Il vaccino prima del vaccino

La storia tormentata di una fondamentale scoperta e i meriti di una pratica poco conosciuta che in Europa già ottant’anni prima di Jenner aveva comunque drasticamente ridotto la mortalità da vaiolo.

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  • 12-11-2021
  • di Luciano Di Tizio
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Le pagine 192 e 193 del primo numero del “Commercio scientifico…” che contengono il commento del giornale sulla variolizzazione dei fanciulli
Procediamo con ordine: Edward Jenner (1749-1823), medico e naturalista inglese, è ricordato negli annali della medicina per avere introdotto il vaccino contro il vaiolo ed è per questo considerato, con giusto merito, il padre dell’immunologia. “Introdotto” e probabilmente pure “inventato” anche se sulla priorità nella scoperta non c’è unanimità di consensi: non manca infatti chi sostiene si debba più propriamente parlare di “miglioramento”, sia pure di enorme portata, e non già di “invenzione”. Una polemica di vecchia data: sir Francis Darwin, parlando di un altro grande scienziato britannico, Francis Galton (1822-1911), esploratore, antropologo e climatologo, disse: in science credit goes to the man who convinces the world, not the man to whom the idea first occurs[1], frase che in italiano suona più o meno così: nella scienza il merito va all’uomo che convince il mondo, non all’uomo che ha per primo l’idea. Jenner in effetti ebbe l’idea e la sperimentò, prima di annunciarla e di avviare la lunga lotta per, come diremmo oggi, convincere il mondo accademico e le autorità politiche della validità della sua intuizione. Il medico inglese tuttavia non era partito da zero, ed è questo l’aspetto che si tende a trascurare: già 80 anni prima della sua intuizione il vaiolo si combatteva con discreti risultati anche se con percentuali di mortalità importanti che soltanto con il vaccino si sarebbero notevolmente ridotte.

Ma torniamo al racconto. Apro però subito una parentesi per dirvi che Jenner fu uomo di multiforme ingegno e con vasti interessi: tra l’altro coltivò una passione per le mongolfiere, costruendone e sperimentandone personalmente alcune. Fu anche naturalista e in questo campo vanta un merito sicuramente meno noto rispetto a quello in campo sanitario: è stato lui a scoprire sia che il cuculo ha per la riproduzione un comportamento parassitario deponendo il suo unico uovo nel nido di una involontaria balia, sia il fatto che poi il pulcino si sbarazza dei fratellastri facendoli impietosamente cadere per avere tutte per sé le attenzioni della matrigna, cieca di fronte all’inganno persino quando l’uccello che quotidianamente nutre diventa ben più grande di lei. In età matura si interessò anche di fossili, pur senza avere, nella sua epoca, gli strumenti scientifici per chiarirne l’origine né tantomeno l’appartenenza. Altre storie, direte, ma ve le racconto semplicemente per esaltare la curiosità e la capacità di osservare e dedurre che certamente a Jenner non facevano difetto.

Aggiungo un secondo inciso, forse un po’ meno lusinghiero: suo maestro negli studi e amico è stato John Hunter (1728-1793)[2], un medico certamente capace a sua volta di grandi intuizioni (a lui si attribuisce il merito di aver trasformato in una specialità della medicina la chirurgia, prima esercitata da mestieranti abili ma spesso senza alcuna preparazione accademica), ma di discutibile dirittura morale: fomentava furti di cadaveri dai cimiteri per avere materiale anatomico da studiare e da far studiare ai suoi allievi e, tanto per dirne una, estraeva denti sani a povera gente per reimpiantarli a caro prezzo a pazienti in grado di pagare le sue onerose parcelle. Un tipetto del tutto particolare: non a caso è stato proprio lui a ispirare Robert Louis Stevenson per il suo Dottor Jekyll and Mister Hyde. Ma anche questa è un’altra storia.

Qui ci interessa invece il vaiolo, malattia contagiosa di origine virale che ha infettato le popolazioni umane per migliaia di anni, con epidemie che hanno sempre generato terrore, sia per l’elevata mortalità (il contagio è fatale almeno nel 30% dei casi), sia perché i sopravvissuti rimanevano sfigurati a vita, ricoperti di cicatrici. “Il contagio - cito da EpiCentro, il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica[3], a cura dell’Istituto Superiore di Sanità - avveniva per contatto diretto tra le persone oppure tramite i liquidi corporali infetti o gli oggetti personali contaminati come abiti o lenzuola. Un comune veicolo di contagio erano la saliva o le escrezioni nasofaringee delle persone malate che mettevano a rischio chiunque fosse vicino”. In effetti, parlare di vaiolo quando tutti abbiamo in mente la pandemia Covid-19 che ha sconvolto il mondo può sembrare fuori luogo. Ma la storia è sempre maestra e tornare a ripercorrere un passato in fondo neppure troppo lontano può offrirci qualche elemento sul quale riflettere.

Il vaiolo oggi fortunatamente non esiste più: l’ultimo caso noto è stato diagnosticato nel 1977 in Somalia. L’ultimo decesso causato da questa terribile malattia c’è stato invece nel 1978, quando il virus era estinto in natura da almeno un anno: la fotografa medica Janet Parker è stata infettata in laboratorio a Birmingham, e anche questo è un episodio sul quale converrebbe riflettere[4]...

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato ufficialmente eradicato il vaiolo nel 1980. Un risultato per il quale dobbiamo essere grati alla vaccinazione, che è stata a lungo obbligatoria in buona parte del mondo e che è stata alla base, insieme all’isolamento dei focolai, della campagna di eradicazione, lanciata a livello planetario dall’OMS nel 1967, grazie alla quale il virus è scomparso in natura (in alcuni laboratori invece tuttora si conserva). Un successo di enorme rilievo che ha comportato via via la sospensione e/o l’annullamento della vaccinazione obbligatoria: in Italia non è stata più somministrata dal 1977 anche se la definitiva abrogazione è stata sancita solo qualche anno dopo, nel 1981.

Bravo Jenner, allora. Per inciso anche il termine “vaccino” è una sua invenzione, pure se fu Louis Pasteur (1822-1895) a utilizzarlo per tutti i metodi di immunizzazione e non più per la sola procedura anti-vaiolosa. Dei meriti del medico inglese e degli eventi collegati alla sua scoperta diremo tuttavia meglio più avanti. Qui ci interessa approfondire un particolare aspetto: prima della scoperta di Jenner, datata negli annali della medicina al 1796, non si faceva nulla per contrastare il vaiolo?

Bisogna fare un passo indietro per osservare che la pratica medica sino a tutto il Seicento era, salvo poche lodevoli eccezioni, sostanzialmente rimasta quella di Ippocrate e Galeno. Si curava (termine quanto mai inappropriato) con i ragionamenti più che con gli esperimenti, cercando di capire quali fossero gli “umori” che determinavano il male e come scacciarli dal corpo: una delle pratiche più diffuse era quella del salasso, universalmente utilizzata come cura autonoma e prima di ogni altro intervento. Si sbaglia nel giudicare i fatti della storia col senno di poi, ma è comunque ragionevole ipotizzare che le vittime di tale abitudine siano state assai numerose: in sostanza andava bene se le cure mediche non provocavano un peggioramento nello stato di salute del paziente o se non ne accorciavano l’esistenza. Nel Settecento, sulla spinta anche dei vivaci progressi in altri campi del sapere, le cose cominciano a cambiare, ma molto lentamente. Il vaiolo ha intanto sostituito la peste come primo flagello che periodicamente investe l’Europa, ed è ancor più temuto: si sa che chi è stato già infettato, come per la peste, è indenne dalle successive ondate (ricordate i monatti di manzoniana memoria?) ma questa immunità si paga a caro prezzo: il vaiolo deturpa e soluzioni non sembrano essercene, almeno in quello che oggi chiamiamo il mondo occidentale.

In Oriente, invece, una forma di variolizzazione (potremmo definirla una “antenata” della vaccinazione) era già praticata, certamente già nel 1590, attraverso l’inoculazione intranasale di materiale ricavato da una pustola di un caso lieve di vaiolo o con altri metodi empirici. Ed è proprio dall’Oriente che arriva, alla fine degli anni ’20 del 1700, giusto tre secoli fa e circa ottant’anni prima della scoperta di Jenner, l’input decisivo per cambiare le cose anche nel vecchio continente. Il merito va attribuito allo spirito di osservazione e di iniziativa di una donna, di cui in verità e a torto non si sente spesso parlare: Lady Mary Montague. È una nobildonna inglese sopravvissuta a caro prezzo al vaiolo: l’epidemia l’ha privata di alcuni cari affetti e della propria bellezza. Tra il 1716 e il 1718 vive a Costantinopoli, al seguito del marito ambasciatore. Scopre che qui il vaiolo non fa paura, o almeno incute assai meno terrore che a Londra: le madri mettono il pus di malati sulla pelle dei figli incisa con piccoli taglietti: dopo qualche giorno compaiono alcune pustole e quasi sempre il contagio si ferma lì. Qualche volta le cose vanno male e il bambino variolizzato si ammala davvero e muore o sopravvive sfigurato, ma nella gran parte dei casi è salvo, ed è salvo per sempre. Al suo rientro a Londra la nobildonna diventa una fervente propagandista del nuovo metodo, apertamente osteggiata dalla medicina ufficiale. La svolta tre anni dopo, nel 1721, quando l’epidemia torna a colpire in Inghilterra: Lady Mary non ha indugi e fa variolizzare la figlia. Buona parte della nobiltà inglese, corte reale compresa, dopo qualche iniziale resistenza, la imita. Un inizio importante. Ci saranno ulteriori critiche contro questo metodo straniero e per giunta di derivazione popolare, ma l’innesto volontario a scopo preventivo dà risultati importanti: la mortalità arriva al massimo al 5% contro l’abituale 30% con punte del 60% nelle epidemie. Davvero non c’è confronto. I primi studi clinici nella storia della medicina risalgono proprio a questo periodo e sono stimolati appunto dai contrasti tra fautori e denigratori della variolizzazione: avere numeri certi sui quali discutere invece di affidarsi ai “si dice” e a opinioni più o meno autorevoli rappresenta di per sé una rivoluzione copernicana in campo medico.

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La copertina del fascicolo II del “Commercio scientifico…” conservato dalla Biblioteca “A.C. De Meis” di Chieti.
La pratica si diffonde: in Oriente, ora lo sappiamo, era già acquisita nell’uso comune e peraltro veniva applicata da chiunque, senza alcun canale preferenziale per chi aveva specifica preparazione in campo sanitario. Dall’Inghilterra passa sul continente. Sempre la solita storia: sospetti e dubbi, ma pian piano i fatti prevalgono sulle opinioni. Non tutto nasce da Lady Mary: la variolizzazione arriva in Europa anche da altre strade. In Italia pare sia stata introdotta da medici greci. È un fatto che il cardinale Prospero Lambertini (1675-1758), divenuto dal 1740 papa Benedetto XIV, abbia cercato, con successo, di diffonderla nello Stato Pontificio. Nell’arco di pochi decenni la variolizzazione (o anche vaiolizzazione o inoculazione) era divenuta largamente diffusa in buona parte d’Europa, anche se i contrasti non cessarono mai. Si opponevano medici legati alle antiche tradizioni, col passar del tempo sempre meno numerosi, religiosi tradizionalisti e tanti altri, per ragioni non sempre ben chiare (si veda in proposito il box con una testimonianza d’epoca, tratto da un giornale scientifico pubblicato nel 1792, che ospitiamo in queste pagine[5]). Di tanto in tanto si sviluppavano polemiche anche feroci, in particolare quando capitava che si ammalasse un variolizzato illustre. Ma nessuna discussione fu mai capace di arrestare una pratica che aveva dalla sua i confortanti risultati che ognuno poteva verificare a ogni successiva ondata del male. I numeri e le percentuali parlavano chiaro.

Lo stesso Jenner, dopo la laurea in medicina, nel 1775, era tornato nella natia Berkeley proprio con l’incarico governativo di variolizzare la Contea[6]. Nel corso di questi interventi notò (era, vale la pena di ricordarlo, quell’acuto e curioso osservatore che aveva già dimostrato di essere in altri campi) che le persone che avevano contratto il vaiolo vaccino, una infezione tipica dei bovini che può infettare in forma lieve anche l’uomo, non si ammalavano di vaiolo umano. Di qui l’idea per la quale cercò conferme nei successivi venti anni. L’occasione per dare spessore alla sua intuizione arriva nella primavera del 1796, quando nello studio medico si presenta una contadina con i segni del vaiolo vaccino, contratti mungendo una vacca: per onore di cronaca la donna si chiamava Sarah Nelmes mentre Blossom era il nome della mucca di razza Gloucester che l’aveva infettata. Edward Jenner, immagino, non sta più nella pelle. È la prova che aspettava: il vaccino bovino può essere utilizzato per prevenire quello umano ed è innocuo, o quanto meno comporta rischi enormemente minori rispetto alle pratiche allora consolidate. Intuizione, lunga ricerca e infine una concreta conferma. Il metodo scientifico richiede però, prima dell’annuncio al mondo, almeno una verifica sperimentale... Jenner procede. Secondo la versione corrente, un po’ agiografica, il medico inglese avrebbe scelto il proprio figlio di 8 anni, mettendone a rischio la vita: infettandolo volontariamente lo avrebbe ucciso o deturpato per sempre nell’ipotesi di aver commesso un errore di valutazione. La vulgata dello scienziato coraggioso e certo di sé a tal punto da coinvolgere gli affetti più cari la troviamo, ad esempio, persino nel già citato portale dell’Istituto Superiore di Sanità. In realtà è giusta l’età, 8 anni, ma il bambino sul quale il medico effettua la definitiva sperimentazione è James Phipps, il figlio del giardiniere, un ragazzo sano e robusto mai infettato da alcuna forma di vaiolo. Jenner gli innesta il vaccino bovino. Qualche pustola e un po’ di febbre per qualche giorno: nessun’altra conseguenza. Si tratta ora di effettuare la prova definitiva: innestare il vaiolo umano e sperare che James abbia davvero acquisito immunità. Jenner lo fa tre settimane dopo e il ragazzo non si ammala. Gioca anche un po’ la buona sorte: oggi sappiamo che può essere utile vaccinare anche quando la malattia è già comparsa, ma sappiamo pure che per sviluppare una immunità completa occorrono una ventina di giorni... un innesto prematuro avrebbe potuto avere ben altre conseguenze per il piccolo James, per Jenner e per l’umanità intera. Invece è andata bene e il medico inglese ha potuto cambiare la storia del mondo. Il vaccino bovino riduceva il rischio a cifre prossime allo zero: complicazioni sono sempre possibili, in rari casi anche letali, ma in termini percentuali, gli unici davvero importanti, si è infinitamente al di sotto di quel 5% di mortalità che accompagnava la variolizzazione. Un successo immediato e unanimi consensi e onori per l’autore di cotanta scoperta? Nient’affatto. La vaccinazione provocò le consuete ostilità dei conservatori, compresi ovviamente coloro che già osteggiavano l’innesto di pus umano, ignorando platealmente i buoni risultati con argomentazioni ben lontane dal metodo scientifico e spesso totalmente prive di senso. Vennero addirittura fondate delle Leghe antivaccinazione, in Inghilterra e nel resto d’Europa così come negli Stati Uniti. Mancava la denuncia dell’innesto segreto, col vaccino, di un microchip sottocutaneo in grado di controllarci o di carpire informazioni, visto che allora il microchip non esisteva, ma per il resto gli argomenti portati avanti erano più o meno gli stessi di oggi. Al coro degli antivaccinisti si aggiunsero persino ecclesiastici che consideravano la scoperta di Jenner addirittura un insulto al creatore, per via della, per loro inaccettabile, commistione tra animale e uomo.

Sappiamo com’è andata a finire: le resistenze, con la vaccinazione com’era accaduto già prima con la variolizzazione, non sono riuscite a fermare il progresso. L’opinione pubblica stimava Jenner, in qualche modo noto anche per le sue osservazioni sul cuculo (l’ornitologia, allora come oggi, era presa in Inghilterra molto sul serio), e poi, soprattutto, i risultati positivi si potevano verificare. Accanto a lui si schierarono fior di intellettuali. I conservatori a ogni costo non avevano speranze (anche se sacche di negazionisti sono, come sappiamo, sopravvissute sino ai nostri giorni), ancor meno con l’affermazione, dopo la rivoluzione francese, delle idee libertarie: la vaccinazione antivaiolosa divenne una pratica generalizzata in Europa e poi nel mondo. Un cammino comunque faticoso, e non senza passi indietro: in alcuni Paesi (tra gli altri Afghanistan, Brasile, Mali, Nepal...) si è continuato a lungo a praticare sporadicamente la variolizzazione[7] e questo ha rappresentato un serio ostacolo al programma mondiale di eradicazione portato avanti negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso: le persone che avevano ricevuto questo trattamento potevano diventare infatti una fonte di contagio (sono stati descritti focolai che hanno preso inizio da una singola variolizzazione) e quindi, nei fatti, potevano nuocere alle iniziative di contrasto che, per avere successo, dovevano agire a livello universale, senza lasciare indietro nessun angolo del pianeta. Come che sia lo sforzo mondiale delle autorità sanitarie e dei governi è continuato sino alla completa scomparsa della malattia, dichiarata ufficialmente eradicata nel 1980, poco più di quarant’anni or sono. Un successo ormai “antico” ma sul quale, di questi tempi, vale forse ancora la pena di riflettere. I vaccini, da Jenner in poi, ci hanno salvato da molti mali e da altri potranno salvarci.

Note


1) Francis Darwin. Francis Galton. Eugenics Review, aprile 1914: 1-17.
2) Chi ha voglia di saperne di più sulla controversa figura di John Hunter potrà leggere l’articolo di Patrizia Martellini al link: https:// bit.ly/3iSpNcP
4) Cfr.: Massimo Sandal. “Virus in laboratorio tra rischi e benefici”. Le Scienze, maggio 2020, n. 621, 34-39 pp.
5) “De’ buoni effetti dell’inoculazione del vajuolo nella città di Teramo”. In: Commercio scientifico d’Europa col Regno delle Due Sicilie per i professori ed amatori di chimica, fisica, storia naturale, medicina, farmacia, chirurgia, agricoltura, economia domestica, arti e manifatture. Di Vincenzo Comi, professore di medicina e di chimica. 1792, Anno I, Vol. I (gennaio e febbraio), 192-193 pp.
6) Arnaldo D’Amico. La scoperta dell’immunità. Le Scienze, aprile 2020, n. 620, 38-45 pp.
7) Bollettino WHO 6 febbraio 1970.

Una testimonianza datata 1792


De’ buoni effetti dell’inoculazione del vajuolo nella città di Teramo

Nel 1792, mentre anche Jenner era alle prese con la variolizzazione dei suoi pazienti e maturava intanto le osservazioni che gli avrebbero consentito, quattro anni dopo, di rivoluzionare quella pratica trasformandola nella vaccinazione così come noi oggi la conosciamo, ovunque in Italia e in Europa si combatteva il vaiolo innestando pus prelevato da altri malati, con risultati comunque confortanti. Non mancava tuttavia chi, come i moderni no-vax, si opponeva alla pratica con le più varie motivazioni. A tal proposito lasciamo spazio qui di seguito, rispettando rigorosamente il testo originale, a un eccezionale documento d’epoca: un articolo pubblicato nel 1792 dal giornale “Commercio scientifico d’Europa col Regno delle Due Sicilie”. Un testo non firmato, ma con ogni probabilità da attribuire al direttore della rivista, Vincenzo Comi (1765-1835), medico, chimico e più tardi industriale, componente di spicco del movimento illuminista a Teramo, in Abruzzo. Il titolo è: «De’ buoni effetti dell’inoculazione del vajuolo nella città di Teramo». Questo il testo, trascritto alla lettera, che non ha bisogno di alcun commento:

Contiamo attualmente il quarto periodo dell’influenza vajuolosa dacchè si è cominciato a praticar qui l’inoculazione col più felice successo. Le conseguenze consolanti, che noi osserviamo in seguito di questa pratica salutare durante il corso di moltissimi anni sembrerebbero incredibili a coloro che non ne fossero mai stati testimonj. Io posso assicurare che di 300 fanciulli inoculati finora nella corrente stagione non se ne trova uno, secondo il solito, che sia stato vittima della morte. Al contrario la maggior parte di quelli a’ quali si è negato l’inoculo del vajuolo per un bestiale capriccio o per una stravagante ragione tanto in questa Città e nei Paesi circostanti del Regno, quanto in quelli dello stato Papale, ha dovuto disgraziatamente soccombere e la perdita n’è stata purtroppo lagrimevole. Io non sò con quale coraggio i nemici dell’inoculazione possono riguardare con indifferenza la più condannabile, e senza commozione di animo la strage che cagiona tuttodì cotesta malattia spopolatrice. Un’affare così delicato ed importante dovrebbe richiamare una volta con serietà l’attenzione del Governo.
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