Un antico segreto alchemico svelato

In una celebre scena della serie televisiva Breaking bad, il protagonista Walter White, professore di chimica divenuto produttore di metanfetamina con lo pseudonimo di Heisenberg, lancia un cristallo di fulminato di mercurio contro un narcotrafficante per convincerlo a pagargli la droga. L’esplosione devastante provocata dal cristallo è sicuramente esagerata dalla finzione scenica, tuttavia è vero che alcuni fulminati metallici hanno proprietà esplosive.

In generale, i fulminati sono sali che contengono un particolare anione di formula CNO- (C=carbonio, N=azoto, O=ossigeno). Essi sono noti da parecchio tempo, visto che sono relativamente facili da preparare, ed erano quindi stati già scoperti da alcuni alchimisti. In particolare, la preparazione del fulminato d’oro, detto anche oro fulminante, venne descritta per la prima volta nel 1585 dall’alchimista tedesco Sebald Schwaerzer (1552-1598) in un libro intitolato Chrysopoeia Schwaertzeriana. Il termine crisopea indica la grande opera (magnum opus), ovvero la trasmutazione dei metalli comuni in oro: sogno illusorio degli alchimisti che sarebbe stato realizzabile attraverso la mitica pietra filosofale.

Quando l’oro fulminante esplode produce una singolare nuvoletta di fumo di colore viola o rossastro. Questo lo rende particolarmente attraente, e persino su YouTube si trovano alcuni video che ne illustrano le singolari proprietà. Tuttavia, nonostante i progressi fatti dalla chimica e dalla fisica negli oltre 400 anni che ci separano dal libro di Schwaerzer, fino a poco tempo fa non si era riusciti a capire da dove provenisse la colorazione viola del fumo prodotto dall’oro fulminante.

Un’ipotesi che era stata formulata attribuiva la colorazione alla formazione, durante l’esplosione, di particelle di oro metallico di dimensioni nanometriche, ovvero dell’ordine del miliardesimo di metro. Tale ipotesi è motivata dal fatto che l’oro fulminante è stato spesso utilizzato per rivestire gli oggetti in modo da creare una patina di colore viola/cremisi. La procedura venne descritta, per esempio, dall’alchimista tedesco Johann Rudolf Glauber (1604-1670) nel XVII secolo.

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La coppa di Licurgo © Marie-Lan Nguyen/CC BY 2.5
Inoltre è noto da tempo che le sospensioni di nanoparticelle possono assumere la stessa colorazione. A questo proposito è piuttosto conosciuta la cosiddetta coppa di Licurgo, vaso vitreo di epoca romana che assume una colorazione rossa se guardato in trasparenza e appare invece verde se osservato in luce riflessa. È stato dimostrato che il vetro della coppa contiene proprio nanoparticelle d’oro, originate inconsapevolmente dall’ignoto artigiano romano che realizzò l’opera.

La conferma definitiva della validità dell’ipotesi nanoparticellare per giustificare il colore viola del fumo emesso dall’oro fulminante è arrivata tuttavia solo di recente da uno studio, pubblicato nell’ottobre 2023 su arXiv[1].

Alcuni ricercatori guidati da Simon Hall, professore di chimica all’Università di Bristol, e dal suo dottorando Jan Maurycy Uszko, hanno realizzato diversi esperimenti in cui campioni di cinque milligrammi di oro fulminante erano fatti esplodere, mediante riscaldamento, su un foglio di alluminio. Il fumo prodotto veniva quindi catturato con opportune reticelle di rame rivestite di carbonio ed esaminato al microscopio elettronico a trasmissione. Le osservazioni al microscopio hanno confermato, al di là di ogni legittimo dubbio, la presenza di nanoparticelle di oro metallico di forma sferica, di dimensioni variabili da 10 a 300 nanometri.

Oltre ad aver svelato un antico mistero alchemico, il lavoro di Hall e Uszko può aprire nuove prospettive in vari campi applicativi: per esempio l’eliminazione rapida di solventi e agenti di copertura e la produzione di nanoparticelle metalliche di forma sferica regolare.

Note

1) J.M. Uszko, S.J. Eichhorn, A.J. Patil, S.R. Hall, 2023. “Explosive Chrysopoeia”, in arXiv Condensed Matter-Materials Science
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