Com’è noto, già l’anno successivo al testo di Berlitz, Larry Kusche demolì la maggior parte delle presunte prove a favore della tesi che nel cosiddetto “triangolo” navi e aerei scomparissero in modo inspiegabile e in misura superiore a qualsiasi altra zona del mondo[5]. E che il mistero del Triangolo fosse basato sul nulla era rintracciabile anche negli almanacchi del mistero a grande tiratura, come ad esempio The World Almanac. Book of the Strange (1977): «La leggenda del Triangolo delle Bermuda e la sua pronta accettazione come fatto possibile si possono imputare alle ricerche imprecise e incomplete e presentate in maniera tendenziosa da persone che hanno un interesse personale o vogliono fare soldi in ogni modo. Una parte di colpa ce l’hanno anche quegli scritti che sono deliberatamente fuorvianti o pericolosamente immaginosi[6]». Due anni dopo, in Broca’s Brain: Reflections on the Romance of Science di Carl Sagan, si poteva quindi leggere: «Il 'mistero' del Triangolo delle Bermude riguarda sparizioni inspiegate di navi e aerei in una vasta regione dell’oceano attorno alle isole Bermuda. La spiegazione più ragionevole per queste sparizioni (quando si verificano veramente; molte fra le presunte non sono mai avvenute, come è stato dimostrato) è che le navi siano affondate. Una volta, nel corso di un programma televisivo, feci notare quanto suona strano che scompaiano misteriosamente navi e aerei, mentre non scompaiono mai treni; al che l’ospite della trasmissione, Dick Cavett, replicò: “Si vede che lei non ha mai aspettato il treno per Long Island”. Come i fanatici degli astronauti nell’antichità, i fautori del mistero del Triangolo delle Bermude si servono di una cultura sciatta e di domande retoriche. Finora però non hanno fornito dati convincenti. Non si sono sobbarcati l’onere della prova[7]».
Le edizioni italiane di The World Almanac e di Broca’s Brain uscivano nel 1979 per Arnoldo Mondadori Editore. Ma siccome anche le scelte editoriali a volte seguono strade misteriose (ma forse solo parallele), proprio lo stesso anno la casa editrice di Milano metteva in commercio una pubblicazione (riccamente illustrata, anche con immagini e disegni a colori) in netto contrasto con il contenuto dei due libri appena citati. Infatti, in Ufo. Triangolo delle Bermuda. Atlantide. Che cosa c’è di vero, i tre argomenti venivano accostati fra loro, esattamente come nel libro di Berlitz. Pur presentando le argomentazioni a favore e contro l’esistenza di Atlantide, degli Ufo e del Triangolo (nel caso specifico dalle più stravaganti - incluse quelle di Ivan Sanderson - a quelle di Larry Kusche), l’autore mostrava la sua propensione per la realtà dei misteri presentati, di cui nella conclusione del volume si augurava la risoluzione in questi termini: «Alla fine della nostra indagine, quindi, non possiamo offrire al lettore nessuna certezza. Non penso sia un male: abbiamo così la possibilità di riflettere su molti dati, sulle tante ipotesi formulate. E abbiamo la possibilità di formarci una nostra opinione su una materia tanto affascinante». Non proprio un esempio di metodologia di ricerca storica e scientifica. E così terminava: «Può darsi quindi che questo stesso libro sia già superato nel momento della pubblicazione: forse si è scoperto davvero cosa succede nel Triangolo delle Bermuda, forse un tempio di Atlantide sta emergendo dalle acque[8]».
Sul comportamento non del tutto appropriato di molti editori, in relazione al caso del Triangolo, è intervenuto molto duramente James Randi: «I mezzi di informazione hanno la loro parte di colpa nell’imbroglio del Triangolo delle Bermuda. Inizialmente, hanno offerto a Berlitz la materia prima di cui aveva bisogno. Gli editori superficiali pubblicano regolarmente libri e periodici senza verificare l'esattezza del contenuto. Definiscono 'nonfiction' questo ciarpame e affermano che non si tratta di una semplice finzione letteraria; e così il pubblico deduce che 'nonfiction' sia sinonimo di verità. Alcuni editori sostengono a volte di aver controllato accuratamente la fondatezza dei riferimenti nelle opere pubblicate, ma in questo caso non è affatto così[9]».
Un paio di anni prima, comunque, la Mondadori si era distinta per aver finalmente fornito la soluzione del caso del Triangolo delle Bermuda, grazie ad Alfredo Castelli, alla sua prima prova su «Topolino», con una storia illustrata dal maestro Massimo De Vita[10]. Per chi non l’avesse letta, evitiamo di fare il classico spoiler. L’avventura è stata in seguito ristampata più volte, in Italia e all’estero[11], inclusa la serie in cinque numeri «Gli enigmi di Topolino» (sempre per la Mondadori, ovviamente), curata dallo stesso Castelli nel 2007, con tanto di sezione storica introduttiva[12]. Castelli sarebbe quindi tornato a parlare del Triangolo qualche anno più tardi, nel numero 9 di «Martin Mystère», pubblicato nel dicembre 1982.
Come abbiamo ripetuto più volte nell’ambito di questa rubrica, letterati, sceneggiatori e registi hanno tutta la libertà di spaziare nel campo della fantasia. Diverso, invece, è il discorso di chi pretende di informare scientificamente. Al pari di altri casi di pseudoscienza, la questione del Triangolo delle Bermuda avrebbe potuto essere chiusa nel giro di poco tempo. Al contrario, ha continuato ad essere presente nei cataloghi di molti editori. I motivi di questa permanenza sembrano abbastanza chiari. O almeno lo sembravano a James Randi.