La buona scuola

Riforme, proclami e realtà oggettiva della scuola italiana

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Mariastella Gelmini
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Sulle pagine di questa rubrica abbiamo spesso lamentato la scarsa attenzione che la classe politica e i media rivolgono ai problemi dell'istruzione nel nostro paese. Da qualche tempo, almeno apparentemente, tale tendenza sembra essersi invertita: si parla infatti moltissimo di scuola.
L'attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha, in molteplici occasioni, sottolineato la sua volontà di riportare la scuola al centro del dibattito politico e nella seconda metà di agosto, il Governo ha cominciato ad annunciare l'imminente pubblicazione delle linee guida sulla riforma dell'istruzione. Inizialmente prevista per il 29 agosto, la pubblicazione è poi realmente avvenuta in data 3 settembre con la messa on-line del pdf intitolato La buona scuola. Facciamo crescere il paese[1] nel quale, in 136 pagine, si delineano le caratteristiche della scuola futura secondo il Renzi-pensiero. Tutti i media hanno dato ampio risalto all'iniziativa governativa e si preannuncia un'ampia discussione da parte docenti, studenti, famiglie ed esperti del settore. Il 4 settembre la rivista mensile Micromega ha portato in edicola un bel numero monografico dal titolo "Un’altra scuola è possibile: laica, repubblicana, egualitaria, di eccellenza”[2], in cui autorevoli firme (da Giorgio Parisi a Nicola Piovani, da Piergiorgio Odifreddi a Telmo Pievani e molti altri) affrontano il problema dell'insegnamento delle scienze, della storia, della filosofia, della logica, ecc. e, in generale, le principali tematiche legati alla politica scolastica. Il 9 settembre poi l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ) ha reso pubblico il suo consueto report annuale (Sguardo sull'istruzione 2014[3]) in cui la scuola italiana viene fotografata con le sue luci ed ombre. In occasione dell'inizio delle lezioni, infine, il premier ha mandato i proprio ministri in diverse scuole del paese.
Tutto questo rinnovato interesse per la scuola e i suoi problemi non può che essere motivo di ottimismo per coloro che ritengono fondamentale il ruolo dell'istruzione. Tuttavia uno sguardo al recente passato e alla realtà oggettiva dei fatti non può che indurre una prudente cautela.
La rivista La tecnica della scuola, in data 30 agosto, ha pubblicato on line un interessante articolo[4] in cui si fa un breve riassunto degli interventi che i vari governi hanno attuato sulla scuola nel recente passato. La lettura dell'articolo è abbastanza desolante anche per chi, come gli insegnanti, conosce bene, avendole vissute in prima persona, le conseguenze dei provvedimenti presi dai vari ministri che si sono succeduti in Viale Trastevere. Vederle elencate tutte insieme fa un certo effetto. Si va dall'ambizioso e contestatissimo progetto riformatore di Luigi Berlinguer, abortito sul nascere per la caduta del governo, ai provvedimenti di Letizia Moratti che, nel 2003, abolì l’esame di licenza elementare, attuò la riduzione del “tempo scuola”, introdusse nuovi programmi di storia, geografia e scienze (compreso il tentativo di eliminare l'evoluzionismo dalla scuole medie). Dall'abolizione degli esami di riparazione, voluta dal ministro Fioroni, con l'introduzione del famigerato "sei rosso" (osserviamo che oggi gli esami di riparazione ci sono di nuovo, anche se non si chiamano più così), fino all'ineffabile Mariastella Gelmini che (tra un "tunnel dei neutrini" e una "egìda") tagliò la spesa per l’istruzione riducendo drasticamente il numero di insegnanti. Ma, come si chiede l'articolo di La tecnica della scuola, tutti questi provvedimenti hanno fatto bene alla scuola italiana? La risposta si può trovare proprio nel report dell'OCSE.
Siamo il Paese che investe meno (in rapporto alla spesa pubblica) nell'istruzione: appena il 9%, rispetto al 13% dei paesi Ocse e al 12% dei 21 paesi Ue. Inoltre siamo l'unico paese ad aver tagliato i fondi per l'istruzione nel corso degli ultimi anni e questo costringe i genitori a sborsare sempre più soldi. I "contributi volontari", dal 2000 al 2011, sono raddoppiati raggiungendo i 320 dollari statunitensi per alunno. Stesso discorso per le università, oggi finanziate abbondantemente dalle famiglie italiane che contribuiscono per un terzo delle entrate) L'Italia è infine il paese con gli insegnanti più anziani dell'intera area OCSE.
L'aspetto più preoccupante che il report dell'Ocse mette in evidenza sono tuttavia le difficoltà legate alla ricerca di un'occupazione da parte dei giovani e alla conseguente perdita di interesse per lo studio. «Le difficoltà - recita il rapporto- cui fanno fronte i giovani italiani per trovare un lavoro rischiano di compromettere gli investimenti nell'istruzione». E, prosegue lo studio, «Con le sempre maggiori difficoltà incontrate nella ricerca di un lavoro, la motivazione dei giovani italiani nei confronti dell'istruzione è infatti diminuita. I tassi d'iscrizione all'università in Italia hanno segnato una fase di ristagno o sono diminuiti negli anni più recenti e il numero di studenti che abbandonano precocemente gli studi ha smesso di diminuire dopo il 2010».
Il problema della motivazione è fondamentale e di esso ci siamo già occupati in altre pagine di questa rubrica. E, naturalmente, non riguarda solamente gli studenti, ma anche i docenti. Di quest'ultimo aspetto sembra essere consapevole il governo Renzi che, nei suoi numerosi proclami pubblici, ha sottolineato come occorra motivare maggiormente gli insegnanti introducendo il merito nelle loro carriere. Come si legge nel sopracitato pdf La buona scuola: «Quel merito che serve per ridare dignità e fiducia alle decine di migliaia di insegnanti che ogni giorno si impegnano con competenza e passione a restare al passo coi tempi per assicurare che i ragazzi a cui insegnano crescano a loro volta sintonizzati col mondo di oggi». Se si va poi a leggere su quali punti si devono basare gli aspetti meritocratici che determineranno la progressione in carriera dei docenti, si apprende che essi dovranno essere: la qualità del lavoro in classe, la formazione e l'aggiornamento in servizio e il contributo al miglioramento della scuola. Si tratta di criteri in linea di massima condivisibili. Ma nasce subito il problema di come valutare in modo obiettivo questi aspetti della professione docente. Al di là di questo aspetto (già di per sé di non facile soluzione) occorre poi andare a vedere quali saranno i riconoscimenti effettivamente previsti per i docenti meritevoli. Il pdf ministeriale parla molto chiaramente. Intanto è già piuttosto curioso che si stabilisca a priori che solo il 66% dei docenti sarà meritevole (è come se a inizio anno i docenti di una classe stabilissero a priori che solo 2/3 degli allievi verranno promossi e gli altri inesorabilmente bocciati). Inoltre i fortunati e meritevoli docenti potranno ambire, non prima che siano trascorsi quattro anni, di uno stratosferico aumento stipendiale di ben 60 euro netti mensili! (Per un anno, infatti gli stipendi saranno fermi per il blocco contrattuale e il primo scatto stipendiale sarà possibile solo dopo tre anni).
Di fronte a prospettive di questo genere, anche il più motivato dei docenti si sente profondamente preso in giro. Appare infatti in modo evidente che la tanto strombazzata introduzione del merito nella carriera dei docenti servirà solamente a effettuare ulteriori risparmi, rispetto all'attuale sistema in cui lo stipendio aumenta grazie agli scatti di anzianità (peraltro bloccati da anni)[5].
Al di là dei proclami e delle operazioni di facciata, quindi, anche le prime mosse dell'attuale governo in materia di istruzione non sembrano discostarsi molto da quelle dei governi procedenti e non inducono molte speranze. Naturalmente ci auguriamo vivamente di essere smentiti.
Per concludere un'ultima considerazione. Continuamente i nostri governanti fanno riferimento all'Europa per sancire l'ineluttabilità di certe scelte. Bene: si guardi finalmente all'Europa anche per quanto riguarda l'istruzione! In particolare vi è un modello al quale sarebbe opportuno ispirarsi: è quello della Finlandia, cui è dedicato un interessante articolo di Pasi Sahlberg, nel suddetto numero speciale di Micromega. Negli anni cinquanta, la Finlandia era un paese poverissimo e il livello medio d’istruzione della popolazione era estremamente basso. Nel corso di qualche decennio, le sagge politiche educative dei suoi governi hanno fatto sì che oggi la Finlandia abbia un sistema scolastico invidiato da tutti e che i suoi studenti primeggino in tutte le classifiche internazionali. E, naturalmente, anche l'economia finlandese ha enormemente beneficiato di questa rinascita culturale. Non sarebbe forse il caso di fare meno proclami e studiare con estrema attenzione queste politiche educative?

Note


3) "OECD Multilingual Summaries Education at a Glance 2014 OECD Indicators, Summary in Italian": http://tinyurl.com/nwcxqdg
4) P. Almirante, "Ma le tante riforme per riformare la scuola l’hanno migliorata?", La Tecnica della scuola: http://tinyurl.com/ny6zxce
5) Si veda, ad esempio: L. Ficara, "Né per merito, né per anzianità", La Tecnica della scuola: http://tinyurl.com/oubqlgq
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