Il mondo di oggi agli occhi di un fisico

Intervista con Jim Al-Khalili

  • In Articoli
  • 05-02-2021
  • di Barbara Gallavotti
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Jim Al-Khalili. ©Vera de Kok Wikimedia
Jim Al-Khalili, lei è un fisico nucleare teorico, saggista, autore e scrittore di molti libri di successo: da “La casa della saggezza – L’epoca d’oro della scienza araba”, a libri di fisica quantistica come la sua ultima opera, “Il mondo secondo la fisica”, pubblicata in italiano da Bollati Boringhieri. Io ho letto il suo libro, e quindi mi sono resa conto di avere un problema: abbiamo concordato che questa intervista durerà circa trenta minuti, ma non abbiamo specificato a quale piano dobbiamo misurarli! Professor Al-Khalili, ci dica: quanto è grave questo problema?

Un problema affascinante: non lo definirei molto grave, ma c'è. Si riferisce alle conclusioni della teoria sulla relatività di Einstein, note ormai da più di un secolo, secondo le quali la gravità influenza la velocità a cui scorre il tempo. La maggior parte di noi – soprattutto chi non è un fisico – pensa al tempo come assoluto e indipendente dal resto. Sì, nel mondo troviamo diversi fusi orari, ma si tratta solo di un'invenzione umana per assicurare a tutti le stesse ore ogni giorno. Pensiamo che il tempo scorra al ritmo di un orologio cosmico che scandisce secondi, minuti, ore, anni, uguali in tutto l’universo. Einstein dimostrò che questo non è vero: la gravità studiata da Newton e Galileo non è semplicemente una forza che ci spinge al suolo e mantiene la Luna in orbita intorno alla Terra, ma influenza sia lo spazio che il tempo.

Sul nostro pianeta, quanto più vicini si è al centro della Terra, tanto più forte è il campo gravitazionale, perciò il tempo trascorrerà più lentamente. Quindi è legittimo pensare a che piano stiamo e chiederci cosa siano 30 minuti: più in alto ci troviamo, più siamo lontani dal centro della Terra, di conseguenza la gravità è leggerissimamente più debole e il tempo va un po’ più veloce. Una differenza minuscola, di miliardesimi di secondo: non ce ne potremmo mai accorgere se non fosse per la tecnologia. La cosa è interessante perché il GPS satellitare (quello che usiamo sui nostri smartphone e che ci dice dove siamo nel mondo) usa informazioni dai satelliti, i quali devono misurare lo stesso scorrimento del tempo in orbita e sulla superficie. Ma sui satelliti, che sono più distanti dalla Terra, il tempo scorre più velocemente: quindi dobbiamo artificialmente rallentare i loro orologi affinché siano sincronizzati con la Terra. La teoria di Einstein non è una folle idea fantascientifica: è reale, e da essa dipende la nostra tecnologia. La trovo una cosa estremamente affascinante.

Andiamo al cuore della fisica. Nel 2012 al CERN fu annunciata la scoperta del bosone di Higgs: fu un momento di grande eccitazione, perché questa particella, cercata da mezzo secolo, era l’obiettivo principale dei fisici sperimentali delle particelle e serviva ai teorici per avere conferme. Allora molti altri obiettivi parvero a portata di mano: mi ricordo alcuni fisici asserire che la supersimmetria sarebbe stata scoperta in sei mesi. Poi è arrivata una sorta di disillusione: sembra che i fisici non solo siano in difficoltà nel trovare risposte, ma che non sappiano neppure come porre le domande. Cosa non torna nel modo in cui avete immaginato l’universo?

Mi ricordo molto bene la scoperta del bosone di Higgs nel 2012 e tutta l’eccitazione che ne derivò. La cosa interessante fu che il Large Hadron Collider e gli esperimenti al CERN vennero discussi da un ampio pubblico. Ne parlavano i giornali e le persone senza un background scientifico: “Hai sentito di questa nuova particella di Higgs? Non so cosa sia, ma è molto interessante e ci aiuta a capire meglio i segreti dell’universo”. Dal punto di vista del comunicatore scientifico fu meraviglioso, generò moltissimo interesse.

Fra i fisici c’era in effetti la speranza che questo avrebbe condotto a nuove scoperte e passi avanti. A dirla tutta, per alcuni fisici non coinvolti nell’esperimento al Large Hadron Collider sarebbe stato più interessante se la scoperta non ci fosse stata! Sembrerà strano, ma avrebbe significato che c’era della fisica nuova ancora da scoprire. Il bosone di Higgs fu ipotizzato più di mezzo secolo fa da Peter Higgs e altri, cosa che gli valse il premio Nobel al momento della conferma: insomma, più o meno ce l’aspettavamo. La vera sorpresa è che non sia stato seguito da altre scoperte.

L’idea della supersimmetria, ovvero una descrizione matematica dei mattoni che costituiscono l’universo, sarebbe molto comoda se fosse vera. Tuttavia, non abbiamo trovato nessuna prova del fatto che la natura si comporti in modo supersimmetrico, e ciò è sorprendente: vuol dire che abbiamo un’immagine incompleta dell’universo e della realtà fisica. Non sappiamo di cosa sia fatta la materia oscura, non sappiamo cosa sia l’energia oscura, non sappiamo se raggiungeremo mai una teoria del tutto, una teoria che unifichi tutte le forze e i fenomeni nell’universo fisico.

Nel 2012 ci entusiasmava l’idea che, forse, si stesse avvicinando la fine della fisica; ora ci siamo resi conto che potrebbe essere più lontana di quanto credessimo. Secondo me è un bene. Certo, trovo frustrante che ci siano ancora domande per le quali non abbiamo risposta, ma al contempo mi entusiasma: se avessimo tutte le risposte la vita sarebbe noiosa, io ad esempio non avrei un lavoro!

Nella fisica ogni progresso deriva dall’interazione fra teorici e sperimentali: i primi si pongono domande, magari osservando un fenomeno, e cercano di trovare una spiegazione disegnando un modello; ai secondi spetta mettere alla prova la teoria inventando un esperimento che la confermi o la neghi. Solo che adesso alla fisica servono strumenti molto costosi; occorre unire le forze in grandi collaborazioni internazionali. Visto il grosso dibattito anche nella comunità dei fisici, quale sarà il prossimo strumento di cui ha davvero bisogno la fisica: un nuovo acceleratore di particelle, più potente di LHC? Strumenti mandati nello spazio? O altro ancora?

Il mio background di ricerca è la fisica nucleare, che si distingue dalla fisica delle particelle ad alta energia studiate al Large Hadron Collider. Ovviamente si fanno esperimenti di fisica nucleare anche al CERN con altri strumenti. Per quanto riguarda la mia area, teoria ed esperimenti si sono sempre mossi in parallelo: non sempre accade che i teorici propongano una nuova ipotesi, equazione o teoria e che successivamente gli sperimentali la verifichino. A volte accade il contrario: gli sperimentali conducono un esperimento, raccolgono i dati, vedono qualcosa di interessante, poi intervengono i teorici per cercare di interpretarli o sviluppare un modello che li spieghi, e si procede in questo modo.

A proposito del lavoro che si svolge al Large Hadron Collider, è vero, non credo abbiamo ancora raggiunto il limite: penso invece che ci sia ancora molto da fare nel campo della fisica delle particelle ad alta energia, molti altri dati da studiare. Ma come muoverci verso la fase successiva: costruendo un collisore più grande? Sono molto costosi e una nazione da sola non può sviluppare un progetto del genere, per questo occorrono collaborazioni internazionali. Anche altri scienziati sono piuttosto cauti nell'acconsentire a un’impresa simile, dato che la scienza è vasta e varia, mentre le risorse sono finite: se si investe molto in un progetto, altri non saranno finanziati. D’altronde nella fisica delle particelle e in astronomia questo è ciò che si definisce Big Science e richiede molto lavoro.

Sono dell’opinione che, per quanto sia giusto pensare a nuovi collisori e macchinari più grandi, gli sviluppi interessanti verranno da progetti meno costosi. Certo, ci sarà presto il lancio del telescopio spaziale James Webb, che sostituirà il telescopio Hubble e che riuscirà a osservare l'universo con molto più dettaglio; è molto costoso, ma è stato costruito e il progetto è in corso. Forse però potranno esserci esperimenti molto più semplici e condotti in laboratori più piccoli per investigare la natura in modi nuovi e con un minor dispendio economico. Credo che noi scienziati, soprattutto noi fisici, abbiamo bisogno di più immaginazione nel trovare modi per sperimentare le nostre teorie; una teoria vale solo quanto le previsioni che fa, e queste vanno testate nella realtà. Non c’è vantaggio nella matematica elegante: sarà esteticamente piacevole per un fisico teorico o un matematico, ma non è scienza a meno che non sia testabile con l’osservazione.

Il progresso della scienza spesso è ostacolato da cose che non hanno niente a che fare con essa. È stato ipotizzato che la scienza greca si sia fermata con la fine del periodo ellenistico, dovuta all’espansione dell’Impero Romano, e che le conoscenze siano state portate avanti dalla cultura islamica, poi dal Rinascimento europeo, e così via fino ad oggi. Pensa che al momento ci sia qualcosa che minaccia il progresso scientifico?

Stiamo vivendo tempi molto pericolosi durante la pandemia di Covid-19. Sembra anche diffondersi un sentimento antiscientifico, spesso incoraggiato dai social media, dalla polarizzazione delle opinioni e dalle ideologie: lo vediamo in Europa, in America, in molti paesi del mondo. L’età dell’oro della Grecia e dell’Impero Romano entrò in declino, poi l’Impero Islamico sorse e tramontò a sua volta, poi ci furono il Rinascimento e la rivoluzione scientifica in Europa che crebbero con Copernico, Galileo e Newton e così via. Se ci pensiamo, naturalmente siamo portati a preoccuparci: forse abbiamo vissuto un periodo limitato di illuminismo e adesso stiamo andando verso tempi più bui?

Non penso che sia così, sono ottimista: non sono religioso, sono un umanista, ho un atteggiamento positivo nei confronti dell’umanità. Nonostante tutta la negatività e certe cose davvero deprimenti (come i nostri politici), credo che in generale la società comprenda quanto sia stata importante la scienza nel trasformare il nostro mondo: nel campo della salute e della medicina, della tecnologia, nella nostra comprensione della natura. Non penso che ci troviamo nella posizione di buttar via tutto questo e avviarci verso un’età buia, antiscientifica e superstiziosa. C’è sempre stata una minoranza di persone che guarda alla scienza con sospetto, ma secondo me la maggior parte delle persone riconosce ancora il suo valore per il mondo.

Torneremo sull’antiscienza più avanti. Ora parliamo un po’ di meccanica quantistica. Si dice che il premio Nobel Richard Feynman abbia detto: “Se qualcuno sostiene di aver capito la meccanica quantistica, allora non l’ha capita affatto”. Non siamo mai sicuri della veridicità delle frasi famose, ma questa almeno è rassicurante, almeno per chi come me, purtroppo, la meccanica quantistica non può dire di averla capita. Eppure, la meccanica quantistica viene chiamata in causa per spiegare tutto quello che non capiamo, compreso il funzionamento della mente umana. Ha in effetti già cambiato la nostra visione della natura. Ci stiamo forse aspettando troppo?

No, non penso che ci aspettiamo troppo da essa. La meccanica quantistica ha trasformato il nostro mondo, probabilmente più di ogni altra area scientifica – anche se penserete che io, da fisico quantistico, tiri acqua al mio mulino. Quando Feynman disse che nessuno capisce davvero la meccanica quantistica, si riferiva al fatto che non abbiamo ancora un'interpretazione condivisa del suo significato. La meccanica quantistica è una teoria matematica che descrive la natura del mondo microscopico; le particelle che costituiscono gli atomi si comportano in maniera molto diversa da quella degli oggetti di tutti giorni, cioè dalla fisica di Newton e Galileo che impariamo a scuola. È un nuovo tipo di meccanica (dico nuova, ma esiste da un secolo) molto potente e molto precisa.

Quello che non capiamo è come interpretare esattamente ciò che avviene nel mondo subatomico, e ci sono molti modi diversi di interpretarlo. Alcuni fisici dicono che esistono universi paralleli. Pensiamo al famoso esempio del gatto di Schrödinger nella scatola, allo stesso tempo vivo e morto: quando si aprirà la scatola in un universo si vedrà un gatto morto, ma in un universo parallelo ci sarà un gatto vivo. Suona come metafisica o fantascienza... Secondo altre interpretazioni, invece, la realtà non esiste: il gatto non esiste finché non si apre la scatola e si crea la realtà. E non mi addentrerò nel resto.

Anche se le varie interpretazioni portano a confusione, siamo in grado di capire la meccanica quantistica come teoria e costrutto matematico: è uno strumento molto potente che ci ha aiutato a sviluppare tutte le moderne apparecchiature elettroniche. Senza la sua comprensione, non staremmo avendo questa discussione sui nostri computer.

Credo che arriverà ancora dell’altro, che non abbiamo raggiunto la fine della strada. Non possiamo però negare che la meccanica quantistica sia stata finora una teoria scientifica di grandissimo successo.

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Simulazione Geant4 di un evento in un acceleratore di particelle che dovrebbe generare un bosone di Higgs.©Lucas Taylor- CERN Wikimedia


Nel suo libro un intero capitolo è dedicato alle applicazioni della fisica. Abbiamo già nominato il GPS; noi giornalisti scientifici amiamo molto ricordare che il web è stato sviluppato al CERN di Ginevra, e si presta bene alla comunicazione anche per voi fisici, nel momento in cui cercate il supporto che serve a condurre le vostre attività. Però lo scopo principale della ricerca di base non sono le applicazioni, ma la conoscenza. Pensa che sia possibile avere il supporto e i fondi necessari per la ricerca fondamentale senza citarne le applicazioni?

Sì, secondo me è possibile. Per come la vedo io, in una società illuminata dovremmo valorizzare la ricerca di nuove conoscenze fine a sé stessa, senza dover sempre fornire una ragione. Una ventina di anni fa pubblicai una serie di articoli su un tipo particolare di nucleo atomico che ha una struttura peculiare: i protoni e i neutroni che lo compongono sono disposti in modo molto strano per via della meccanica quantistica. Era una faccenda affascinante che portai in molte conferenze. Ma se qualcuno mi avesse chiesto: “E quindi? Può darmi una nuova tecnologia? Può portare a un nuovo strumento o dispositivo?” avrei risposto che no, serve solo a capire qualcosa di più sui mattoni che compongono l’universo.

Sicuramente le società di finanziamento e i governi dei vari Paesi devono stanziare fondi in molti ambiti: salute, educazione, difesa, affari, gestione della società... La scienza non può limitarsi a dire che occorre dare soldi al tal gruppo di persone curiose del mondo, molto brave in matematica o impegnate in un laboratorio, affinché pensino a cose profonde che non avranno alcun impatto sul resto della società. Non suona certo come una gran proposta. Sappiamo però questo: nel corso della storia, più comprendiamo e conosciamo il mondo attraverso la scienza, più possiamo migliorarlo. Anche se esistono le applicazioni derivate dalle scoperte scientifiche, non dovremmo sempre fare scienza con quell’obiettivo finale in testa.

Com’è noto, nel XIX secolo Michael Faraday stava lavorando sull’elettricità, sul magnetismo e sulle spire. Non ha pensato che si sarebbe messo a costruire il motore elettrico e sviluppare l’elettricità, ne era solo affascinato: ma grazie alla sua fascinazione, la sua ricerca guidata dalla curiosità portò a una trasformazione del nostro mondo. Quindi dovremmo continuare ad acquisire conoscenza fine a sé stessa. Le applicazioni tecnologiche seguiranno inevitabilmente: forse non il giorno dopo, forse 10 o 15 anni più tardi, ma prima o poi quella conoscenza tornerà utile.

In effetti è stato detto che non si sarebbe mai potuta ottenere la lampadina migliorando all’infinito la candela: per arrivare alla lampadina ci è voluto un completo cambio di punto di vista, che solo la ricerca fondamentale può dare. È difficile fare una classifica, ma nella sua opinione, qual è l’applicazione per la quale dobbiamo essere più grati alla ricerca fondamentale in fisica, almeno negli ultimi anni?

Se parliamo degli anni più recenti devo pensarci un po’, perché chiederci cosa dobbiamo alla fisica è una domanda troppo grande. Cosa dobbiamo alla chimica? Cosa dobbiamo all’ingegneria? La genetica, l’informatica, la medicina, si sovrappongono e si influenzano l’un l’altra, aiutandoci a sviluppare nuove idee e nuove tecnologie che hanno migliorato le nostre vite. Per limitarmi alla fisica fondamentale degli ultimi anni, direi probabilmente il prossimo livello di comprensione del mondo quantistico, per quanto sia ancora in divenire.

Nell’ultimo secolo la meccanica quantistica ci ha permesso di comprendere la natura della materia, del modo in cui l’elettricità si muove nei materiali. Grazie ad essa abbiamo sviluppato l’elettronica moderna: i semiconduttori, il chip di silicio, il computer, gli smartphone. Questa era la quantistica versione 1.0. Nel XXI secolo ci sarà la quantistica 2.0 che di nuovo trasformerà la società. Ora, per esempio, stiamo lavorando allo sviluppo di computer quantici, crittografia quantica, persino a idee fantascientifiche come il teletrasporto quantico. Questo trasformerà le nostre comunicazioni e permetterà forse di risolvere alcuni dei problemi della società che sono troppo difficili per i normali computer, anche per i supercomputer più potenti. Penso quindi che per la fisica fondamentale la prossima generazione di idee quantistiche sarà la più importante.

Torniamo sull’antiscienza, un tema molto caro al CICAP. Quando parliamo di antiscienza tendiamo a pensare che chi la sostiene viva nel passato. Io non credo che sia così, visto che anche nelle epoche remote c’è sempre stato qualcuno che cercava di capire la natura, il mondo, l’universo. Invece è come se chi sostiene posizioni antiscientifiche oggi ignorasse la storia dei progressi che ci hanno portato fino al mondo attuale. Così siamo ancora alle prese con domande già risolte da secoli o da decenni, come: la Terra è piatta? Tutti gli esseri viventi sono stati creati in sei giorni, come dice la Bibbia? I vaccini funzionano? L’omeopatia è meglio di un placebo? Sembra quindi che la scienza abbia cambiato la nostra vita, ma non sia riuscita a cambiare le nostre menti. Qual è quindi il problema della scienza? Perché non riesce a cambiare il nostro modo di vedere le cose, anche se alla fine ci fornisce le risposte più semplici?

È vero che non si tratta di un problema nuovo: ci sono sempre state persone sospettose nei riguardi della scienza e di certe conclusioni che essa ci mostra; ci sono sempre state persone convinte che la Terra sia piatta benché, come dice, anche gli antichi Greci sapessero che è tonda dall’inclinazione del Sole.

Uno dei problemi è che l’uso della tecnologia (che la scienza stessa ci ha messo a disposizione) incoraggia la gente a strillare più forte contro la scienza. I social media hanno contribuito ad amplificare alcune di queste idee antiscientifiche. L’Associazione della Terra Piatta sta crescendo ultimamente, nonostante tutte le prove disponibili che il mondo non è piatto. La trovo un’idea buffa. Le persone che credono nella Terra piatta non sono stupide: credono di pensare in modo scientifico, credono di cercare le prove e di testare ipotesi; sostengono di fare scienza anche loro, ma chiaramente selezionano le prove che vogliono. Non costituiscono un grosso rischio. Sono molto più pericolosi, invece, coloro che non credono ai vaccini o al fatto che il clima della Terra venga cambiato dalle nostre azioni: questo sì può provocare danni veri, specie se i politici e chi è al potere adottano a loro volta tale atteggiamento.

Penso che un modo di affrontare il problema sia non limitarsi a spiegare la scienza: non soltanto parlare del bosone di Higgs, della più recente scoperta astronomica o di quanto strana e misteriosa sia la meccanica quantistica, ma trasmettere il metodo scientifico, il modo in cui funziona la scienza; spiegare cosa fanno gli scienziati per convincersi che quello che scoprono sia una verità che riguarda la realtà oggettiva; cercare di trasmettere l’idea che non tutte le verità siano uguali. Non si può dire che un’opinione vale l’altra, mettendo sullo stesso piano un esperto armato di prove che ha passato anni a studiare qualcosa, e una persona che ha letto qualcosa su YouTube o ci ha pensato bevendo una birra. Dobbiamo mostrare che nella scienza bisogna innanzitutto essere preparati a cambiare idea - e alle persone non piace farlo: gli psicologi lo sanno, di fronte a una visione fissa o una questione ideologica è molto difficile persuadere qualcuno a cambiare idea. Ma nella scienza non operiamo così: se la mia teoria non è confermata dagli esperimenti, devo abbandonarla oppure migliorarla o cambiarla in qualche modo. Occorre quindi comprendere l’importanza delle prove, essere capaci di cambiare idea, essere pronti ad ammettere i nostri errori, perché è così che si impara; essere capaci di ascoltare, dibattere, discutere e trovare consenso.

Una delle caratteristiche della società moderna è che abbiamo perso la capacità di vedere le sfumature di grigio. Ogni questione viene polarizzata: se non sei al 100% con me, sei mio nemico, soprattutto sui social media. Nella scienza non funziona così. Si riconosce chi ha centrato un punto e chi un altro, ma la verità potrebbe stare nel mezzo. Ecco, dobbiamo trasmettere a una fetta più larga della società tutti questi modi di fare scienza.

Sono ottimista circa l’umanità. Le persone non sono tutte cattive; pensano di fare la cosa giusta, credono di comportarsi bene. Dobbiamo solo cercare di mostrar loro, senza rimprovero o arroganza, che la scienza progredisce in modo attento cercando di raggiungere la verità che è là fuori. Trovo disturbante l’idea del relativismo culturale, secondo cui in qualche modo tutti i punti di vista e le opinioni sarebbero ugualmente validi. Certo, dobbiamo ascoltarci l’un l’altro; io non ho completamente ragione e tu non hai completamente torto. Ma là fuori c’è una realtà che noi scienziati stiamo ancora cercando di capire.

Traduzione di Veronica Padovani, revisione editoriale di Beatrice Schembri

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