Eppur si muove! La tavola Ouija e il Sense of Agency

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Figura 1
La tavola Ouija è uno degli strumenti più comuni usati nelle sedute spiritiche per invocare presenze dall’aldilà e dar loro una voce. Si presenta coma una semplice tavola rettangolare su cui sono stampati i numeri da 0 a 9, le lettere dell’alfabeto e le parole ʽYES’, ʽNO’ e ʽGOODBYE’ [fig. 1]. Durante la seduta spiritica, i partecipanti (almeno due) poggiano con leggerezza uno o più dita su una piccola pedina triangolare chiamata ʽplanchette’, la quale viene fatta muovere sulla tavola al fine di comporre parole e date: è lo spirito invocato che, usando le mani dei partecipanti come tramite, utilizza la Ouija per rispondere alle loro domande.

Ovviamente, affinché la seduta spiritica abbia successo, occorre che i partecipanti credano sinceramente di non esser stati loro a spostare la planchette. Ma come si può muovere le mani per comporre risposte sensate e allo stesso tempo affermare che una parte terza è da ritenere responsabile?

È questa la domanda che ha spinto i ricercatori della Aarhus University (Danimarca) a indagare il ruolo del Sense of Agency durante una seduta spiritica con la Ouija. Con Sense of Agency (SoA) ci si riferisce alla percezione soggettiva che le proprie azioni portino a conseguenze coerenti. In altre parole, a ogni azione corrisponde una conseguenza immaginata, del tipo “se spingo il bicchiere oltre il bordo del tavolo, il bicchiere cade”. Se le conseguenze reali corrispondono a quelle predette, il legame causa-effetto è evidente: son stato io a far cadere il bicchiere. Ma se la realtà non combacia con quanto atteso, ad esempio se il bicchiere si mette a fluttuare a mezz’aria, la mia responsabilità percepita diminuisce, e così il mio SoA. «Le sedute con la Ouija sono bellissimi esempi di come la percezione soggettiva di controllo – il Sense of Agency – possa essere manipolata anche in contesti di vita reale», scrivono i ricercatori. «Per la prima volta al di fuori del laboratorio, siamo riusciti a fornire una prova del perché gli utilizzatori di tavole Ouija mostrano un Sense of Agency ridotto». I ricercatori hanno ipotizzato che la sensazione di non aver avuto un ruolo nelle risposte fornite dalla Ouija possa essere dovuta alla difficoltà effettiva di predire quale sarà la parola che sarà alla fine formata dall’unione congiunta dei partecipanti.

In occasione di una conferenza sul paranormale, 40 soggetti volontari (25 femmine e 15 maschi), son stati messi a coppie e divisi in due condizioni sperimentali: nella prima, chiamata ʽvoluntary action condition’, veniva chiesto ai partecipanti di comporre intenzionalmente le parole ʽYES’, ʽNO’ e ʽBALTIMORE’; nella seconda, chiamata semplicemente ʽOuija condition’, i partecipanti potevano usare la tavola liberamente, ponendo domande a loro scelta. Grazie a una telecamera esterna e all’uso di eye tracker per ciascun partecipante [fig. 2], il team di ricerca ha potuto registrare l’interazione all’interno della coppia e allo stesso tempo tracciare i movimenti dello sguardo di ognuno: quante volte e con quanto anticipo i partecipanti spostano gli occhi sulla lettera seguente corretta? Ovvero, a che livello sono in grado di predire la lettera successiva?

Come prevedibile, i partecipanti alla ʽOuija condition’ mostrano molta più difficoltà nel predire la lettera successiva rispetto a coloro che sanno invece di dover comporre la parola ʽBALTIMORE’ e complessivamente spostano lo sguardo verso la lettera successiva corretta con una frequenza ridotta del 38%. Una simile differenza potrebbe esser dovuta al fatto che più della metà delle risposte fornite dalla Ouija (76 su 143) sono senza senso (“In che luogo sei deceduto?” “STACW”). Ma anche limitando l’analisi alle risposte sensate, i partecipanti alla ʽOuija condition’ mostrano una capacità predittiva ridotta del 21% rispetto alla modalità ad azione intenzionale. Questa difficoltà nel predire la lettera successiva può essere un elemento determinante nell’abbassamento del Sense of Agency.

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Figura 2
A questo si affianca quanto rilevato da uno studio pubblicato su Science nel 2003 da Shergill e colleghi sull’interazione tra individui e l’escalation della forza. In un semplice quanto elegante esperimento, i partecipanti vengono divisi in coppie e vien chiesto loro di stringersi reciprocamente le mani usando pari forza a quella utilizzata dal compagno. In teoria quindi, la forza dovrebbe mantenersi costante nel tempo. Ciò a cui si assiste invece è una rapida escalation: ciascuno percepisce la forza utilizzata da se stesso come inferiore a quella utilizzata dal compagno e di conseguenza ciascuno aumenta la forza utilizzata a ogni turno. È facile immaginare come un simile meccanismo possa avere un ruolo importante anche nell’utilizzo della Ouija: ognuno percepisce la propria influenza sulla plachette come irrisoria, nessuno spinge con più forza degli altri, eppure la planchette si muove! Deve essere uno spirito.

«Sembra che le risposte sensate date dalla Ouija siano una proprietà emergente dall’interazione tra menti predittive che via via danno struttura di senso a eventi inizialmente casuali» scrivono i ricercatori. I partecipanti alla seduta prenderebbero cioè inconsciamente a turno il controllo della planchette, decidendo gradualmente quale parola andare a comporre via via che le opzioni possibili diminuiscono. Quest’ipotesi viene anche sostenuta dai dati sperimentali, da cui emerge come la capacità predittiva degli individui nella condizione ʽOuija board’ migliora con un incremento costante del 5%. Com’è prevedibile, fa notare James Randi nell’Encyclopedia of Claims, nel caso in cui tutti i partecipanti alla seduta vengano bendati, non viene composta nessuna parola sensata.

Anche in questo caso, le convinzioni preesistenti giocano un ruolo fondamentale nella costruzione dell’evento e nella sua interpretazione soggettiva. Da un questionario consegnato alla fine dell’esperimento emerge infatti una forte correlazione tra credenza nella Ouija e un basso livello di Sense of Agency. In altre parole, coloro che dichiarano di credere nel paranormale sostengono in maniera coerente di non aver spinto la planchette e che uno ‘spirito’ è da ritenere responsabile delle risposte formate. Ma i dati raccolti dal questionario raccontano anche un’altra storia: i pochi scettici partecipanti all’esperimento, pur sostenendo che nessuno spirito fosse stato invocato, dichiaravano che in ogni caso il compagno aveva spinto la planchette con più forza di loro, in linea con quanto trovato da Shergill. Dunque, scettici sì ma immuni da bias... mai.

Riferimenti bibliografici

  • Andersen M., Nielbo K. L., Schjoedt U., Pfeiffer T., Roepstorff A., Sørensen J. (2018), "Predictive minds in Ouija board sessions", Phenom Cogn Sci Springer
  • Shergill, S. S., Bays, P. M., Frith, C. D., & Wolpert, D. M. (2003), "Two eyes for an eye: the neuroscience of force escalation", Science, 301(5630), 187–187

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