Movimenti misteriosi

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  • 27-10-2010
  • di Stefano Vezzani
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Consideriamo questo elenco di fenomeni "misteriosi": il pendolo magico, la rabdomanzia, il movimento dei tavolini durante le sedute spiritiche, la tavola ouija, la lettura del pensiero, cavalli e cani che sanno leggere, parlare e far di conto.

Oltre al mistero, questi fenomeni hanno un'altra cosa in comune: la loro causa, che consiste in piccoli movimenti muscolari involontari e inconsapevoli, spesso ma non sempre rientranti nella categoria delle cosiddette azioni ideomotorie . Il rapporto della causa col fenomeno è a volte piuttosto diretto, come nel caso del pendolo magico, ma altre volte è nascosto, come nel caso (di alcuni) degli animali sapienti.

Lo si capì, in gran parte, già nel corso dell'Ottocento. La storia iniziò con Chevreul, e proseguì con Carpenter, Faraday, Beard e altri. Percorriamone le tappe principali, senza pretese di esaustività.

Nel 1812 il grande chimico francese Michel-Eugène Chevreul (1786-1889) condusse esperimenti sul pendolo magico che poi descrisse nel 1833 in una lettera aperta ad André Ampère (Chevreul 1833). Il pendolo magico, o pendolino, consiste in un corpo solido attaccato ad un filo la cui estremità libera è tenuta tra le dita. Il pendolo viene tenuto sospeso, ad esempio, sopra un oggetto, una sostanza o una mappa. Anche se si cerca di mantenerlo immobile, esso ad un certo punto inizia a muoversi. Dal tipo di movimento vengono tratte inferenze di vario tipo, ad esempio sulla natura dell'oggetto sottostante. Come in tanti altri casi riguardanti il Mistero, del comportamento del pendolo vengono date spiegazioni a volte sovrannaturali (è mosso dagli spiriti) ed altre volte naturali ma pseudoscientifiche (ad esempio è mosso dalla forza odica).

Chevreul era interessato all'argomento perché alcuni suoi colleghi utilizzavano il pendolo per l'analisi dei prodotti chimici, sfruttando la sua supposta proprietà di muoversi in un modo diverso a seconda della sostanza sulla quale era sospeso: ad esempio, si diceva che il fosforo gli imprimesse un movimento rotatorio da destra a sinistra, e lo zinco da sinistra a destra.

Chevreul iniziò a sperimentare in proprio. Tenne sospeso il pendolo su varie sostanze, e constatò che in effetti esso si muoveva senza che, almeno in apparenza, fosse lui stesso a muoverlo. Egli provò allora ad interporre tra la sostanza ed il pendolo dei corpi, come ad esempio una lastra di vetro, e constatò che il pendolo smetteva di muoversi, per riprendere ad oscillare quando il corpo intermedio veniva ritirato. Tutto sembrava provare che il movimento fosse provocato da una qualche relazione tra il pendolo e la sostanza sottostante, relazione che la lastra di vetro interrompeva, facendo cessare il movimento.

Chevreul però non era ancora convinto. Cominciò a sperimentare con un sostegno di legno, nel tentativo di controllare i movimenti del braccio e della mano. Inizialmente poggiò sul sostegno l'intero braccio, e poi spostò man mano il sostegno in avanti, verso le dita; notò che il movimento del pendolo si faceva sempre più debole, fino a cessare quando Chevreul poggiò sul sostegno le dita. Sembrava dunque che fosse lui a muovere il pendolo, pur senza rendersene conto. Rimaneva però il fatto che un corpo intermedio interrompeva il movimento. Non fidandosi di se stesso, contrariamente a tanti che nel corso del tempo sono stati e continuano ad essere gabbati dai propri movimenti inconsapevoli, si bendò. Incredibilmente, il movimento cessò quasi completamente, e soprattutto divenne del tutto indipendente dalla presenza della lastra. Chevreul ne concluse che era la sua aspettativa che il pendolo si muovesse a far muovere le dita e quindi il pendolo. L'osservazione del movimento del pendolo, poi, faceva ulteriormente aumentare il movimento stesso. Quest'ultimo punto fu confermato un secolo e mezzo più tardi da Easton e Shor (1975): il pendolo si muove molto di più quando è visibile; inoltre, le sue oscillazioni aumentano anche quando si osserva un altro stimolo visivo in movimento, così come quando si sente un suono che sembra muoversi nello spazio, oppure un suono che sale e scende di frequenza.

Dopo essere pervenuto a questa spiegazione, Chevreul non fu più in grado di produrre i fenomeni che aveva osservato inizialmente. Egli propose anche che la sua spiegazione poteva essere estesa ai movimenti della bacchetta del rabdomante.

Da allora, il pendolo magico è spesso chiamato "pendolo di Chevreul" da medici e psicologi, i quali se ne sono serviti per valutare il grado di suggestionabilità di una persona: si ritiene che la persona sia tanto più suggestionabile quanto maggiori sono le oscillazioni del pendolo che essa cerca di tenere immobile.

Chevreul fu il primo a capire che esiste un solo metodo per escludere con certezza che certi fenomeni siano dovuti ai propri movimenti involontari ed inconsapevoli: mettersi nella condizione di non poter avere aspettative riguardo al risultato. In seguito questa lezione fu ricordata da alcuni, ma dimenticata o non compresa da tanti altri.

Verso il 1850 un certo signor Rutter destò l'interesse del mondo scientifico con una forma perfezionata di pendolino, detta "magnetometro", in cui una pallina pendeva da una struttura metallica che si supponeva fosse fissa. Quando un dito veniva messo in contatto con la struttura metallica, la pallina si muoveva, ed il fenomeno era attribuito all'"elettricità umana". La direzione e l'entità del movimento variava, tra le altre cose, a seconda della sostanza che si teneva in mano e sotto la pallina. Anche tra chi credeva a quanto aveva detto Chevreul vi fu chi si lasciò convincere, perché la struttura metallica sembrava offrire garanzie ben maggiori di stabilità rispetto al pendolo magico. Tra i seguaci di Rutter c'era un medico omeopata, il dottor Madden. Questi, tenendo in mano globuli contenenti i suoi rimedi, interrogò il magnetometro, ottenendo ogni volta oscillazioni che coincidevano perfettamente con le proprie aspettative. Madden, però, evidentemente memore della lezione di Chevreul, pensò saggiamente di rifare tutte le prove senza sapere che sostanza stesse tenendo in mano, facendosi consegnare di volta in volta da un'altra persona un globulo di cui ignorava il contenuto. Da quel momento, cessò ogni corrispondenza tra il contenuto del globulo e la natura delle oscillazioni. Il dottor Madden si convinse così che "il sistema che aveva costruito non aveva un fondamento migliore della propria anticipazione di quale dovesse essere il risultato" (The Quarterly Review 1853). Evidentemente era lui stesso a muovere il magnetometro, che non era così stabile come si pensava.

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Tentativi di ottenere messaggi dall'aldilà utilizzando strumenti, la scrittura automatica e la ouija board, sono in realtà governati dall'azione ideomotoria.
Nel 1852 il fisiologo inglese William Benjamin Carpenter (1813-1885) coniò il termine "azione ideomotoria" per designare quegli atti che sono compiuti in modo involontario sotto l'influenza di un'idea dominante. Lo stimolo per l'azione ideomotoria, per Carpenter, è "l'anticipazione di un certo risultato": "l'aspettativa di un risultato è sufficiente per determinare, senza alcuno sforzo volontario, ed anche in opposizione alla Volontà [...] i movimenti muscolari per mezzo dei quali esso è prodotto" (Carpenter 1876). Ad esempio, l'aspettativa che il pendolino si muoverà in senso orario genera direttamente, cioè senza l'intervento della volontà, proprio quei movimenti che faranno appunto girare il pendolino in senso orario. Insomma, si può dire, usando un'espressione contemporanea, che le azioni ideomotorie sono profezie che si autoavverano. Carpenter propose che in tal modo si potessero spiegare, oltre al pendolo magico, il movimento della bacchetta del rabdomante ed i comportamenti dei soggetti "biologicizzati" (cioè ipnotizzati, come si sarebbe iniziato a dire da lì a poco).

In seguito Carpenter tornò diverse volte sull'azione ideomotoria, approfondendone di molto la trattazione, ed utilizzandola per spiegare altri fenomeni a prima vista misteriosi (Carpenter 1876, 1877).

Molti dei movimenti involontari ed inconsapevoli di cui si parla in questo articolo e nel successivo sono azioni ideomotorie. Probabilmente, però, non lo sono tutti; ad esempio, non rientrano in questa categoria almeno alcuni dei movimenti che spiegavano le gesta dell'astuto Hans, il cavallo sapiente che è tra i protagonisti del prossimo articolo.

L'atto successivo della nostra storia si ebbe nel 1853, quando il fisico inglese Michael Faraday (1791-1867) si occupò di un strano fenomeno che era nato qualche anno prima negli Stati Uniti e che a quel tempo stava invadendo l'Europa: il fenomeno dei "tavoli giranti", in cui dei tavolini si muovevano spontaneamente, come dotati di volontà propria, durante le sedute spiritiche. Diverse persone si sedevano attorno ad un tavolo, in genere rotondo, con le mani poggiate su di esso, e cercavano di farlo muovere concentrandosi, ma rimanendo immobili. Dopo un periodo di tempo variabile, il tavolino iniziava a muoversi orizzontalmente o circolarmente, oppure batteva dei colpi.

L'impressione soggettiva di chi partecipava alle sedute era che il tavolino si muovesse da sé, e che dovesse essere seguito passivamente nei suoi movimenti. Secondo la spiegazione più comune, il movimento era dovuto all'intervento di spiriti di defunti, ma venivano avanzate anche spiegazioni pseudoscientifiche, come l'elettricità, il magnetismo, o "qualche forza fisica ignota ... capace di influenzare i corpi inanimati" (Faraday 1853b).

Faraday non era tanto convinto da queste spiegazioni. Anzi, visto che conosceva tra l'altro il lavoro di Carpenter del 1852, aveva forti sospetti su quale fosse la spiegazione reale, il che lo indusse ad eseguire alcuni esperimenti risolutivi della questione. Faraday descrive così uno degli esperimenti:

"Quattro o cinque pezzi di cartone liscio e scivoloso furono attaccati l'uno sull'altro con piccole palline di cemento, e quello inferiore [fu attaccato] ad un pezzo di carta vetrata che poggiava sul tavolo; i margini di questi fogli erano leggermente sovrapposti, e sulla loro faccia rivolta verso il basso fu tracciata una linea con una matita [...] così da indicarne la posizione. [...] Poi [i partecipanti] collocarono le mani sul pezzo di cartone superiore,e aspettammo il risultato. Ora, il cemento era forte abbastanza da offrire una resistenza considerevole al movimento meccanico, ed anche da mantenere i cartoni in qualsiasi nuova posizione che essi avrebbero potuto acquisire,e tuttavia era abbastanza debole da cedere lentamente sotto una forza continua. Quando infine il tavolo, i cartoni e le mani si mossero assieme verso sinistra [...] sollevai [i cartoni]. Ad un esame fu facile constatare dallo spostamento delle parti della linea che le mani si erano mosse più del tavolo, e che quest'ultimo era rimasto indietro,che le mani, di fatto, avevano spinto il cartone superiore verso sinistra, e che i cartoni inferiori ed il tavolo erano [...] stati trascinati da esso." (Faraday 1853a)

I partecipanti alla seduta, dunque, erano convinti di essere mossi passivamente dal tavolino, mentre in realtà erano loro a muoverlo attivamente, senza rendersene conto. Naturalmente i risultati di Faraday non convinsero i credenti, che continuarono a negare di essere loro a muovere il tavolo, semplicemente perché non erano coscienti di muoverlo. Questa è una reazione molto tipica delle vittime dei movimenti involontari: esse ritengono di potersi fidare dei propri sensi, e dunque di poter escludere di essersi mossi, dal momento che questo è quanto i loro sensi testimoniano. Il punto è però che i movimenti in questione sono non solo involontari, ma anche inconsci, ed in quanto inconsci sfuggono all'autosservazione. Il tentativo di evitarli, poi, può addirittura amplificarli, almeno in certe condizioni (Wegner, Ansfield e Pilloff 1998).

Nel 1854 Chevreul tornò sull'argomento del pendolino in un libro in cui si occupava anche della bacchetta del rabdomante e dei tavoli giranti, estendendo a questi ultimi due fenomeni la spiegazione che aveva dato nel 1833 del movimento del pendolino. Per quanto riguardava i tavoli giranti, egli si dichiarò pienamente soddisfatto dei risultati di Faraday, che rendevano superflui ulteriori esperimenti. Per quanto riguardava la rabdomanzia, Chevreul non fornì dati empirici nuovi, limitandosi a passare in rassegna in modo estremamente dettagliato l'intera letteratura esistente sul soggetto.

La rabdomanzia consiste nella supposta capacità di individuare oggetti o sostanze sepolti servendosi, di solito, di una bacchetta a forma di Y (ma anche di un pendolino). Ciascuna delle due estremità superiori della Y viene impugnata con una mano, ed il palmo della mano è rivolto verso l'alto. La bacchetta viene tenuta orizzontale, e la sua estremità libera punta verso l'esterno. Quando il rabdomante giunge sulla sostanza o sull'oggetto che sta cercando, l'estremità libera della bacchetta si abbassa, o effettua un giro completo di 360°. Anche questo fenomeno ha ricevuto e riceve spiegazioni sia sovrannaturali che naturali ma pseudoscientifiche. Nei secoli passati il movimento della bacchetta venne spesso attribuito ad un intervento diabolico, e più di recente a forze naturali più o meno note. Mayo (1851), ad esempio, spiegò il fenomeno con la cosiddetta "forza odica", "scoperta" qualche tempo prima dal barone Karl von Reichenbach. La forza odica era una forma di energia emessa da tutti gli esseri viventi e visibile al buio, ma solo da alcune persone, sotto forma di aura colorata. Naturalmente la forza odica non esiste, ma ancora oggi qualcuno continua non solo a crederci, ma anche a pensare che spieghi la rabdomanzia (Spiesberger 1989).

Come si può capire, anche questo fenomeno è un ottimo candidato alla spiegazione tramite l'azione ideomotoria. Tenere la bacchetta in posizione orizzontale, infatti, non è facile, e bastano minimi movimenti del polso perché la bacchetta esegua movimenti molto ampi. Come nel caso del pendolino, la natura dello strumento è tale da amplificare di molto i piccoli movimenti di chi lo regge.

Esaminando la letteratura precedente, Chevreul fu in grado di dimostrare che l'elemento umano è essenziale nella rabdomanzia, cioè che la bacchetta non si muove perché attratta da un oggetto o da una sostanza, come succede ad un metallo in vicinanza di un magnete. La bacchetta, infatti, non si muove se viene messa in equilibrio su un perno. Inoltre, essa si muove solo su quelle sostanze che si ha l'intenzione di trovare: se si sta cercando acqua, non si muove quando si passa sul metallo, e viceversa.

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La prospezione (part), xilografia dal libro V del De re Metallica di Georgius Agricola, 1556.
Per Chevreul, in sostanza, come nel caso del pendolino, l'aspettativa che si verificasse un certo fenomeno induceva a compiere involontariamente proprio quelle azioni che determinavano la comparsa del fenomeno: chi cercava acqua, e si aspettava che in una certa posizione ci fosse appunto acqua, giunto in quel punto, e solo in quel punto, eseguiva dei movimenti tali da far muovere vigorosamente la bacchetta. Era la stessa spiegazione di Carpenter, naturalmente, anche se Chevreul non usò mai il termine di "azione ideomotoria". Qualche anno prima Mayo (1851), che pure, come si è detto, attribuiva il fenomeno alla forza odica, aveva constatato che "quando il mio [rabdomante] sapeva in che modo io mi aspettavo che la forcella si muovesse, essa rispondeva invariabilmente alle mie aspettative; ma quando l'uomo era bendato i risultati erano incerti e contraddittori". Mayo concludeva da ciò che spesso la bacchetta veniva mossa inconsapevolmente da chi la reggeva, e metteva quindi in guardia gli sperimentatori in questo campo verso i pericoli dell'autoinganno. Qualche tempo dopo anche G. M. Beard, sul quale si tornerà tra poco, riferì di un esperimento da lui condotto su di un noto rabdomante suo amico: "Nel suo cortile [...] c'era un corso d'acqua che correva alcuni piedi sotto la superficie, attraverso un piccolo tubo. Camminando sopra e vicino a questo, la bacchetta [...] puntò fortemente verso il basso [...] parecchie volte. Io marcai queste posizioni, lo bendai, lo feci camminare fino a quando lui non seppe più dove si trovasse, lo riportai sullo stesso terreno più volte, e anche se la bacchetta si abbassò un certo numero di volte non puntò mai nelle o vicino alle posizioni che prima indicava." (Beard 1875)

Hyman (1999) tenne una dimostrazione di rabdomanzia di fronte ad una classe di studenti. Prima mostrò che il suo strumento da rabdomante reagiva in una certa posizione nella stanza, probabilmente (disse Hyman) perché lì sotto scorrevano tubature dell'acqua, e poi chiese agli studenti di impugnare essi stessi lo strumento e di muoversi per la stanza. Con stupore degli studenti lo strumento reagì nello stesso punto di prima e solo in quel punto. Naturalmente la posizione critica era stata scelta a caso da Hyman, ed ancora una volta l'anticipazione di un certo risultato aveva fatto sì che venissero eseguiti inconsapevolmente movimenti tali da determinare la realizzazione proprio di quel risultato.

Vogt e Hyman (1979) fecero una rassegna degli studi sulla rabdomanzia condotti fino a quel tempo, dalla quale risultava che né i rabdomanti né gli strumenti di cui si servono dispongono di alcun particolare potere, ed i lavori sperimentali successivi non hanno modificato di una virgola questa conclusione.

Nel 1853, quando Faraday eseguì i suoi esperimenti, il movimento spiritista era appena agli inizi, ma si trasformò molto rapidamente in una specie di epidemia che furoreggiò per tutta la seconda metà dell'Ottocento e oltre. Nell'ambito dello spiritismo, oltre ai tavoli giranti c'erano altri fenomeni suscettibili di essere spiegati dall'esecuzione di movimenti inconsapevoli. Nel 1871 uscì sulla Quarterly Review un articolo non firmato nel quale ci si occupava, tra le altre cose, della tavola ouija (senza usare questo nome).

La tavola ouija è una tavola su cui sono scritte le lettere dell'alfabeto, le cifre da 0 a 9 e spesso alcune parole, tra cui "sì" e "no". Su di essa viene messo uno strumento a forma di cuore, detto "planchette", sul quale una o più persone pongono le dita, tenendole ferme (si sostiene). La planchette si muove puntando di volta in volta verso una lettera, una cifra o una parola, componendo così dei messaggi. In un'altra versione, una matita viene collegata alla planchette, e traccia messaggi su un foglio sottostante. Il movimento della planchette viene attribuito in genere a spiriti di defunti o ad altre entità. Come si può capire, è legittimo il sospetto che anche il comportamento della tavola ouija sia spiegato (in quei casi in cui non è dovuto ad un inganno volontario) dai movimenti involontari ed inconsapevoli di chi usa la planchette.

L'autore anonimo dell'articolo in questione partecipò ad una seduta spiritica in cui si usava la tavola ouija. Dopo aver constatato che essa veniva usata con successo dalla medium, chiese a quest'ultima di rifare il tutto con gli occhi chiusi, perché se fosse stata lei stessa a muovere attivamente la planchette, senza rendersene conto, non avrebbe più ottenuto messaggi sensati con gli occhi chiusi, non potendo vedere le lettere verso le quali la planchette puntava. La medium rifiutò, in quanto se avesse accettato ciò avrebbe dimostrato una sua mancanza di fede in Dio. Un'altra medium, però, accettò, e dopo aver chiuso gli occhi i messaggi divennero del tutto incoerenti (The Quarterly Review 1871).

Penn & Teller: B.S.! è uno spettacolo americano dedicato al debunking delle teorie non scientifiche e pseudoscientifiche. La sua puntata dell'11 aprile 2003 fu dedicata alla tavola ouija. Vennero poste domande al defunto William Frawley, alle quali la planchette poteva rispondere indicando o il "sì" o il "no". Inizialmente le risposte furono coerenti. Poi però gli operatori della planchette furono bendati, e a loro insaputa la tavola fu ruotata di 180°. Da quel momento lo spirito di Frawley cominciò a dare risposte insensate, che sarebbero però state sensate se la tavola non fosse stata ruotata.

Finora si sono considerati solo i movimenti involontari che producono effetti su oggetti inanimati, ma i movimenti involontari ed inconsapevoli possono anche essere utilizzati per i propri fini da chi riesce a percepirli, si tratti di una persona o di un animale. Il comportamento che ne risulta in chi li percepisce e utilizza risulta poi incomprensibile per chi li emette.

Nell'agosto del 1873, a Chicago, tenne la sua prima dimostrazione pubblica il primo "lettore del pensiero" che acquisì vasta notorietà, lo statunitense J. Randall Brown. Brown si bendava, e chiedeva ad una delle persone presenti di nascondere un oggetto a scelta in un luogo a scelta; poi chiedeva a quella stessa persona di appoggiargli sulla fronte il dorso della propria mano, e di concentrarsi fortemente ed in modo esclusivo sulla posizione dell'oggetto nascosto. Brown toccava con le proprie dita quelle della mano poggiata sulla sua fronte, e poi cominciava a muoversi per la stanza, riusciva ad avvicinarsi gradualmente all'oggetto ed infine a trovarlo, per quanto piccolo e ben nascosto esso fosse. Era come, insomma, se riuscisse a leggere i pensieri della persona con cui era in contatto fisico.

Brown ebbe fin da subito molti imitatori, anche perché molte persone che assistevano agli spettacoli, una volta a casa, provavano a loro volta, e spesso scoprivano di riuscire esse stesse nell'impresa! Il fenomeno arrivò presto in Europa, dove divenne molto famoso Stuart Cumberland, tanto che il fenomeno cominciò ad essere chiamato "cumberlandismo". Questi nuovi lettori del pensiero utilizzavano anche altre forme di contatto tra se stessi e la propria guida, oltre a quella usata da Brown; ad esempio, il lettore poteva tenere la guida per la mano. Inoltre non si limitavano a trovare oggetti nascosti ma, ad esempio, sapevano riprodurre su una lavagna una figura geometrica pensata dalla guida.

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Una tavola Ouija, in origine pensata per comunicare con gli spiriti e oggi prodotta dalla Parker Brothers, la stessa del Monopoli, come gioco di società.
Come spesso avviene, molti scienziati si lasciarono beffare (vedi ad esempio McGraw 1875; Lombroso, Grimaldi e Ardu 1891). Nel 1874, però, Brown fu studiato dal neurologo George Miller Beard. Beard giunse alla conclusione che la lettura del pensiero era in realtà una "lettura muscolare" (muscle reading) (Beard 1875, 1877, 1882). Secondo Beard, Brown riusciva a capire in che direzione doveva dirigersi dai piccoli movimenti eseguiti dalla mano che gli veniva posta sulla fronte, e dalla resistenza che il braccio della sua guida opponeva ai movimenti in varie direzioni di Brown. Le reazioni della persona che fungeva da guida svolgevano insomma la stessa funzione delle parole "fuoco" e "acqua" nel noto gioco infantile. Come si disse in seguito: "Per riassumere l'intera arte della lettura del pensiero, essa consiste semplicemente nel "muoversi lungo la linea di minima resistenza"" (Burlingame 1904). La guida non si rendeva conto di tutto ciò, naturalmente. Anzi, negli anni successivi si constatò che molte persone a cui veniva "letto il pensiero" non credevano alla spiegazione basata sulla lettura muscolare, quando questa veniva loro proposta, proprio perché non erano disposte a credere di muoversi senza rendersene conto (Downey 1909, p. 275). Ma, oltre a ciò, anche chi "leggeva la mente" spesso non era affatto cosciente del modo in cui ci riusciva. Lo stesso Cumberland scrisse: "All'inizio le mie esibizioni rendevano perplesso anche me, e non riuscivo a spiegarle facilmente; poiché, quando si è giovani, si è portati ad immaginare di avere doti sovrannaturali [...] Ma mentre eseguivo le dimostrazioni mi posi il compito di arrivare ad una spiegazione [...] ed infine mi convinsi che, anziché esserci qualcosa di carattere occulto nei miei esperimenti, essi erano tutti spiegabili in modo puramente naturale" (Cumberland 1888, pag. 4)

Cumberland non solo non pretendeva di avere doti sovrannaturali o telepatiche, ma era anche un debunker dello spiritismo.

Quella di Beard della lettura muscolare era all'inizio, però, soltanto un'ipotesi. Una prima prova che l'ipotesi era corretta si ebbe a Londra nel 1881, quando diversi scienziati della Royal Society si riunirono per esaminare il lettore del pensiero W. I. Bishop. Bishop era desideroso di farsi studiare, perché sosteneva di non sapere assolutamente come riuscisse a compiere le proprie imprese. Uno dei risultati fu che, se la persona che aveva nascosto l'oggetto e fungeva da guida per Bishop era bendata, Bishop falliva sistematicamente. Naturalmente questa fu considerata una prova a favore della teoria di Beard (Romanes 1881).

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Un'altra prova fu fornita dallo psicologo J. Jastrow (1892, 1900), il quale chiese a dei soggetti di nascondere un oggetto all'interno di una stanza, e di pensare poi intensamente al nascondiglio tenendo una mano poggiata su uno strumento che misurava i movimenti della mano stessa, con l'istruzione di tenerla ferma. Jastrow trovò che la mano si muoveva nella direzione dell'oggetto nascosto, senza che il soggetto se ne rendesse conto.

Sia Beard che Cumberland negavano in modo risoluto che si potesse leggere il pensiero di una persona senza che ci fosse una qualche forma di contatto fisico con essa. Presto, però, divenne chiaro che i due si sbagliavano. Nel 1897 venne ad esibirsi in Italia il lettore del pensiero John Dalton, che si lasciò studiare da Guicciardi e Ferrari (1898; Ferrari 1899). Dalton aveva successo senza alcun contatto fisico, utilizzando un indizio uditivo, cioè la respirazione della sua guida. Molti anni più tardi venne studiato Eugen de Rubini, un altro lettore del pensiero che aveva successo senza contatto; si accertò che si serviva di indizi visivi, anche se non fu possibile chiarire di quali (Stratton 1921).

Oggi il cumberlandismo non è più di moda come nella seconda metà dell'Ottocento. Chi volesse imparare a praticarlo può consultare Banachek (2002), ma non deve attendersi grandi risultati fin da subito, poiché questa capacità, come gran parte delle capacità umane, si affina moltissimo con la pratica.

Oltre alla lettura muscolare c'è almeno un altro nesso tra la telepatia apparente e i movimenti involontari. Hansen e Lehmann (1895) dimostrarono che negli esperimenti sulla telepatia il soggetto che invia il messaggio tende a sussurrare molto debolmente, senza rendersene conto, il messaggio che dovrebbe inviare solo mentalmente, e che questi debolissimi sussurri possono essere utilizzati dal soggetto ricevente per "leggere la mente" di chi invia il messaggio. Molto tempo dopo Kennedy (1938, 1939) ripeté, migliorandoli, gli esperimenti di Hansen e Lehmann.

Nell'articolo successivo, Hans e i suoi eredi, si vedrà che nel 1904 anche un cavallo, l'astuto Hans, si dimostrò in grado di servirsi dei movimenti involontari e inconsapevoli degli esseri umani per i propri fini, e che negli anni successivi altri cavalli e cani raccolsero l'eredità di Hans. Del resto Beard, in modo preveggente, disse che "ogni cavallo [...] è un lettore muscolare; esso legge la mente di chi lo conduce attraverso la pressione sul morso, e [...] sa quando avanzare, quando fermarsi e in che direzione voltare, senza che sia pronunciata una sola parola di comando" (Beard 1877).
Oskar Pfungst, lo psicologo che smascherò Hans dimostrando che il cavallo reagiva a movimenti minuscoli da parte di chi lo interrogava, riuscì ad acquisire le stesse capacità del cavallo, imitandolo. Chiedeva al suo soggetto, ad esempio, di immaginare un numero, e poi cominciava a battere la mano, così come Hans batteva lo zoccolo. Se veniva pensato "6", una volta battuti sei colpi il soggetto alzava molto leggermente il capo, senza rendersene conto, ed a quel punto Pfungst smetteva di battere la mano. In tal modo riusciva a leggere la mente dei suoi soggetti, con grande stupore di questi ultimi.

Come si è visto, i movimenti non intenzionali ed i loro effetti sorprendenti sono noti da moltissimo tempo, per cui ci si può attendere che oggi non si caschi più nella loro trappola. Purtroppo le cose non stanno così. Un esempio recente del fatto che anche in questo caso la storia si ripete è quello della "comunicazione facilitata", di cui si cominciò a parlare negli anni '80.

La comunicazione facilitata è una tecnica il cui scopo è di consentire ai bambini autistici gravi, normalmente incapaci di usare qualsiasi forma di linguaggio, di comunicare. Consideriamo un esempio: una bambina autistica che non è in grado parlare, e alla quale nessuno ha mai insegnato a leggere e a scrivere, si esprime magnificamente usando una tastiera. La sua mano, però, è tenuta ferma da quella di un adulto, che l'aiuta nello scrivere correttamente. La teoria sottostante questa pratica è che i bambini autistici abbiano capacità cognitive almeno normali, ma che non riescano ad esprimerle per limitazioni fisiche. Reggendo la mano dell'autistico mentre questa si muove sulla tastiera, le limitazioni fisiche verrebbero eliminate, consentendo al soggetto di esprimersi in tutte le sue potenzialità. E queste potenzialità sarebbero veramente grandi, spesso superiori a quelle di individui della stessa età. Sorprendente è anche il contenuto di diversi messaggi generati con questa tecnica: negli anni '90, molti soggetti "facilitati" comunicarono di aver subito abusi sessuali in famiglia.

In una rassegna recente dei lavori sulla comunicazione facilitata si traggono conclusioni decisamente negative sull'efficacia di questa tecnica: quando vengono predisposti adeguati controlli sperimentali si trova invariabilmente che la tecnica non è efficace (Mostert 2001). L'esito degli esperimenti seri è sempre lo stesso: è il facilitatore che scrive, involontariamente e senza rendersene conto, non il soggetto "facilitato". Un semplice controllo consiste nel far leggere due domande diverse al facilitatore e al facilitato: quale delle due domande riceverà una risposta attraverso la tastiera? Invariabilmente si tratta della domanda posta al facilitatore. Anche in questo caso, l'aspettativa positiva del facilitatore è una profezia che si autoavvera, grazie ai movimenti involontari e inconsapevoli che essa provoca nel facilitatore stesso.

Nessuna capacità eccezionale, dunque, e nessun abuso sessuale, e molto bene ha fatto Gina Green, direttrice della ricerca al Centro per l'Autismo del New England, a paragonare la comunicazione facilitata alla bacchetta del rabdomante e alla tavola ouija (http://www.skepticfiles.org/skmag/fac-com.htm ).

Per un approfondimento di tutto ciò che riguarda le azioni non intenzionali si consiglia Spitz (1997).

Bibliografia


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  • Beard G. M. (1875). Muscle-Reading versus "Mind-Reading". Detroit Review of Medicine and Pharmacy, 11, pagg. 520-527
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