisione ha consentito un progresso tecnologico tale da rendere possibili strumenti molto complessi come i computer, all’interno dei quali ogni secondo vengono eseguite molti miliardi di operazioni opportunamente coordinate, grazie alle quali ascoltiamo musica, vediamo un film o spediamo un’email.

Le relazioni descritte nell’ambito della numerologia, invece, sono espresse con un linguaggio molto più sfumato e ambiguo; è il caso di quella che esisterebbe tra il nome di una persona e il suo carattere. Per conoscere le caratteristiche psicologiche di una ragazza di nome Federica, un numerologo converte in cifre le lettere che ne compongono il nome, utilizzando una tabellina di questo tipo:

1 2 3 4 5 6 7 8 9
A B C D E F G H I
J K L M N O P Q R
S T U V W X Y Z


Ad ogni lettera corrisponde il numero che si trova in cima alla relativa colonna; le cifre vengono quindi sommate più volte, fino ad ottenerne una unica. Partendo da FEDERICA, il numerologo ottiene il numero 6, infatti (6 + 5 + 4 + 5 + 9 + 9 + 3 + 1) = 42 e (4 + 2) = 6. Il numero finale si chiama “radice numerologica”, e così come ogni individuo ha un proprio segno zodiacale, ogni nome ha una sua particolare radice. Esistono quindi dei profili numerologici associati ad ognuna delle nove cifre, che il numerologo può consultare per fornire una descrizione del carattere di Federica. Il numero 6 caratterizza un individuo dotato di carisma, grazia, capacità di conversare con tutti, diplomazia e perfezionismo; tali caratteristiche sarebbero legate a speciali proprietà matematiche dei numeri stessi: ad esempio il “perfezionismo” deriverebbe dal fatto che, se si prendono i primi tre numeri, la loro somma (1 + 2 + 3) e il prodotto (1 x 2 x 3) danno entrambi come risultato 6.

È facile vedere che questo tipo di relazione, tra una caratteristica psicologica e la persona il cui nome ha una certa radice numerologica, è difficilmente “quantificabile” in modo preciso, e mostra piuttosto tutti i limiti di questa disciplina: i suoi concetti sono espressi in un modo talmente ambiguo da potersi applicare a molte situazioni diverse, ed è facile muovere verso tali profili le stesse obiezioni che da sempre si rivolgono all’astrologia e alle dottrine divinatorie.

Il dottor Irving Joshua Matrix


Secondo la numerologia, tutto il mondo non è che una rete di numeri, tra i quali esistono corrispondenze estremamente curiose e in qualche modo “significative”.

Qualche anno fa, durante la visita a una mostra dedicata alla matematica, fui coinvolto in un ironico esperimento di numerologia computerizzata: un software si proponeva di trovare mistiche corrispondenze tra due numeri qualsiasi, scelti da me. Digitai sulla tastiera la mia età (29) e il mio giorno di nascita (11). In pochi secondi, l’applicazione mi rispose che, in ambito biblico, i due numeri sommati tra loro trovavano una corrispondenza con il numero 40, pari ai giorni trascorsi da Gesù nel deserto, che determinano tra l’altro la lunghezza del periodo Quaresimale. Gli stessi numeri mostravano invece una bizzarra coincidenza nell’ambito dell’Antico Egitto: il software mi comunicava che la differenza tra 29 e 11 elevata al cubo (23058) approssimava molto bene la lunghezza in centimetri di uno dei lati della Piramide di Cheope. Astronomicamente, invece, si poteva notare una notevole concordanza tra la stessa differenza (pari a 18) e la temperatura media superficiale del pianeta Saturno, di 180 gradi Kelvin, dieci volte il numero 18.

Il computer era stato programmato a tentare milioni di operazioni che coinvolgessero i numeri specificati, ed aveva a disposizione un dizionario di numeri significativi tratti dalla Bibbia, dagli Atlanti astronomici e dai libri di Egittologia; non appena il risultato di una qualsiasi operazione si avvicinava abbastanza ad uno dei numeri nel dizionario, la “coincidenza significativa” veniva segnalata all’utente.

Il messaggio era limpido: se si cerca con attenzione e soprattutto pazienza, è possibile scovare ovunque numeri che moltiplicati, sottratti, elevati a potenza o elaborati da una qualsiasi funzione matematica risultino “imparentati” con angoli famosi, costanti trigonometriche, fisiche o distanze notevoli.

Nonostante questo, esistono interi libri che approfondiscono “strane connessioni” tra numeri che si presentano in ambiti completamente diversi, ritenendoli “rivelatori” di qualcosa di interessante e misterioso. Fu per prendersi gioco di questa vera e propria mania che negli Anni Sessanta del XX secolo Martin Gardner inventò il personaggio del dottor Irving Joshua Matrix, “il più grande numerologo che sia mai esistito”. Lo scrittore pubblicò su Scientific American una lunga serie di divertentissimi articoli in cui elencava una miriade di coincidenze curiose.

Nel primo articolo della serie, pubblicato nel gennaio 1960, il numerologo faceva notare che si sarebbe trattato di un anno estremamente fortunato: il numero 1960 si può infatti scrivere come somma di due quadrati – 142 e 422 – entrambi multipli del mistico 7.

Raccontando la vita di Richard Wagner, invece, il dottor Matrix sottolineava il fatto che le lettere nel suo nome e cognome sono 13, nacque nel 1813 (e la somma delle cifre dell’anno fa ancora 13), compose 13 grandi opere musicali, completò il Tannhäuser e il Parsifal il 13 del mese e attese 13 anni prima di mettere in scena il Lohengrin dopo averlo completato. Morì il 13 febbraio 1883.

Imitando bene il linguaggio dei numerologi, Gardner faceva dire al dottor Matrix parole evocative ma estremamente ambigue: “Le date importanti non sono mai accidentali”, “Coincidenze come queste ricorrono troppo spesso per poterle giustificare con la teoria delle probabilità”, “I numeri hanno una loro propria vita misteriosa.”

Le relazioni vere e le... supposte


Esistono nel nostro mondo un’infinità di relazioni numeriche vere, utili e significative.

Se calcolo la differenza tra l’anno in corso e la mia età, ottengo magicamente un numero pari al mio anno di nascita. In realtà, la coincidenza è tutt’altro che straordinaria: si tratta piuttosto di una relazione numerica estremamente utile, che mi consente di calcolare la mia età sottraendo l’anno di nascita dall’anno in corso.

Ma sebbene il tutto possa apparire ovvio, è possibile “offuscarlo” con poca fatica e presentare un curioso esperimento; la bella idea è di Ennio Peres, che nel suo libro di magie matematiche L’elmo della mente suggerisce questo gioco:

  1. Invitate qualcuno a scrivere il suo numero di scarpe e moltiplicarlo per 100;
  2. Chiedetegli quindi di sottrarre dal numero ottenuto il suo anno di nascita.


Fatevi dire il risultato dell’operazione finale: sommandogli mentalmente l’anno in corso, otterrete un numero di quattro cifre: le prime due indicheranno il numero di scarpe, le altre due l’età della persona coinvolta. Potrete quindi annunciarle solennemente, e sarà tutt’altro che banale scoprire che avete usato proprio la relazione su citata per presentare questa piccola magia matematica.

Altre relazioni “numerologiche” sembrano invece piuttosto dubbie: qualcuno ha fatto notare che l’attacco alle Twin Towers avvenne in una data che gli americani scrivono come 9/11, e negli States il numero di telefono per chiamare l’ambulanza è il 911. Che cosa ci rivela questa coincidenza? Nasconde qualcosa di significativo, o è del tutto casuale?

Una delle reazioni più sane di fronte a rivelazioni di questo tipo consiste nel porre l’interrogativo: “E quindi?”.

Pochi numerologi sono abituati a questa domanda, e ritengono che il loro lavoro si possa limitare ad una collezione sempre crescente di coincidenze strane e bizzarre. Ma citando il grande Totò, una volta constatate e messe da parte le relazioni vere, “le supposte dove le mettiamo?”

La piramidologia e il 2012


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Una branca della numerologia è la “piramidologia”: i suoi sostenitori ritengono che alcune antiche popolazioni avessero raggiunto conoscenze scientifiche e numerologiche molto avanzate e, affinché questo “sapere” non andasse perduto, le abbiano codificate nelle proporzioni di grandi opere artistiche e architettoniche. Alla fine dell’Ottocento il religioso Charles Taze Russell (1852-1916) aveva ribattezzato la Grande Piramide di Giza “la Bibbia di pietra”, ritenendo che si trattasse di un monumento di ispirazione divina, denso di messaggi a carattere matematico che rivelavano il Verbo di Dio.

Oggi alcuni piramidologi si spingono ancora più in là, ritenendo che le proporzioni di alcuni grandi monumenti contengano, in forma codificata, vere e proprie profezie relative all’esodo di Mosè dall’Egitto, alla crocefissione di Cristo, alla Prima Guerra Mondiale, fino alla fine del mondo.

È il caso di Raymond Mardyks che, “decodificando” un messaggio nascosto sul dollaro americano, ha concluso che il mondo finirà nel 2012. Non è l’unico a farlo: intorno a questa data è nato un fiorente mercato catastrofista che, a partire da un’antica tradizione maya, fissa all’anno 2012 una serie di sconvolgimenti per il pianeta terra.

È sufficiente approfondire un minimo la questione per scoprire che i Maya avevano elaborato un sofisticato calendario ciclico, i cui periodi duravano circa 5125 anni. Il periodo in cui stiamo vivendo è iniziato l’11 agosto 3114 a.C. e terminerà il 21 dicembre 2012, ma non c’è nessun indizio sul fatto che si tratti dell’ultimo: al contrario, se i Maya esistessero ancora, organizzerebbero grandi celebrazioni, perché il passaggio da un ciclo all’altro era considerato un’occasione per festeggiamenti piuttosto gaudenti. Per dirla con Paolo Attivissimo: “Dedurre da questo che il mondo finirà è stupido come dire che il mondo finirà il 31 dicembre 2007 perché in quella data finisce il calendario sexy della Santarelli!”

Il piramidologo Raymond Mardyks mostra almeno un po’ di fantasia nello scovare il numero 2012 in un luogo impensabile. Analizzando il disegno che compare al centro dei dollari americani, che rappresenta una piramide, riconosce sulla base l’anno 1776 espresso in numeri romani: si tratta della data della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Poiché tale piramide è costituita da 13 livelli sovrapposti, Mardyks ritiene che si tratti di un calendario: a ogni livello corrisponde un katun, un periodo maya di 7200 giorni (circa 19 anni). Calcolando l’inizio e la fine di ogni gradino, lo studioso fa notare che l’ultimo livello si chiude con l’anno 2012, e quindi sui dollari americani sarebbe codificato un messaggio che fa presagire la fine del mondo proprio in quella data!

Le geometrie sacre


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Nell’ambito della piramidologia si ritiene che lo studio della geometria e le sue applicazioni in ambito architettonico possano diventare una forma di spiritualità. Nel definire le proporzioni di monumenti religiosi, piramidi, templi, ma anche di più modesti dipinti e statue, molti architetti e artisti del passato si sarebbero ispirati alle costanti matematiche più diffuse in natura (come il π e la Sezione Aurea) e ad alcuni numeri fondamentali (come la distanza tra la terra e il sole, la durata del regno di Alessandro Magno, ecc.): scegliendo numeri “significativi”, l’opera in questione si sarebbe integrata bene nel Grande Disegno Cosmico, rispettando la rete di relazioni matematiche che definisce la natura e attirando su di sé le più sottili energie positive.

Si tratta di un argomento affascinante e delicato, perché strettamente intrecciato con la realtà. Ci sono indizi archeologici del fatto che alcuni antichi popoli si ispirassero alla natura per fissare le misure e le proporzioni delle loro opere. Pittori moderni, come Salvador Dalì (1904-1989), non hanno mai nascosto il fatto di utilizzare la Sezione Aurea nei loro dipinti: nella sua famosa “Ultima cena” il pittore spagnolo fissò il piano del tavolo in modo da rispettare la proporzione aurea, e fece lo stesso con due degli apostoli ai lati di Cristo. Nel libro di Charles Bouleau La geometria segreta dei pittori sono molti e documentati i casi di artisti che hanno modellato le proprie opere seguendo precisi principi geometrici. Nonostante questo, alcune delle ipotesi avanzate dai numerologi sono un po’ troppo ardite per essere accettate senza precisi riscontri storici.

Alcuni ritengono che gli Egizi scelsero l’altezza della Grande Piramide in modo da riprodurre, secondo un opportuno fattore di scala, la distanza media tra il Sole e la Terra. Accettare un’ipotesi del genere significherebbe attribuire agli Egizi delle conoscenze del tutto anacronistiche e incoerenti con quello che attestano tutti i documenti relativi alla loro cultura. Altre corrispondenze potrebbero sorgere per puro caso. Supponiamo di aver rilevato le misure di un salone ed aver calcolato che è largo 5 metri e lungo 8. Se siamo alla ricerca di coincidenze significative, potremmo presto accorgerci che il rapporto tra 8 e 5 (pari a 1,600) approssima alla prima cifra decimale il numero aureo phi (1,618...).

Affermare che l’architetto aveva in mente la Sezione Aurea in fase di progettazione del salone può indurci in errore: tale rapporto, infatti, può presentarsi in modo del tutto casuale, specie se accettiamo una sua qualsiasi approssimazione. Una piscina di 4×5 metri ha un rapporto tra le sue misure di 0,800 – valore che approssima addirittura alla seconda cifra decimale la metà del numero aureo, pari a 0,809. Un quadro di 100×30 cm rispetta una proporzione pari a 0,300 che ben approssima la metà di phi-1. Torturando opportunamente i numeri, è facile dimostrare che approssimano qualche costante “importante”; ciò deve invitarci ad una sempre maggiore cautela nell’affermare che l’uno o l’altro artista hanno voluto comunicarci “qualcosa” attraverso rapporti matematici.

Come nel caso dei crop circle, inoltre, alcune costanti si insinuano per conto loro nelle opere umane, senza che nessuno lo voglia esplicitamente. Facciamo un esperimento mentale. Siete l’architetto del grande faraone e dovete progettare la costruzione di una piramide. Vi viene data la massima libertà d’azione, quindi – per non complicarvi la vita – decidete di usare misure del tutto banali. Fissate l’altezza a 10 cubiti, prendete una ruota che ha il diametro di un cubito, segnate il punto in cui si trova e le fate fare 10 giri: lo spazio percorso dalla ruota costituirà la larghezza della piramide.

Per scegliere le due misure non avete dovuto fare nessuna fatica, né imparare concetti di alta matematica o di profonda geometria sacra: le uniche abilità che dovevate avere erano quelle di contare fino a dieci e saper spingere una ruota. La piramide viene costruita dagli operai del faraone e l’opera resiste nel tempo.

Trascorsi svariati millenni, un appassionato di numerologia si prende la briga di misurare la base e l’altezza della piramide; le pietre sono un po’ consumate, ma le misure originali si riescono ancora ad intuire: il monumento era alto 10 cubiti e largo 31,4. Lo sprovveduto calcola al volo il rapporto tra la base e l’altezza dell’edificio ed ha un sobbalzo: 3,14 è il valore di π!

La notizia fa presto il giro del mondo, e i numerologi la presentano con sincero entusiasmo: “Siamo grati all’anonimo architetto che incise nella pietra di questa piramide un messaggio eterno, scritto nel linguaggio della matematica, che rimanda al cerchio e alla sfera, simboli di quella divinità in onore della quale si innalzò cotanto tempio, ecc.”

Se poteste sentire questi vaneggiamenti, probabilmente vi rigirereste nella tomba: messaggio cifrato?! Richiamo divino?! Ehi, noi non intendevamo nascondere proprio un bel niente! Eravamo pigri, e abbiamo scelto le misure così, un po’ come capitava…

Come si spiega il fatto che π si sia “infilato” tra le misure della nostra piramide? Semplice coincidenza? Niente affatto. Tale rapporto “contiene” quella costante perché avete utilizzato una ruota per fissare la larghezza della base: poiché la stessa aveva un diametro di 1 cubito, facendole fare dieci giri avete ottenuto – senza alcuna intenzione simbolica o esoterica – una misura di 31,4 cubiti, dovuta al fatto che la circonferenza della curva si ottiene moltiplicando il diametro per π, e quindi ogni giro era lungo 3,14 cubiti. In altre parole, una costante può trasferirsi dallo strumento di misura utilizzato all’opera stessa, senza che l’architetto ne sia consapevole.

L’esperimento mentale si basa su dati storici reali: gli archeologi ritengono che, all’epoca delle piramidi, la misurazione di lunghe distanze potesse essere estremamente imprecisa quando veniva effettuata con corde in fibra di palma; dal Medio Regno in avanti, quando la ruota viene utilizzata per la prima volta, questo avrebbe spinto gli Egizi ad utilizzare un apparecchio di misura concepito sull’idea dei più moderni “odometri”, in cui i giri compiuti da una rotella venivano contati e, tramite opportuni ingranaggi, tradotti in distanze.

Per dimostrare che gli Egizi conoscevano π non sono quindi sufficienti fuorvianti indizi numerologici: ci vogliono documenti precisi, come il Papiro di Ahmes, composto tra il 2000 e il 1800 a.C., sul quale un anonimo autore scrisse che l’area di un cerchio con il diametro di 9 unità può essere approssimato dall’area di un quadrato con il lato di 8 unità. Un testo del genere ci dice con chiarezza che gli Egizi avevano una qualche idea di π: utilizzando i dati forniti sul papiro, si può concludere che ne utilizzavano un’approssimazione pari a 3,16.

Un’ulteriore relazione che non si deve sottovalutare è quella tra diverse costanti: estraendo la radice quadrata del numero aureo, ad esempio, si ottiene un numero che si avvicina molto al rapporto tra 4 e π. Poiché quattro sono anche i lati alla base della piramide, una pura coincidenza matematica potrebbe acquistare, agli occhi di un numerologo sprovveduto, una “significatività” del tutto ingiustificata.
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Il tempio più grande del mondo


Nel 1982 venne pubblicato Holy Blood Holy Grail, un libro che prendeva l’avvio da Rennes-le-Château, un piccolo paese sui Pirenei francesi, e proponeva una lettura alternativa della storia degli ultimi duemila anni: i tre autori Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln sostenevano che Gesù avesse sposato Maria Maddalena e dato vita ad una discendenza “divina” che, nel corso dei secoli, si sarebbe insediata nel minuscolo villaggio e sarebbe sopravvissuta fino ai giorni nostri. Il libro divenne presto un best seller, e vent’anni più tardi avrebbe costituito la fonte di ispirazione principale per uno dei più grandi successi editoriali di sempre, Il codice Da Vinci (2003) di Dan Brown. Dal 1982 in avanti, molti storici si dedicarono ad approfondire l’ipotesi della discendenza di Cristo, scoprendo che si trattava di una gigantesca montatura costruita sulle opere di fantasia di un geniale esoterista francese, Pierre Plantard (1920-2000). Smentita la “notizia bomba”, Henry Lincoln si smarcò dagli altri due autori, pubblicando un nuovo libro intitolato Il luogo sacro (1991), nel quale sosteneva che a Rennes-le-Château non ci fossero le prove della discendenza di Cristo, ma qualcosa di ancora più straordinario: gli indizi “geometrici” dell’esistenza del tempio a cielo aperto più grande del mondo.

Ispirandosi a una teoria nata in ambito ufologico e chiamata isoscelia, Lincoln aveva preso una cartina dell’area intorno al villaggio, fissato su alcuni punti degli spilli e cercato conformazioni “interessanti”. Dopo qualche tentativo, aveva trovato quella che faceva al caso suo. Un punto era collocato, ovviamente, a Rennes-le-Château. Un secondo punto cadeva sulle rovine di un forte noto come Blanchefort. Un terzo si trovava sui ruderi di un castello nei pressi della cittadina di Bezu.

Collegati tra loro, i punti formavano un triangolo isoscele, con gli angoli alla base di 72° e il terzo di 36°: erano numeri interessanti, perché le cinque punte di una stella presentano tutte un angolo di 36°.

Il triangolo poteva dunque essere facilmente ampliato e diventare un pentagono regolare, a definire una perfetta stella a cinque punte. Lincoln calcolò dove cadevano i due punti restanti, ma non trovò riferimenti geografici altrettanto precisi: fissò uno spillo sulle pendici della montagna della Soulane, l’altro nei pressi di una vallata chiamata Serre de Lauzet. “Il luogo sacro” che dava il titolo al libro era quindi intorno a Rennes-le-Château, che i primi abitanti della regione avrebbero popolato attratti dalle magiche proporzioni pentagonali ispirate alla “geometria sacra”.

Dotati di conoscenze cartografiche poi andate perdute (che consentirono loro di accorgersi di un disegno del genere) tali popolazioni avrebbero scelto l’area per farne la sede di un gigantesco tempio a cielo aperto, delimitato dai cinque vertici della stella. Scriveva Lincoln: “Questo tempio non è caduto in rovina e in decadenza. È ancora reale e tangibile quanto lo era nel giorno del suo completamento, eppure, nonostante questo, è invisibile [...] perché è troppo vasto per essere notato. [...] Il tempio di Rennes-le-Château è forse la più grande struttura mai edificata dall’uomo sulla faccia della terra”. Non importa se tale figura non avesse alcun riscontro archeologico e documentale: lo sport lanciato da Lincoln era talmente suggestivo da produrre una vera e propria febbre per la ricerca di disegni notevoli sulle mappe della zona. Dai primi semplici allineamenti di chiese, si passò presto a cercare cerchi, quadrati, esagoni e poligoni di ordine superiore, neppure sempre regolari. David Wood arricchì il già vasto groviglio geometrico introducendo nello scenario metafore a carattere sessuale: ha un effetto più umoristico che drammatico una sua mappa ricoperta di linee, pubblicata su un libro che annuncia la fine del mondo, sulla quale identifica il corpo di una dea, i suoi organi genitali e una curva in cui lui riconosce un imene, da attraversare per ingravidarla.

Elizabeth Van Buren ruppe del tutto gli schemi geometrici, cercando (e purtroppo, trovando) figure zodiacali sulle linee di quota delle mappe. Emerson DeAnna si spinse oltre: analizzando alcune mappe della superficie di Marte realizzate dalla NASA, identificò un pentacolo che mise in relazione con quello di Rennes-le-Château, chiedendosi se non ci potesse essere un collegamento tra i due.

La X indica il punto dove scavare


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La ricerca di schemi geometrici sulle mappe non ha confini, e risale almeno al 1921, quando Alfred Watkins (1855-1935) per primo ipotizzò l’esistenza di allineamenti tra megaliti e monumenti preistorici in terra inglese, lungo linee di energia che sarebbero state in seguito battezzate Ley Line.

Innumerevoli cultori della geometria sacra hanno scandagliato le mappe della propria regione in cerca di linee rette o disegni più o meno complessi, ma nessun luogo più di Rennes-le-Château ha visto il fiorire di variazioni sul tema, in gran parte piuttosto strampalate. Il villaggio ha raggiunto tale notorietà anche grazie ad una lunga tradizione, secondo la quale nella zona sarebbe nascosto un tesoro. Che si tratti del Sacro Graal, dell’Arca dell’Alleanza, del bottino dei Cavalieri Templari, di un vangelo perduto o del candelabro a sette braccia del Tempio di Gerusalemme, migliaia di visitatori, molti dei quali alla ricerca di "qualcosa", ogni anno affollano la sommità della collinetta su cui sorge il paesino.

Ma poiché sin dal 1883, quando venne pubblicato L'isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, un tesoro che si rispetti è indicato da una mappa opportunamente cifrata, le forme geometriche tracciate da Henry Lincoln accesero la fantasia dei “cercatori”: forse il pentacolo, o uno qualsiasi degli altri allineamenti, indicavano il suo nascondiglio; lo stesso scrittore dedicò all'ipotesi che il tesoro si trovasse al centro della stella un intero capitolo del suo libro, allusivamente intitolato “La X sulla mappa del tesoro?”, dove possiamo leggere: “Mentre traccio le linee che individuano il centro della stella, mi rendo conto che questo è un posto notevole dove nascondere qualcosa.

Ho forse trovato la X sulla mappa del tesoro?

Conoscendo il disegno geometrico celato nelle montagne circostanti, questo luogo si può sempre rintracciare con precisione.”

Lincoln individuò con facilità il punto, ma con una certa delusione si accorse che – come nel caso di La Soulane e della Serre de Lauzet – non corrispondeva ad alcuna cima: il monte più vicino, chiamato La Pique, si trovava a circa 250 metri a sud ovest. Neanche questo costituiva un problema: la numerologia possiede, infatti, uno strumento infallibile, che possiamo chiamare “Testa-vinco-io-Croce-perdi-tu”.

Quando una misura, una proporzione o un allineamento sono precisi, ci si stupisce per la straordinaria accuratezza che hanno avuto i nostri antenati, pur con i loro mezzi limitati, e la si considera una conferma alla teoria.

Quando invece la precisione è carente, il fatto non è mai considerato un indizio contrario alla teoria, bensì un’ulteriore conferma, in quanto – diamine! – erano antichi: con i loro mezzi limitati, come potevano essere precisi? Scrive infatti Lincoln: “Cosa mi aspetto, un miracolo? Queste ‘strutture’ non sono state progettate e costruite per conformarsi a un disegno. Sono elementi naturali del paesaggio.

Trovare un’altra cima ancora, messa al posto giusto anche approssimativamente, in una posizione significativa, è una cosa che toglie il fiato.”

Naturalmente, ad oggi la X non ha consentito il ritrovamento di alcun tesoro.

Un vero allineamento


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A Rennes-le-Château la febbre per l’oro era scoppiata nel 1956, quando un giornale locale aveva favoleggiato sul tesoro che avrebbe reso ricchissimo don Bérenger Saunière, vecchio parroco del posto.

Per oltre dieci anni, fino al divieto municipale di eseguire scavi, decine di persone armate di pala, piccone e dinamite si infilarono in qualsiasi anfratto per (ri)trovare il tesoro del sacerdote. Nel 1965 i paesani si accorsero di un bizzarro fenomeno: alcuni alberi si erano ingialliti nonostante la bella stagione; le piante in questione erano stranamente allineate, e quelle intorno non presentavano l’anomalia.

Quando il terreno iniziò a sprofondare, si svelò l’arcano: per raggiungere in segreto le fondamenta della chiesa, un “cercatore” abusivo aveva scavato una lunga galleria in linea retta che partiva dalla sua cantina e passava sotto alcuni alberi; lo scavo aveva danneggiato alcune radici, privando le piante dell’acqua necessaria e provocando l’ingiallimento.

Ecco un caso in cui un (autentico) allineamento non conduce alla scoperta di un tesoro ma di un... cercatore di tesori!
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La tecnica della triangolazione


In uno storico racconto a fumetti del 1937, Topolino e il tesoro di Clarabella, i due protagonisti Topolino e Orazio sono alla caccia di un tesoro con una vecchia mappa datata 1863: partendo da un grande albero, devono tirare una linea verso un albero più piccolo e “triangolare”.

Il punto individuato, però, non è quello giusto.

I due protagonisti capiscono che il piccolo albero non poteva essere lì all’epoca in cui il tesoro era stato nascosto, e si accorgono di aver sbagliato piante: quello che un tempo era il piccolo albero, oggi è diventato grande, e il vecchio “grande albero” è ormai caduto; se ne intravvedono ancora i resti, e triangolando correttamente, ecco il tesoro.

Molto citata in tutta la letteratura sulle cacce al tesoro, la “triangolazione” è un'antica tecnica trigonometrica che, prima dell’avvento del GPS, consentiva di individuare un luogo preciso a partire da tre altri punti. Se dovessimo nascondere un tesoro in un campo e volessimo tener traccia del punto X in cui si trova, cercare tre alberi nei dintorni e prendere nota degli angoli che insistono su di lui ci garantirebbe di ritrovarlo anche dopo diversi secoli – a condizione che le piante non vengano rimosse.

Il gusto enigmistico per questo tipo di ricerca spesso si contrappone all’approccio più rigidamente accademico: gli archeologi di professione sono piuttosto scettici di fronte al fiorire di teorie a sfondo numerologico per ritrovare stanze nascoste ai piedi della Sfinge o la tomba di Maria Maddalena ai piedi della collina di Rennes-le-Château.

Chi meglio di tutti ha saputo ironizzare sulla febbre dell’oro guidata da “ispirazioni simboliche” è stato Umberto Eco, nel suo romanzo Il pendolo di Foucault (1988), in cui i temi esoterici e numerologici si intrecciano a straordinarie parodie del mondo dell’occultismo e delle cacce al tesoro sulle tracce dei Cavalieri Templari. Il tema della triangolazione ritorna nel suo La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), dove il protagonista Yambo si trova nella vigna di fronte alla sua vecchia casa di campagna dove ha appena defecato, e – con una sferzante ironia – pensa a quando era bambino: “Forse se mi guardavo bene intorno trovavo ancora i resti della cacca che avevo fatto allora e, triangolando nel modo giusto, il tesoro di Clarabella.”

Geometrie nascoste e matematica


Se le triangolazioni o le teorie geometriche sulle mappe geografiche portassero alla scoperta di qualche tesoro nascosto, nessuno oserebbe contraddirle. Il problema è che, invece, molte delle teorie numerologiche sono del tutto autoreferenziali, e promettono rivelazioni che non hanno riscontri archeologici di alcun tipo.

Alle costruzioni geometriche di Henry Lincoln si può rispondere anche con la matematica, creando un gran numero di mappe casuali e confrontandole con le mappe di interesse è abbastanza agevole scoprire se le geometrie che si presentano sono notevoli o semplicemente legate al caso. Prendendo in considerazione tutte le chiese del circondario, una mia analisi non ha riscontrato alcun risultato straordinario: gli allineamenti che si possono trovare sono paragonabili a quelli di qualsiasi altra mappa scelta a caso.

Nel 2004 l’informatico David Williams è andato oltre, rilevando oltre 400 punti sulla mappa dell’area di Rennes-le-Château e classificandoli a seconda della loro natura (chiesa, castello, rovina, vetta di una montagna...). Dopo aver cercato tutti i possibili pentacoli definiti dai punti rilevati, il ricercatore concluse: “Se si tracciano le cinque linee suggerite da Henry Lincoln [...], il risultato è con una buona approssimazione un pentacolo (sia utilizzando una mappa, sia attraverso le coordinate GPS). Per prendere a prestito una sua espressione, il Pentacolo di Montagne è quindi ‘riscontrabile e dimostrabile’. Ma lo sono altrettanto molti degli altri 174 pentacoli che ho trovato. E ci sono probabilmente migliaia di pentacoli in quell’area di Francia a causa della topografia della zona. Se il pentacolo di Lincoln fosse definito da cinque chiese (che sono molto meno numerose rispetto alle vette), la sua semplice esistenza potrebbe essere ritenuta statisticamente significativa. Ma non ci sono pentacoli del genere sulla mappa della zona. Mentre è facile mostrare quante geometrie pentagonali vengano alla luce quando dei punti vengono scelti a caso su un’area di dimensioni simili alla mappa considerata. [...] Lincoln chiede al lettore: ‘Quanto spesso ci si può aspettare di trovare caratteristiche topografiche naturali tali da realizzare uno schema così complesso e regolare?’ Se la mia analisi è servita a qualcosa, spero che abbiate capito come rispondergli.”

Pubblicato nel libro "La magia dei numeri" di Mariano Tomatis, Kowalsky editore.
Si ringrazia l'autore per aver concesso il diritto di riproduzione

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