Alla velocità della luce!

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Jeff Keyzer from San Francisco, CA, USA ©Wikipedia
Più veloci della luce. Non si può (perché, poi?). Va bene, alla velocità della luce. Cioè velocissimi. Quanto veloci? Circa 300000 (trecentomila) chilometri al secondo. È molto? Sì, molto, per essere una velocità. Bene, riusciamo a farci un’idea di “quanto molto” sia grande questo numero? Trecentomila di per sé non è chissà che cosa. Dipende dalle unità di misura, però. Se parliamo di chilometri percorsi in un secondo qualche brivido ci dovrebbe venire. L’Italia, punta-tacco, è circa un migliaio di chilometri. Questo significa che in un trecentesimo di secondo un raggio di luce passa dalla Vetta d’Italia a Lampedusa. Rende l’idea? Forse no.

Pensiamo allora all’equatore terrestre. Un cerchio di circonferenza pari a 40000 (quarantamila) chilometri. Quaranta “Italie” in fila. Giulio Verne sognava di percorrerlo in 80 giorni. La ISS lo fa in poco più di 80 minuti (anche se non vola per niente seguendo l’equatore, ma questo qui non è importante). Immaginiamo di svolgere una fibra ottica (un tubicino di vetro molto sottile che ha l’interessante proprietà di obbligare la luce a restare intrappolata in questo tubo anche se è curvo) fino a ricoprire l’intero equatore. Un tubicino di quarantamila chilometri. Accendiamo una sorgente luminosa (magari un LASER, che fa più figo e comunque immette molta energia su una piccola area) e dirigiamola sulla fibra ottica. Allo stesso tempo teniamo d’occhio (visto che di luce si parla) l’estremità opposta del tubicino che abbiamo in mano dopo il giro del mondo in quarantamila chilometri.

Dall’accensione del LASER basta che trascorra circa un settimo di secondo perché si veda un lampo luminoso dall’altra parte. Il giro del mondo in un settimo di secondo, più o meno. Oppure, se vi piace di più pensare a secondi interi, il tubicino equatoriale viene percorso circa sette volte dall’impulso luminoso fra un tic e un tac dell’orologio che batte i secondi (ammesso e non concesso che la luce LASER sia abbastanza intensa da non perdere troppo vigore prima di avere percorso pochi chilometri invece che trecentomila in un secondo, ma questo tutto sommato è un “esperimento pensato”, come quelli che faceva Einstein un secolo fa abbondante e ci ha vinto un premio Nobel, niente male). Già che siamo in ballo, possiamo immaginare percorsi ancora più grandi (e dunque maggiori tempi di percorrenza) nei quali la luce viene messa alla prova di velocità: dalla Terra alla Luna (ancora una volta Giulio Verne!) in un secondo, più o meno. Non male, se si pensa che gli astronauti di nove missioni Apollo hanno impiegato circa tre giorni per arrivare a destinazione. La luce per antonomasia, quella del Sole: impiega circa 8 minuti per raggiungerci. Due conti nemmeno troppo impegnativi ci permettono di capire che la nostra stella indispensabile si trova a circa 150 milioni di chilometri da noi. Percorsi, per l’appunto, in 8 minuti.

Ci sono altre unità di misura interessanti quando si parla della luce. Per esempio “l’anno luce”. Il termine confonde i non addetti ai lavori, perché l’anno è unità di misura convenzionale di un tempo, non certo di una distanza. Eppure lo diventa quando si accostano i due termini, anno e luce. Si tratta semplicemente della distanza che la luce, viaggiando a circa trecentomila chilometri al secondo, percorre in un anno. Questo numero comincia a fare impressione. In un anno? Quanti secondi ci sono? Sessanta al minuto, tremilaseicento all’ora, ottantaseimilaquattrocento (86400) al giorno. Prendendo un anno “standard” di 365 giorni il conto è presto fatto: ci sono più di trenta milioni di secondi all’anno durante ognuno dei quali la luce fa trecentomila chilometri. Finale? Circa diecimila miliardi di chilometri all’anno. Ovvero, per essere chiari, un “anno luce” è una distanza pari a questo valore. Se fa impressione va tutto bene. È un numero enorme. Il fatto è che il nostro sistema solare ha un diametro (considerando Nettuno come il pianeta più esterno – povero Plutone degradato) di circa “solamente” 8 ore-luce. Per andare sulla stella più vicina (Proxima Centauri) la luce impiega circa 4 anni, dunque questa stella è a circa 4 anni luce da noi. È tanto? Sì. L’oggetto costruito in un laboratorio terrestre più veloce e in movimento lontano dalla Terra è New Horizons, la sonda che ha sorvolato nel 2015 Plutone in un’emozionante missione. Sta viaggiando ora a circa 60000 (sessantamila) chilometri orari in allontanamento dal Sole. A questa velocità, per raggiungere Proxima Centauri (non che ne abbia intenzione, in realtà, ma è per farsi capire) ci vorrebbero circa 70000 (settantamila) anni. Attenzione, si ripete: per percorrere quattro anni luce di distanza a sessantamila chilometri all’ora (un aereo di linea va circa sessanta volte più lentamente in crociera) ci vogliono settantamila anni. Settantamila anni fa sulla Terra c’erano solo scimmioni (e forse così male non si stava, ma questa è un’altra storia).

Insomma, la luce va fortissimo. Viene voglia di capire come sia (stato) possibile misurare la sua velocità. Non è come rilevare quella di Usain Bolt: che corra anche lui forte non c’è dubbio, ma in questo caso sono sufficienti un metro e un cronometro. Poi la velocità (media) la si ottiene come rapporto fra la distanza percorsa (misurata con il metro) e il tempo impiegato a percorrerla (misurato con l’orologio). Cento metri in circa dieci secondi, dieci metri al secondo, 36 km/h (in media: in realtà gli atleti sui cento metri hanno spunti molto più elevati perché partono da fermi). Il problema con la luce è che non possiamo fidarci di nessun cronometrista umano, visto che dovrebbe riuscire a leggere tempi di percorrenza della luce come quelli di cui si parlava poco prima: nuovo record del mondo sui cento metri, il raggio luminoso li percorre in meno di un milionesimo di secondo. Niente da fare, ci vuole qualcosa di diverso da un cronometrista.

A dirla tutta, Galileo Galilei aveva (ben) pensato di fare un esperimento tipo Usain Bolt molto prima che nascesse. La sua idea era (correttamente!) che la luce fosse “qualcosa” di molto rapido (argomento per nulla scontato all’epoca, quando cioè non si sapeva assolutamente cosa fosse davvero la luce – a dire la verità non è che oggi si sappia molto di più) e che dunque valesse la pena di tentare una misura sperimentale di questa rapidità di movimento. L’inimitabile e ineguagliabile pisano, con una lanterna in mano, si affida a un suo collaboratore anch’egli munito di una lanterna che poteva essere oscurata (già: i LASER ancora non erano stati inventati). Galilei e il suo assistente si disponevano su due colline a debita (ma non eccessiva) distanza e l’esperimento consisteva in questa sequenza di azioni: Galilei accende la sua lanterna; l’amico, con la sua lanterna accesa in mano, non appena vede il segnale luminoso del maestro, oscura la sua. Galilei dunque deve osservare che la lanterna dell’assistente si spegne dopo un certo intervallo di tempo dall’accensione della sua.

Quanto tempo? Eh, siamo messi male. Se le colline distavano qualche chilometro, l’esperimento richiedeva un tempismo dell’ordine dei milionesimi di secondo, o poco più. Un disastro. Qualcuno se l’è cavata meglio? Sicuramente. La storia delle misurazioni (sempre più affidabili) della velocità della luce è ricca di inventiva, genialità, tecnica, fantasia e determinazione scientifica. Nel XVII secolo l’astronomo danese Roemer, in base a una serie di osservazioni del moto di uno dei satelliti di Giove, Io, ipotizzò che i dati ottenuti fossero compatibili con una velocità di propagazione della luce (che vuol dire: di quello che si vede!) finita e dell’ordine di non meno di duecentomila (200000) chilometri al secondo. Il satellite di Giove, infatti, spariva e appariva nel suo moto di rotazione attorno al pianeta gigante che lo “possedeva” con tempi differenti a seconda della posizione relativa fra quel pianeta e il nostro. Calcoli numerici (per allora molto impegnativi – ma anche ora lo sono) deponevano a favore di un modello di propagazione della luce a velocità finita, ancorché elevata.

Si potrebbe proseguire con altri esperimenti (il “chopping” o taglio della luce con una rotella dentata a opera di Fizeau) che con maggior precisione a accuratezza convergevano verso valori “definitivi” per la grandezza di nostro interesse. Resta un punto fondamentale di tutto questo discorso: trecentomila chilometri al secondo (che in realtà ora sono fissati al valore “esatto” pari a 299792,458 km/s) rispetto a che cosa? Un’automobile va a 100 km/h rispetto all’autostrada, ma a 40 km/h rispetto a un'automobile che la insegue a 60 km/h rispetto alla medesima autostrada. Se non si specifica “rispetto a che cosa” la velocità ha sempre e solo significato relativo.

Dunque: rispetto a che cosa la luce va alla sua velocità? Niente da fare: questa è la sua velocità, punto. Nel vuoto la luce viaggia sempre e solo a trecentomila chilometri al secondo. Fastidioso? Non vi è dubbio. Ma così è fatto il nostro universo.

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