Sulle tracce di Giuseppe Balsamo, detto Cagliostro

  • In Articoli
  • 22-06-2023
  • di Roberto Paura
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Le cento vite di Cagliostro
di Pasquale Palmieri
Il Mulino, Bologna 2023
pp. 248, euro 22,00


Si dice che quando le autorità di Parigi lo vennero ad arrestare per l’affare della collana, che aveva scosso la corte francese e indignato l’opinione pubblica, Cagliostro ebbe la prontezza di spirito di replicare: «Se è per l’uccisione di Pompeo, fu il Faraone a ordinarmelo». Tale era la sfacciata inventiva di un uomo che diceva di avere migliaia di anni, che si credeva dotato di straordinari poteri e conoscenze, dalla pietra filosofale alla capacità di parlare con i morti, e che ammaliò francesi, inglesi, russi, tedeschi. Ma non l’Inquisizione romana, che in secoli di storia ne aveva viste tante e non si lasciò irretire da colui che i giudici del papa stabilirono essere semplicemente Giuseppe Balsamo, palermitano di umili origini con un lungo curriculum di avventuriero, imbroglione e ciarlatano. Lo chiusero in un bugigattolo nella fortezza di San Leo (in provincia di Rimini), dove morì dopo quattro anni di stenti, nel 1795.

Una storia nota su cui si sono versati fiumi di inchiostro fin dai giorni del processo romano, ma da cui riparte oggi lo storico Pasquale Palmieri per illuminare attraverso la vicenda di Cagliostro un mondo complesso in cui, al tramonto dell’ancien régime, si confondono Lumi e illusioni, scienza e alchimia, fatti e fake news, usi e abusi dell’informazione e del potere. È il periodo in cui la Massoneria, nata agli inizi del Settecento, inizia ad ammantarsi di miti di fondazione che la fanno risalire ai Templari, se non addirittura all’epoca dell’antico Egitto, come lo stesso Cagliostro – attribuitosi il titolo di Gran Cofto – proverà a fare (il “rito egizio” da lui inventato, e le successive trasformazioni dovute alla fantasia di generazioni di massoni, gode ancora di ottima salute). L’Europa è scossa dalla notizia di una famigerata setta degli Illuminati che tramerebbe per abbattere i troni e gli altari, di cui lo stesso Cagliostro sarebbe uno dei capi (il Cagliostro di Alexandre Dumas seguirà proprio questa pista, rendendolo artefice occulto della Rivoluzione francese). È l’epoca di avventurieri come Giacomo Casanova e il conte di Saint-Germain, che millanteranno entrambi di averlo conosciuto, perché all’epoca – osserva Palmieri – questi personaggi si citavano a vicenda per godere di maggior credito. È anche l’epoca in cui inizia a emergere una sorda opposizione ai trionfi della scienza cartesiana e newtoniana, considerata troppo complessa e inaccessibile ma anche lontana dalle convinzioni dei filosofi naturali fondate su alchimia e vitalismo: un milieu da cui nascerà il mesmerismo ma in cui prolifereranno anche, fianco a fianco, maghi e illusionisti, gabinetti delle curiosità e spettacoli pseudoscientifici.

Pasquale Palmieri approda alla vicenda di Cagliostro dopo aver affrontato, lo scorso anno, l’assai meno nota vicenda del frate agostiniano Leopoldo di San Pasquale[1], che quasi negli stessi anni di Cagliostro la stampa popolare trasformò, nell’immaginario napoletano, in un personaggio da romanzo d’appendice, sul fortunato modello del francese Cartouche. Comune alle vicende di questi personaggi è la costruzione mediatica capace di trasformarli in leggende popolari: attraverso sommari dei processi, notiziari, compendi a metà tra realtà e fiction, Giuseppe Balsamo diventa il conte di Cagliostro, e analogamente attraverso quegli stessi strumenti il Sant’Uffizio lo farà tornare nei dimessi panni dell’avventuriero palermitano, ridimensionandone la figura a continuatore di una lunga serie di miscredenti ed eretici. Ma la fama di Cagliostro sopravvivrà più a lungo di altre grazie al nuovo clima di complottismo che circonderà le vicende della Rivoluzione francese, da cui l’abate Barruel trarrà le sue celebri tesi sul complotto massonico, mescolando nello stesso calderone Cagliostro, gli Illuminati, i massoni e i giacobini. Ciò ne garantì una «canonizzazione mediatica post mortem», come riassume Palmieri: «L’universo narrativo incentrato sul Gran Cofto si allargò a dismisura, abbracciando di volta in volta nuovi episodi, capaci di stimolare curiosità, stupore, ammirazione, compassione, risate, biasimo o ripugnanza».

Note

1) Palmieri P. 2022. L’eroe criminale, Il Mulino
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