L’irresistibile ascesa della space economy - Intervista a Simonetta Di Pippo

  • In Articoli
  • 21-12-2022
  • di Claudia Di Giorgio
img
© iulos/iStock
L’arrivo di grandi imprenditori privati sembra aver fatto perdere allo spazio parte dei suoi aspetti più avventurosi a favore della cosiddetta space economy. Ma cosa si intende esattamente per “economia spaziale”?

Già una decina di anni fa, l’OECD, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, definiva la space econ­omy come «l’insieme delle attività e dell’uso delle risorse spaziali che creano valore e benefici per l’umanità nel corso dell’esplorazione, comprensione, gestione e utilizzo dello spazio». La space economy quindi non riguarda solo la costruzione e il lancio di velivoli e satelliti, la realizzazione di infrastrutture nello spazio e così via, ma, per citare ancora l’OECD, «si estende agli impatti sempre più pervasivi e mutevoli (in quantità e qualità) dei prodotti, dei servizi e delle conoscenze che dallo spazio derivano». Impatti in settori come l’agricoltura, la gestione delle risorse naturali e i trasporti, per citare solo alcuni di quelli in cui il ruolo delle tecnologie satellitari oggi è centrale. Ma si possono fare molti altri esempi di attività “terrestri” in cui spazio e sviluppo economico sono strettamente collegati.

Possiamo fissare anche una data di inizio della space economy?

Se adottiamo la definizione dell’OECD secondo me non c’è una vera data di avvio, è un fenomeno che è cresciuto piano piano. Prendiamo le immagini satellitari: quando sono state utilizzate per la prima volta? Dobbiamo risalire alla costellazione dei satelliti LANDSAT, lanciati a partire dal 1972, con cui hanno inizio le osservazioni della Terra dallo spazio. Per i primi anni le loro immagini sono state vendute a pagamento, ma poi è stato deciso di liberalizzarle e si è assistito a un salto gigantesco nelle applicazioni e nei servizi, e si è capito che era nato un nuovo settore economico. Il meccanismo è sempre lo stesso. Si sviluppano le tecnologie, queste tecnologie diventano mature e una volta che sono mature c’è uno sviluppo commerciale a cui i governi lasciano campo libero. È quello che è successo con le telecomunicazioni, che sta succedendo ora con l’osservazione della Terra e che succederà tra poco con i lanciatori e la gestione delle attività in orbita bassa. In sintesi, la space economy è stata definita solo in anni recenti ma esisteva da prima. Si tratta di un’evoluzione legata a come lo spazio viene usato sempre di più nella nostra vita quotidiana.

Le stime variano dalle centinaia alle migliaia di miliardi di dollari, ma sono concordi nell’indicare una crescita vertiginosa della space economy nei prossimi anni. Quali sono i settori che faranno da traino a questa crescita?

Nel breve e medio termine sarà senz’altro importante l’accesso a Internet a banda larga con costellazioni come Starlink di SpaceX, su tempi più lunghi ci sono i voli suborbitali da una parte all’altra della Terra e ancora più in là diventerà interessante l’estrazione di risorse minerarie da corpi come gli asteroidi: risorse come alluminio, rame, litio, manganese, nickel, argento, acciaio, zinco e terre rare, la cui richiesta è in continuo aumento e che tra l’altro sono fondamentali per le tecnologie green. In generale, tuttavia, non penso che la questione sia se la space econ­omy raggiungerà effettivamente il valore di migliaia di miliardi di dollari in pochi anni, ma come avverrà, cioè se sarà una crescita rapidissima o più lenta.

Un settore che promette molto è quello della ricerca biomedica nello spazio.

Gli studi e gli esperimenti fatti in questi anni sulla Stazione spaziale internazionale (ISS) indicano con chiarezza che medicina e salute saranno uno degli assi portanti della space economy del futuro. In condizioni di microgravità si possono effettuare studi impossibili sulla Terra su malattie che vanno dai tumori alle patologie neurodegenerative come l’Alzheimer, all’osteoporosi. Uno studio che illustra bene le problematiche in cui lo spazio può essere determinante è quello sui gemelli omozigoti Mark e Scott Kelly, entrambi astronauti NASA, il cosiddetto “twin study”. Nel 2015, Scott è stato sulla ISS per circa un anno, mentre Mark è rimasto sulla Terra. Essendo monozigoti, condividono il DNA, quindi confrontando le differenze tra di loro al termine della missione di Scott è stato possibile studiare come mai prima di allora l’influenza dell’ambiente sulla salute. Gli studi sui Kelly hanno coinvolto migliaia e migliaia di misurazioni diverse producendo decine di studi in discipline come genomica, proteomica, immunologia, neuroscienze ed epigenetica. Per citare solo un risultato, durante la permanenza nello spazio il corpo di Scott ha subito una serie di alterazioni, alcune positive (un processo legato all’invecchiamento si è rallentato) e altre meno (un ispessimento della carotide), ma gran parte di esse è scomparsa dopo il rientro.

Con l’affermazione della space economy lo spazio perde gli ideali degli inizi dell’era spaziale per favorire gli interessi di pochi?

No, io non credo che sia così. Negli anni Cinquanta, quando ha inizio l’era spaziale, i paesi che avevano accesso allo spazio, cioè quelli in grado di mettere satelliti in orbita con propri lanciatori o con lanciatori di altri, si contavano sulle dita di una mano sola, ed è continuato a essere così per decenni: tant’è che l’Italia, che lancia il suo primo satellite con un vettore americano nel 1964, è soltanto il terzo paese del mondo a farlo, dopo Stati Uniti e Unione Sovietica. Solo di recente siamo riusciti ad arrivare vicini ai 90 paesi che hanno avuto almeno un satellite in orbita. C’è ancora molta strada da fare, perché i paesi riconosciuti dall’ONU sono 193, ma non c’è dubbio che sia un trend positivo rispetto ai primi decenni dell’era spaziale. L’abbattimento dei costi dei lanci e quindi l’abbassamento delle barriere di ingresso all’uso dei dati e alle infrastrutture spaziali sta determinando un allargamento importante del numero di persone che hanno accesso allo spazio e ai vantaggi che ne derivano. E questo non sta andando a vantaggio solo delle economie più sviluppate, ma anche, e soprattutto, dei paesi emergenti e in via di sviluppo, per i quali lo spazio sta diventando un fattore di sviluppo socioeconomico sempre più importante.
image
I satelliti del sistema di posizionamento e navigazione satellitare civile della costellazione europea Galileo sono collocati a una quota di circa 23.000 chilometri lungo tre piani orbitali © ESA-P. Carril


Quindi quello di oggi in realtà è uno spazio meno eroico, ma più accessibile a tutti, al punto che si può parlare di uno spazio più “democratico”?

Secondo me sì. Non ci dimentichiamo che i dati di GNSS, GPS o Galileo, cioè quelli usati per la navigazione satellitare, per quanto ridotti in risoluzione, sono dati pubblici. Così come sono pubblici, cioè gratuiti e aperti a tutti, i dati di Copernicus, perché la Commissione europea e l’ESA, l’Agenzia spaziale europea, hanno deciso fin dall’inizio una politica di accesso libero ai dati. Certo, bisogna avere le competenze adatte per usare questi dati, e quindi il lavoro da fare, su cui per esempio sono impegnate le Nazioni Unite attraverso l’Ufficio che ho diretto per otto anni, è la costruzione di queste capacità nei paesi emergenti e in via di sviluppo. Però il dato, in linea di principio, è libero, quindi c’è una democratizzazione dell’utilizzo dello spazio.

Tuttavia, l’aspetto della space economy più pubblicizzato e più noto al grande pubblico è il turismo spaziale, che sembra riservato a una ristretta élite di miliardari.

Oggi è così, ma non lo sarà in futuro. Anzitutto farei un parallelismo con l’aviazione e addirittura con le automobili. Quando è stata inventata, l’automobile era destinata a pochissime persone. All’inizio, il volo aereo era una cosa da ricchi. Oggi invece il costo per volare da una parte all’altra dell’oceano si è talmente abbassato da essere alla portata se non proprio di tutti, certamente di moltissimi. Lo stesso vale per lo spazio. Avendo sempre più velivoli riutilizzabili, lanciatori sempre più grandi, come per esempio Starship, che portano sempre più persone, e così via, a un certo punto vedremo scendere naturalmente i costi, per cui fare un volo suborbitale costerà molto meno di quanto costa adesso e andare sulla Stazione spaziale o sulla Luna sarà sempre più fattibile.

Forse andare sulla Luna sarà più fattibile, ma ci saranno abbastanza potenziali clienti interessati ad andarci da garantire il mercato di massa necessario per fare da volano a un’evoluzione del genere?

Per cominciare, ci sono i voli suborbitali, i viaggi Terra-Terra. Per andare da Londra a New York con Starship basta mezz’ora.Tenendo conto dei fusi orari, vuol dire arrivare quattro ore e mezza prima di essere partiti; significa vivere a Londra, partecipare a una riunione a New York ed essere di ritorno a casa per cena. Questo non è turismo.

Tra luglio 2021 e novembre 2022, la Blue Origin di Jeff Bezos ha completato con successo sei voli con passeggeri. Oggi effettivamente questi passeggeri sono dei turisti, ma io preferisco pensarli come ambasciatori dell’umanità, che preparano la strada perché l’umanità diventi una specie multiplanetaria, sperimentano le condizioni di microgravità come persone comuni e al tempo stesso attirano l’interesse degli investitori oltre che del grande pubblico. Inoltre, le infrastrutture spaziali, e quindi le possibili destinazioni, stanno aumentando. Per esempio, Axiom progetta di staccarsi con i suoi moduli dalla ISS prima del 2030, diventando una stazione spaziale del tutto autonoma. Certo, per avere gli sviluppi di cui parlavo ci vorrà del tempo, ma già tra dieci anni la situazione sarà completamente diversa.

Come cambia il ruolo degli astronauti nella space economy?

Per alcuni versi potrebbe diventare un po’ più simile a quello del personale di volo degli aerei, ma rimarrà sempre un ruolo estremamente specializzato, che richiederà competenze di alto livello, una preparazione lunga e specifica e condizioni fisiche adeguate a trascorrere lunghi periodi di tempo in un habitat comunque difficile come quello dello spazio. Queste stazioni spaziali private, per esempio, avranno degli astronauti per così dire privati, che oltre a occuparsi delle operazioni di voli e dell’assistenza ai passeggeri, saranno di supporto, in alcuni casi anche svolgendole direttamente, ad attività molto varie, che possono andare dagli esperimenti scientifici in microgravità ai test di innovazioni tecnologiche fino alle riprese di film o serie tv. E naturalmente resteranno i protagonisti indiscussi di tutte le missioni di esplorazione.

A proposito di esplorazione, in questo quadro così dinamico la ricerca scientifica pura ha ancora un ruolo?

Non dobbiamo assolutamente dimenticare la ricerca scientifica: che sia robotica o meno. C’è ancora tantissimo da scoprire, siamo ben lontani dal sapere come si è formato il sistema solare, vedi i risultati scientifici sull’asteroide Bennu, che è fatto in modo completamente diverso da come pensavamo. Ogni volta che andiamo a verificare, di tanto in tanto troviamo delle conferme e ancora più spesso, anzi nella maggior parte dei casi, delle cose nuove. E parlo della ricerca pura, non di quella applicata, perché tanto più si sviluppa la space economy, quindi tutte le applicazioni, tanto più dobbiamo mantenere viva la ricerca pura, che poi è quella che dà la spinta all’innovazione. Bisogna pensare fuori dagli schemi, seguire l’intuizione, percorrere strade sconnesse e scomode, o che nessuno vuole seguire. Il valore della ricerca di base, oggi più che mai – e oggi più che mai nel settore spaziale – è fondamentale per sviluppare la space economy del futuro.

Simonetta Di Pippo è direttore dello Space Economy Evolution Lab (SEE Lab) della SDA Bocconi School of Management. In precedenza è stata a capo dell’United Nations Office for Outer Space Affairs, ha guidato il direttorato di Human Spaceflight dell’European Space Agency ed è stata responsabile dei programmi di osservazione dell’universo dell’Agenzia spaziale italiana. È membro dell’International Academy of Austronautics e del World Economic Forum Global Future Council on space, di cui è co-presidente dal 2020. Il suo ultimo libro, Space Economy. La nuova frontiera dello sviluppo, è uscito nel 2022 per i tipi di Egea.
accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',