Intervista a Giampaolo Proni

Se la pseudoscienza piace...

  • In Articoli
  • 10-06-2001
  • di Emiliano Farinella
Giampaolo Proni ricercatore in semiotica, svolge attività di consulenza in comunicazioni di massa. Professore a contratto al Politecnico di Milano, all'Università di Bologna e all'ISIA di Firenze.
Ha pubblicato Introduzione a Peirce (Milano: Bompiani 1990), sul filosofo americano fondatore della semiotica, e Il caffè, l'amico di Voltaire, Lupetti, Milano 1994 (un'analisi della comunicazione della Lavazza), articoli e saggi.
E' autore dei romanzi Il caso del computer Asia, Torino: Bollati-Boringhieri 1989 (un giallo di computer); L'indagine di Maria H., Milano: Signorelli, 1993 (un giallo per ragazzi) e di diversi racconti di fantascienza. Tra questi "La corsa di Jimmy Boot", in Cyber Punk, Millelire Stampa Alternativa, 1995 e "L'isola del miele", edizioni Shake, a cura di Daniele Brolli. L'ultimo suo romanzo è La dea digitale, un romanzo di anticipazione pubblicato da Fazi editore www.fazieditore.it
Homepage personale: www.infotel.it/fabula/n-gpr.htm



Giampaolo Proni, semiologo, si occupa di comunicazione di massa ed è tra i soci fondatori dell’ACS, Associazione per la comunicazione scientifica. Gli abbiamo chiesto di spiegarci brevemente la fortuna di pubblico delle pseudoscienze, e la ragione delle diffuse imprecisioni nella comunicazione scientifica.Per quale ragione le pseudoscienze tendono ad esercitare tanto fascino sulle masse?

Le cosiddette “pseudoscienze” imitano l'autorevolezza della scienza ma non possiedono molte delle sue caratteristiche di metodo e di oggetto.
Parassitano la scienza, la scimmiottano, e spesso chi si fa affascinare dalla pseudoscienza crede di seguire una scienza, ha un'idea persino troppo idealizzata della scienza.

Come si diffonde la fiducia in una pseudoscienza?

Non sono un sociologo della conoscenza, ma mi pare che parta dal desiderio di spiegare fatti non sempre accertati e numerosi (come gli spiriti, la telecinesi ecc) e quasi sempre adotta spiegazioni a loro volta non verificate. Tuttavia riguarda solitamente fatti che non incidono molto sulla vita quotidiana delle persone, e perciò 'costa poco' crederci. Tranne nei casi in cui si agisce in base alla pseudoscienza e magari ci si assume
dei rischi. Da buon pragmaticista penso che molte credenze sono facili da sostenere perché non comportano azioni pratiche. A parole molti credono nell'immortalità dell'anima, ma vorrei vedere quanti sarebbero disposti a farsi martirizzare per non rinnegare la fede! Io credo che la fiducia a parole sia molta di più di quella nei fatti. Tuttavia esiste anche questa, spesso legata a situazioni di disperazione.

Un caso concreto che ci siamo appena lasciati alle spalle: come è nato il fenomeno "Di Bella"? Quali elementi peculiari ne hanno fatto la fortuna rispetto a casi simili?

E' di pochi giorni fa la notizia della morte per tumore di una persona che conoscevo. Nelle ultime settimane, dopo una prognosi infausta, questa persona ricorse alla 'cura Di Bella', la cui validità è contestata. Ma nelle sue condizioni era una scelta scientifica, perché disperata.
La scienza non dovrebbe spacciarsi per miracolosa, e dovrebbe tollerare che, dove nulla è razionalmente possibile, le persone tentino qualsiasi cosa abbia la minima probabilità di successo.
Il vero problema è quando lo Stato deve decidere se impegnare il denaro dei contribuenti per finanziare queste cure.

Nella comunicazione scientifica di massa assistiamo a radicali imprecisioni e distorsioni. Al di fuori dei stretti ambiti della comunicazione scientifica questa sembra la regola.
Questo comportamento che conseguenze ha? Perché si perpetua?

Ha conseguenze gravissime, soprattutto in Italia dove la scienza è stata spesso messa in discussione da ideologie malintese e da forme superstiziose della religione, e dove i mass media fanno in genere una pessima informazione scientifica.
Questo genera un diffuso atteggiamento di disprezzo e sottovalutazione per scienza e tecnologia che sta accrescendo l'arretratezza del nostro Paese rispetto a molti altri.
Un esempio: nell'Università vi sono ancora docenti che si rifiutano di usare computer e internet adducendo il loro diritto di restare fuori dai mutamenti tecnologici. Non credo vadano costretti, ovviamente, ma sarebbe il caso di far notare loro che questa loro decisione si ripercuote sugli studenti.
Questo atteggiamento si perpetua soprattutto per responsabilità dello Stato, che ha il dovere di diffondere la conoscenza e il rispetto (non l'idolatria, ovviamente) per la scienza, nel sistema dell'istruzione, nella cultura e sostenendo le associazioni che si dedicano a questo compito.
Oggi molti opinion leaders -di fronte a casi come 'mucca pazza', 'uranio impoverito', 'inquinamento elettromagnetico', 'OGM' ecc, si rendono conto degli enormi costi economici e sociali dell'ignoranza e degli atteggiamenti antiscientifici.

Nel tuo ultimo romanzo uscito per Fazi editore, La Dea digitale, l'informazione scientifica e' invece ottima. Quanto costa a chi scrive questa correttezza?

Nulla. Da bambino mi sono formato su Jules Verne, e vengo da quelle famiglie modeste che, negli anni '60, acquistavano a rate l'enciclopedia scientifica, e la consultavano di fronte a ogni curiosità. Operai, contadini e ogni persona che fa un lavoro pratico, sanno che la scienza ha portato benessere, salute e conoscenza della Natura, e non vorrebbero mai tornare indietro. Con tutti gli eccessi e i rischi che possono emergere.

Nell'"era dell'informazione" sembra debbano esserci risposte semplici a ogni cosa. Invece dobbiamo dire "non so" o faticare molto. Si diffonde un'aria di sfiducia verso la scienza e di complotto. Da dove nasce la sfiducia? Cosa cerca chi non si fida più del mondo scientifico, e a cosa va incontro?

Ho passato molti anni a studiare Charles Peirce, il fondatore della semiotica e il più importante filosofo americano. Peirce diceva che la scienza si può ridurre a un solo principio, scritto a lettere d'oro sulle sue porte: “Do Not Block the Way of Inquiry”, Non bloccare la via della ricerca. Ma se la ricerca è sempre aperta, ciò significa che non conosciamo mai tutto, e nulla perfettamente. Perciò bisogna diffidare di ogni sapere che dichiara risolti tutti i problemi di conoscenza. Come la filosofia di Hegel, che aveva spiegato tutto. La scienza è l'unico metodo valido perché è l'unico che dichiara la propria fallibilità. Quindi chiunque dichiara di non voler bloccare la ricerca segue un metodo scientifico.
Purtroppo, molti concorrenti della scienza si dichiarano infallibili, e attirano così gli insicuri. E allora, per contrasto, una certa propaganda scientifica propone la scienza come infallibile, privandola della sua grandezza. La scienza non sa cosa c'è al centro della Terra, non sa curare la psoriasi e far ricrescere i capelli ai calvi. Sa come funziona il sole e come è fatto il DNA. Sappiamo quello che riusciamo a sapere, e spesso in modo parziale. Ma essere uomini è proprio questo. E' inutile fingere di comportarci come Dei: la nostra grandezza è nel nostro limite.
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