Le promesse del turismo spaziale

Passeremo le vacanze su altri pianeti?

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  • 21-12-2022
  • di Piero Bianucci
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© dottedhippo/iStock
Per i viaggi nello spazio, l’estate del 2021 ha segnato tappe storiche, e anche sconcertanti. Sulla scena sono entrati con prepotenza razzi e astronavi di multinazionali capaci di sfidare colossi come NASA (Stati Uniti), Roscosmos (Federazione Russa) ed ESA (che unisce le forze di 19 paesi europei). Sono razzi “intelligenti” in gran parte riutilizzabili perché, dopo aver consegnato il carico, tornano a posarsi “in piedi” vicino alla base di partenza, come succedeva nei fumetti di Walt Disney. E sono astronavi o navette automatiche relativamente confortevoli, dalle quali i passeggeri scendono divertiti e sorridenti quasi come da una gita in autobus. Meraviglie della sensoristica elettronica e dell’intelligenza artificiale. Queste tecnologie rivoluzionarie e la spregiudicatezza imprenditoriale della cosiddetta space economy stanno abbattendo i costi di lancio in orbita; così l’astronautica, che per settant’anni è stata un rischioso affare pubblico, sta diventando un affare privato, un sofisticato “prodotto” turistico. Cosa più importante: lo spazio, che almeno idealmente era di tutti, d’ora in poi sarà di pochi. Pochissimi.

La nuova epoca del volo in orbita inizia l’11 luglio 2021, quando Richard Branson, 72 anni, patrimonio 4,6 miliardi di dollari, 400 società controllate, sorprende il mondo imbarcandosi sul volo inaugurale del velivolo della sua compagnia spaziale, la Virgin Galactic: uno strano aereo a doppia fusoliera che una volta raggiunta la stratosfera rilascia un razzo-astronave. Insieme con cinque compagni di avventura, sulla navetta Unity Branson è stato per quattro minuti in assenza di peso a 80 chilometri di quota, cioè sulla soglia dello spazio, ma non nello spazio, che convenzionalmente inizia a 100 chilometri. Un turismo “mordi e fuggi”, quello di Branson, il minimo sindacale per poter dire di essere stato il primo a volare tra i nuovi imprenditori dello spazio privato. Soddisfazione costosa: la Virgin Galactic nel 2021 ha messo a bilancio un miliardo di dollari di perdita.

Passano pochi giorni e il 20 luglio Jeff Bezos, fondatore di Amazon, 58 anni, patrimonio netto 144 miliardi di dollari, lo supera salendo a più di 100 chilometri. Anche lui, come Branson, mette a rischio la propria vita per dimostrare che la sua astronave è sicura. Vola con la navetta della sua compagnia spaziale Blue Origin, accanto ha il fratello Mark, la 82enne Wally Funk e il 18enne Oliver Daemen, cioè l’astronauta più anziana e il più giovane che siano mai stati in orbita. “Se lo fanno loro, tutti possono farlo” era il messaggio promozionale del volo. Non proprio tutti, per la verità, dato che il “biglietto” costa mezzo milione di dollari e un ipotetico giro intorno alla Luna ne costerebbe almeno 45. Ma viviamo in un mondo nel quale l’1% della popolazione globale possiede più denaro di tutti gli altri miliardi terrestri. Migliaia di Paperon de’ Paperoni hanno già prenotato weekend in orbita, e un imprenditore giapponese, Yusaku Maezawa, è in lista di attesa per la circumnavigazione lunare.

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Il decollo della missione Blue Origin con Jeff Bezos a bordo © Blue Origin

Ma non era finita. Il 15 settembre 2021 la navicella Crew Dragon della SpaceX di Elon Musk, il miliardario della Tesla che si alterna a Bezos in testa alla Top Ten dei più ricchi, porta quattro turisti per tre giorni su un’orbita a 575 chilometri dalla superficie terrestre, più in alto della Stazione spaziale internazionale (ISS) e del famoso telescopio Hubble che da trent’anni ci svela stupefacenti paesaggi cosmici. I passeggeri di Musk sono stati i primi a vedere la ISS e Hubble, per così dire, “da sopra”. A capo della missione, battezzata “Inspiration 4”, c’era Jared Isaacman, 38 anni, fondatore e amministratore delegato della piattaforma di pagamenti digitali Shift4Payment, che ha finanziato la spedizione (il prezzo del biglietto non è stato reso noto) e ha scelto i suoi tre compagni di viaggio: Hayley Arceneaux, 29 anni, infermiera, sopravvissuta a un cancro pediatrico; Chris Sembroski, 42 anni, veterano della US Air Force che ora lavora nell’industria aeronautica; e Sian Proctor, professoressa di geologia di 51 anni, che oltre 10 anni fa era stata finalista nella selezione per diventare astronauta della NASA. Missione perfetta, tutto normale.

Di primato in primato, l’autunno dell’anno scorso non è stato da meno dell’estate. Il 13 ottobre, a bordo dell’astronave di Bezos, l’attore William Shatner, 90 anni, il celebre Capitano Kirk della serie televisiva Star Trek, è diventato il più vecchio astronauta della storia. E il 14 dicembre, sempre con la navetta di Bezos, è andata in orbita Laura Shepard, 70 anni, la figlia dell’astronauta Alan Shepard che nel 1961 fu il primo americano a compiere un volo suborbitale. Non a caso, simbolicamente, per sottolineare tradizione e progresso, il razzo riutilizzabile di Bezos si chiama New Shepard.

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Il lancio della missione privata Inspiration 4, la prima ad avere un equipaggio composto solo da turisti © SpaceX/Inspiration4

Uno scenario che cambia


Il 24 febbraio 2022 sulle missioni spaziali è scesa come una doccia fredda la guerra di Putin in Ucraina: sanzioni, braccio di ferro energetico sul gas importato dalla Russia, tensioni diplomatiche intorno alla Stazione spaziale (dove peraltro il 22 aprile 2022 l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti ha ricevuto l’abbraccio fraterno dei colleghi russi), annullata la missione euro-russa Exo Mars su Marte prevista per settembre e finanziata al 40% dall’Agenzia spaziale italiana (ASI). Vanno avanti, invece, le missioni private per l’accesso degli astronauti alla ISS e le costellazioni per la distribuzione capillare di Internet con migliaia di satelliti dedicati: la più importante è la Starlink di Elon Musk: 2400 satelliti operativi entro quest’anno, 12.000 già approvati, 20.000 al completamento del progetto, 10 miliardi di dollari investiti, 30 miliardi i ricavi previsti nel 2025.

Lo spazio, quindi, è sempre più simile a un Far West. Ma che cosa cambia per noi, abitanti anonimi e attoniti del pianeta Terra?

Dal primo avvistamento, avvenuto il 24 giugno 1947, sono alcune migliaia le persone che credono di aver visto degli UFO. Sono miliardi, invece, le persone che certamente hanno osservato il transito della Stazione spaziale internazionale, che in pochi minuti va da un orizzonte all’altro e, riflettendo la luce del Sole, brilla più del pianeta Venere. Dall’inizio di questo millennio, quell’oggetto luminoso, che è il più grande e complesso mai costruito dall’umanità, è abitato stabilmente da sei-sette astronauti. La lista dei membri di equipaggi delle missioni di lunga durata ha compreso, fino all’autunno del 2022, 63 cittadini americani, 50 russi, 6 giapponesi, 3 italiani, 3 canadesi, 4 tedeschi, 2 francesi, un belga, un inglese e un olandese, alcuni dei quali sono stati sulla ISS più di una volta. Di conseguenza, quando vedete la ISS attraversare silenziosamente il cielo, potete considerarla un po’ casa vostra, perché ciascun europeo contribuisce alle attività spaziali con l’equivalente di un cappuccino e una brioche all’anno, e la stessa cosa vale per i cittadini americani, russi, canadesi, giapponesi.

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La Stazione spaziale internazionale ripresa dallo shuttle Discovery nel settembre 2009 © NASA

La ISS, ma anche i satelliti di navigazione e quelli per la ricerca scientifica, la meteorologia, la tutela dell’ambiente e così via, sono imprese pubbliche nelle quali possiamo riconoscerci, con l’orgoglio di partecipare al miglioramento delle conoscenze scientifiche e della qualità della vita. Ma d’ora in poi, con la privatizzazione dello spazio e il cambiamento geopolitico causato dalla guerra russa in Ucraina, non sarà più così. Mosca ha annunciato che nel 2025 uscirà dalla ISS per costruire una propria stazione spaziale, forse unita a quella che la Cina ha appena completato in orbita. L’azienda privata americana Axiom aggancerà alla ISS quattro suoi moduli che intende gestire come hotel di lusso per miliardari desiderosi di emozioni adrenaliniche: la cabina è stata progettata dall’architetto e designer Philippe Starck.

Si pone quindi per il futuro una domanda cruciale: di chi è lo spazio circumterrestre? Lo abbiamo sempre immaginato come un bene comune, un laboratorio scientifico a disposizione dell’umanità, un patrimonio da governare con saggezza. Salvo pochi aggiornamenti, il diritto internazionale dello spazio è fermo al Trattato del 1967, firmato due anni prima dello sbarco sulla Luna. Nel 1975 l’incontro in orbita tra una capsula Apollo americana e una Soyuz sovietica avviò l’uscita dalla guerra fredda. La stazione spaziale russa MIR dal 1989 al 2000 ha accolto più di 100 visitatori, anche americani, europei, giapponesi. Ci siamo abituati a considerare lo spazio come un luogo senza bandiere, sul modello dell’Antartide. Sarà invece una meta turistica?

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Illustrazione dei moduli della stazione spaziale della Axiom collegati alla ISS (sulla destra) © Axiom

Listino prezzi


Sospendiamo le considerazioni etiche e limitiamoci alle cifre. È impossibile dire quali saranno le tariffe del vostro hotel nello spazio quando finalmente potrete andarci. Bisognerebbe sapere dove sarà, se le residenze saranno numerose e fino a che punto un’offerta ampliata abbasserà i prezzi. Possiamo però dare uno sguardo alle tariffe attuali praticate per la ISS, con la certezza che soggiornare sulla stazione spaziale Gateway in orbita attorno alla Luna che si costruirà alla fine di questo decennio costerà molto di più.

Il 25 febbraio 2021, mentre il Covid infuriava, la NASA ha aggiornato il listino prezzi dei trasporti da terra alla ISS. L’aumento è stato così vistoso che l’agenzia americana ha sentito il bisogno di premettere una spiegazione: dopo decenni di investimenti molto onerosi, l’ente spaziale ha deciso di capitalizzare il valore effettivo delle risorse che mette a disposizione. In altre parole, basta con le tariffe “politiche” sotto costo per favorire lo sviluppo del settore aerospaziale, d’ora in poi la space economy deve camminare sulle sue gambe.

Ed ecco il tariffario. Come il mercatino sotto casa, la NASA fa pagare i suoi servizi un tanto al chilo. Il costo per inviare in orbita un chilogrammo di materiale si chiama upmass, massa su (il peso è un concetto relativo alla Terra, lassù diventa zero, mentre la massa non cambia). L’upmass del 2019 era 3000 dollari, dal 2021 è rincarato a 20.000. Una bottiglia di acqua minerale che al vostro supermercato pagate 40 centesimi, in orbita viene a costare 18.000 euro. Non lamentatevi, riportare a terra un chilogrammo di materiale è più caro: con il nuovo listino prezzi il costo downmass (massa giù) è rincarato da 6000 a 40.000 dollari. Se poi vi serve della manodopera, un’ora-uomo sulla Stazione vi costerà 130.000 dollari (prima era di “appena” 17.000). Lanciare materiali inerti è un conto, lanciare materia vivente un altro: il costo per chilogrammo va moltiplicato per dieci. Non è stato ritoccato finora il tariffario delle missioni private di astronauti: circa 40 milioni di dollari per il viaggio di andata e ritorno a prescindere dal peso dell’aspirante turista, 22.500 dollari a persona al giorno per i rifornimenti e 11.250 dollari a persona al giorno per il supporto vitale, che comprende ovviamente acqua e ossigeno.

L’ingresso dei privati nel mercato dei trasporti in orbita abbatterà i prezzi, perché si tratta di aziende in spietata competizione tra loro, snelle, senza la burocrazia e i costi di esercizio della NASA. Una missione dello space shuttle costava 500 milioni di dollari, 600 milioni il trasporto di materiali con la navetta-cargo europea ATV. Ai prezzi 2021, la SpaceX di Musk fa pagare 54 milioni di dollari per sollevare in orbita bassa un carico di 10 tonnellate. Una missione completa alla ISS, con equipaggio a bordo della capsula Dragon e il Falcon 9 come razzo vettore, costa 133 milioni di dollari per una capacità di carico di 6 tonnellate (upmass) e 3 tonnellate al rientro a terra (downmass). Sono di gran lunga le tariffe più economiche offerte dal mercato.

Un fattore decisivo sarà l’affidabilità: Bezos può permettersi di essere più spregiudicato di un ente governativo come la NASA e ciò destava dei dubbi sulla sicurezza dei suoi servizi di trasporto: che l’imprenditore abbia scelto il proprio razzo per la sua prima esperienza di volo suborbitale è stata una potente mossa pubblicitaria. L’altro fattore decisivo è tecnologico. Quando la tecnologia dei razzi riutilizzabili sarà lo standard del volo spaziale, il costo per sollevare in orbita un chilogrammo di massa potrà scendere di un fattore 5 o 10. In questo caso diventeranno realistici viaggi che oggi sono improponibili.

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La capsula Dragon vista dalla Stazione spaziale © ESA/NASA

E Marte?


Marte rimane un capitolo a sé per durata, rischi e costi del viaggio. Le cose sarebbero diverse se non fossimo costretti a usare l’energia chimica come fanno tutti i razzi tradizionali. La spinta di questi razzi dipende da due fattori: la massa espulsa e la velocità di espulsione. La più efficiente reazione chimica che conosciamo utilizza idrogeno e ossigeno liquidi: la velocità di espulsione raggiunge i 3000 metri al secondo, limite insuperabile, tutt’al più si può migliorare l’efficienza complessiva del sistema, come avviene nei propulsori Raptor di Elon Musk. Anche la massa espulsa incontra un limite: c’è una soglia oltre la quale la massa del propellente da imbarcare al decollo è tale da diventare proibitiva, insostenibile strutturalmente.

Con il Saturn 5 delle missioni lunari si staccavano da terra 3000 tonnellate e ne tornavano due, astronauti compresi (la capsula Apollo aveva una massa di 1567 chilogrammi). Tutto il resto era propellente, serbatoi e dispositivi per bruciarlo. Ben altro rapporto tra razzo e carico utile promette l’energia nucleare, che in teoria risulterebbe mille volte più efficiente di quella chimica e in pratica, allo stato attuale della tecnologia, da due a dieci volte.

Prima del Saturn 5, Von Braun progettò il super-razzo Nova per portare fino a Marte un'astronave con la massa di 187 tonnellate: un propulsore nucleare avrebbe scaldato l’idrogeno per generare la spinta. Motori nucleari furono sviluppati negli anni '60 e '70 del secolo scorso. Arrivarono a test di laboratorio i propulsori Kiwi A, Kiwi B e NERVA (Nuclear engine for rocket vehicle application). Il laboratorio di Los Alamos sperimentò il modello Phoebus 1-A e una seconda versione del NERVA, ma nel 1972 il governo americano abbandonò la via nucleare a Marte. Un piccolo reattore a fissione convenzionale, come quelli sperimentati da mezzo secolo su navi e sommergibili, potrebbe avere una doppia utilità: accelerare il trasferimento e fornire energia agli astronauti durante i mesi da trascorrere su Marte.

Lo scenario più faraonico rimane quello disegnato dal geniale ed eccentrico fisico teorico Freeman Dyson (1923-2020). Il suo Orion Project, abbozzato in un articolo del 1950, prevedeva razzi spinti da esplosioni nucleari per raggiungere velocemente Marte e anche Plutone, il pianeta più lontano. La ricerca rimase sulla carta sia per difficoltà tecniche sia per rispettare il trattato internazionale, che nel frattempo (1963) aveva messo al bando i test nucleari nell’atmosfera: la “propulsione a impulso” di Orion contemplava l’esplosione di 400, 600 o 1000 bombe atomiche a seconda del modello di razzo...

La British interplanetary society studiò una evoluzione di Orion varando nel 1973 il progetto Daedalus, un'astronave interstellare senza equipaggio spinta da un motore a fusione nucleare. Il traguardo scelto fu la Stella di Barnard, lontana 5,9 anni-luce, da raggiungere in un tempo non superiore a una vita umana viaggiando a un decimo della velocità della luce. L’astronave Daedalus, munita di due telescopi ottici da cinque metri (come quello di Monte Palomar) e due radiotelescopi da 20 metri, avrebbe dovuto ispezionare quel presunto sistema planetario. La British interplanetary society chiuse il programma nel 1978. Ne rimane una affascinante descrizione nel libro di Dyson Turbare l’Universo.

Con il senno di poi, aggiungiamo due postille: l’energia da fusione nucleare non è ancora stata ottenuta in quantità utile neanche in colossali impianti a terra; il sistema planetario della Stella di Barnard non è stato confermato, ma nel 2018, intorno a quell’astro, una nana rossa nella costellazione di Ophiucus, si è scoperto un pianeta roccioso.

Vent’anni dopo la chiusura del progetto Daedalus, quando l’accettabilità sociale del nucleare era ormai quasi zero, Carlo Rubbia rivisitò l’idea del motore atomico in una versione “addomesticata” e molto innovativa, che non ha avuto sviluppi operativi ma rimane interessante. Vincitore del Nobel per la fisica 1984 insieme a Simon Van der Meer per la scoperta delle particelle W e Z, nel 1998 Rubbia propose un propulsore nucleare adatto all’uso nello spazio profondo, perché capace di fornire una spinta modesta ma per un tempo prolungato. Il nome in codice era Progetto 242. Il numero allude al peso atomico del combustibile nucleare prescelto, l’americio. Secondo i calcoli, un razzo con questa propulsione potrebbe raggiungere Marte in 45 giorni.

Il primo problema è che in natura l’americio non esiste: è un elemento sintetico fortemente radioattivo che si ottiene in piccole quantità bombardando il plutonio con neutroni. La camera di combustione del motore è costituita da un materiale riflettore di neutroni rivestito da una pellicola di americio 242 spessa tre millesimi di millimetro. Due chili e mezzo di questo isotopo sarebbero sufficienti. Un flusso di neutroni produce la fissione dell’americio, i frammenti di fissione trasferiscono la loro energia cinetica a idrogeno gassoso riscaldandolo fino a ottenere un plasma che, uscendo da un ugello di Laval, genera la spinta. La velocità di espulsione sarebbe di 40.000 metri al secondo, da confrontare con i 3000 m/s dei motori chimici. L’impulso ottenuto è soltanto di 3000 N contro 1,8 milioni di N di ognuno dei tre motori dello Shuttle, ma potrebbe durare a lungo e in modo flessibile con un rapporto combustibile/carico utile molto favorevole. L’Agenzia spaziale italiana prese in esame lo studio fino al 2001, quando il progetto si perse nelle nebbie della burocrazia (e dei costi).

La propulsione nucleare è l’unica adatta allo spazio profondo, in quanto l’energia chimica finora usata nei razzi ha già raggiunto le migliori prestazioni possibili e non può sostenere un viaggio interstellare. Il miglior motore nucleare sarebbe quello ad annichilazione di materia e antimateria: l’intera massa si trasformerebbe in energia. Tralasciamo le indescrivibili difficoltà tecnologiche e limitiamoci a un dato economico: un grammo di antimateria costerebbe 25 miliardi di dollari. In compenso, la materia è gratis.

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Interpretazione artistica dell’astronave a propulsione nucleare dell'Orion Project © Wikipedia/Public Domain

Il sogno di Elon


Accompagnare una prima colonia di 100 persone su Marte ed essere sepolto sotto le sue sabbie rosse: è il progetto visionario di Elon Musk.

Il piano prevede di finanziare il viaggio con i guadagni dei satelliti Starlink, ma non è solo un problema economico: ci sono formidabili difficoltà tecnologiche e pericoli micidiali per l’organismo umano. Finché i razzi funzioneranno a energia chimica, tenendo conto dei moti planetari, si decollerà verso Marte con alcuni mesi di anticipo sull’opposizione (allineamento Sole-Terra-Marte), in modo da viaggiare mentre il pianeta si avvicina alla Terra. Giunta nei dintorni del pianeta, la navicella verrà catturata dal campo gravitazionale marziano e si inserirà in orbita. Da lì in poi il problema sarà frenare quanto basta per un atterraggio morbido.

La traiettoria è di tipo balistico (si viaggia come su una palla di cannone), quindi non sono possibili correzioni di rotta strada facendo. In sostanza, l’astronave segue un arco di ellisse che la porta dall’orbita della Terra all’orbita di Marte. È la cosiddetta “ellisse di trasferimento di Hohmann”, che in questo caso ha il perielio sull’orbita terrestre e l’afelio su quella marziana. Wolfgang Hohmann, ingegnere tedesco, la propose nel 1925, e oggi viene usata normalmente per inviare satelliti in orbita geostazionaria, carichi verso la Luna, sonde verso pianeti. Per la frenata, fase critica nella quale in pochi minuti la velocità deve scendere da 22.000 chilometri orari a zero, si ricorre a un mix di retrorazzi, resistenza aerodinamica e paracadute. In passato, un pallone tipo airbag, facendo rimbalzare la navicella più volte sul suolo marziano, ha attutito l’impatto. Tecnica sconsigliabile con astronauti a bordo.

La durata del viaggio è un fattore cruciale per le radiazioni, le vettovaglie, l’assenza di peso e la convivenza dei viaggiatori. In sette mesi non si può escludere che avvenga una potente tempesta solare con gravi rischi per la vita degli astronauti. Nel caso del vento solare si tratta soprattutto di protoni fortemente accelerati, nel caso dei raggi cosmici di nuclei più massicci. Il modo migliore per fermarli consiste nel farli passare attraverso un materiale fatto di particelle all’incirca di pari dimensioni.

Sarebbe possibile schermare l’astronave con materiali assorbenti come alluminio multistrato e titanio, o crearle intorno un forte campo magnetico per deviare le particelle cariche di elettricità. In entrambi i casi aumenta il carico dell’astronave e di conseguenza il propellente da imbarcare. Interessanti come materiali assorbenti sono i nanotubi di nitruro di borio idrogenato e il Demron, una matrice di polietilene contenente molecole metalliche. Materiali costosi. La NASA sta esaminando una soluzione repellente ma a costo zero: inserire nelle pareti delle astronavi e degli habitat i sacchetti di feci umane prodotte lungo il tragitto. Sarebbero un valido schermo antiradiazioni. Ci si libera di un rifiuto rendendolo utile, i classici due piccioni con una fava.

Sfamare quattro persone per due anni non è cosa da sottovalutare: durante il viaggio e il soggiorno su Marte si ricorrerà ai soliti cibi liofilizzati, integrati da piccole coltivazioni idroponiche da sfruttare anche nel viaggio di ritorno.

Le esperienze fatte sulla ISS ci avvertono che, nonostante quotidiani allenamenti, dopo sette mesi in assenza di peso gli astronauti, arrivati al Pianeta Rosso, probabilmente non si reggeranno in piedi nonostante il peso su Marte si riduca a un terzo di quello terrestre. Anche per questo converrebbe scendere su una delle due piccole lune, Deimos o Phobos. Una soluzione sarebbe creare durante il viaggio una gravità artificiale facendo ruotare l’astronave, ma comporterebbe un enorme aumento di massa e di complicazione. Quanto alla convivenza tra i viaggiatori, sarà resa più difficile dalla depressione che quasi certamente li coglierà durante il lungo allontanamento dalla Terra con la crescente incertezza del ritorno e il senso di smarrimento inevitabile mentre ci si avventura nello spazio profondo.

È un’esperienza che nessuno ha mai fatto. Tenendo conto di queste e altre difficoltà, Fabio Cardone, fisico matematico del CNR, e Maurizio Proietti, medico, hanno scritto un libro significativamente intitolato Perché non andremo su Marte. Solo vivendo sapremo come andrà a finire, e io non vivrò abbastanza. Negli ambienti bene informati, per il viaggio umano a Marte non si parla del 2034, ma del 2050-2060. Guerre permettendo.

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Illustrazione di un'ipotetica futura colonia marziana © 3000ad/iStock
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