Come una bomba a orologeria, dopo tredicimila anni dall’impatto al suolo, un meteorite di due chilogrammi scarsi di peso e a forma di tubero produce il suo botto. Con effetti notevoli, visto che, oltre a scuotere l’universo scientifico, potrebbe rilanciare l’industria aerospaziale americana e aumentare la popolarità di Bill Clinton in vista delle presidenziali USA. E forse questi due aspetti hanno portato a gonfiare i risultati scientifici resi noti dalla NASA.
Il fossile, trovato dodici anni fa in Antartide e denominato ALH84002, proviene da Marte e recherebbe al suo interno i segni di un’attività biologica, in pratica tracce di vita extraterrestre. Il clamoroso annuncio, come ampiamente riportato dalla stampa, è stato dato alcune settimane fa da un gruppo di ricercatori dell’ente aerospaziale americano, guidato da David McKay, che ha condotto la ricerca presso il Johnson Space Center di Houston.
«Quindici milioni di anni fa un asteroide colpì Marte» ipotizza McKay «scaraventando frammenti di pianeta nello spazio. Dopo un lungo viaggio uno di questi è atterrato in Antartide consegnandoci il proprio segreto. Te tracce di idrocarburi policiclici aromatici e di globuli di carbonaio trovate al suo interno sono compatibili con una attività microbatterica. Un microscopio a scansione elettronica ad alta definizione ha inoltre rilevato la presenza di microcelle e cristalli di magnetite, indizi simili a quelli notati nella fossilizzazione dei batteri terrestri».
Molti esperti non sono convinti di questa ricostruzione e cominciano ad avanzare obiezioni, innanzitutto la provenienza di ALH84002: non tutti sono persuasi che il fossile provenga da Marte, nonostante alcuni isotopi di ossigeno presenti al suo interno siano simili a quelli riscontrati sul pianeta. Le sostanze che compongono il meteorite sollevano un altro dubbio: come essere certi che non vi sia stata contaminazione terrestre? «L’Antartide non è un luogo completamente sterile - spiega il geologo Robert Gregory della Southern Methodist University di Dallas - e potrebbe esserci stato un assorbimento di elementi organici attraverso i pori della roccia». Tuttavia Mc Kay sostiene che le concentrazioni di idrocarburi policiclici aromatici sono più alte in profondità che all’esterno e questo escluderebbe l’ipotesi della contaminazione. Gregory scuote il capo: «Credo che più semplicemente questi composti siano stati distrutti in superficie dai raggi ultravioletti del sole». Anche William Schopf, paleobiologo dell’ Università di Los Angeles, famoso per aver datato il fossile più antico trovato sulla Terra, si schiera in partibus infidelium.
«Gli idrocarburi policiclici aromatici» spiega «sono stati riscontrati anche in altri meteoriti di provenienza non marziana e sono sempre stati associati a processi inorganici. Inoltre, le impronte fossili poste in evidenza al microscopio sono cento volte più piccole di quelle analoghe riscontrate sulla Terra. Saremmo quindi in presenza di batteri che misurano da 20 a 100 nanometri, dimensione che è probabilmente al di sotto del limite minimo per ospitare il materiale genetico per un sistema vivente.» La plausibilità dei nanobatteri sarebbe dunque da dimostrare quanto quella di marziani adulti, verdi e con le antenne.
Che dire poi della presenza su Marte di cristalli di magnetite (solitamente associata alla attività batterica)? Sulla Terra questi cristalli sono una sorta di bussola che aiuta i batteri a orientarsi, ma sul pianeta rosso il campo magnetico è solo lo 0,2 per cento di quello terrestre.
Più indolenti degli entusiasmi, i dubbi crescono di giorno in giorno. L’annuncio della NASA sembra dunque prematuro, se non addirittura imprudente. Ma poteva il presidente Clinton lasciarsi sfuggire sotto le elezioni un boccone così prelibato, dalle imprevedibili ricadute in campo tecnologico e scientifico? Poteva frenare gli entusiasmi, col rischio che Russia e Giappone, impegnati in studi analoghi, facessero il primo passo? E poteva un giro d’affari di alcuni miliardi di dollari l’anno (a tanto ammonta il budget della NASA per le esplorazioni spaziali) attendere la prova provata?
Non poteva. Le bufale si dimenticano, le grandi scoperte no.
da: Tempo medico 18/09/1996
Il fossile, trovato dodici anni fa in Antartide e denominato ALH84002, proviene da Marte e recherebbe al suo interno i segni di un’attività biologica, in pratica tracce di vita extraterrestre. Il clamoroso annuncio, come ampiamente riportato dalla stampa, è stato dato alcune settimane fa da un gruppo di ricercatori dell’ente aerospaziale americano, guidato da David McKay, che ha condotto la ricerca presso il Johnson Space Center di Houston.
«Quindici milioni di anni fa un asteroide colpì Marte» ipotizza McKay «scaraventando frammenti di pianeta nello spazio. Dopo un lungo viaggio uno di questi è atterrato in Antartide consegnandoci il proprio segreto. Te tracce di idrocarburi policiclici aromatici e di globuli di carbonaio trovate al suo interno sono compatibili con una attività microbatterica. Un microscopio a scansione elettronica ad alta definizione ha inoltre rilevato la presenza di microcelle e cristalli di magnetite, indizi simili a quelli notati nella fossilizzazione dei batteri terrestri».
Molti esperti non sono convinti di questa ricostruzione e cominciano ad avanzare obiezioni, innanzitutto la provenienza di ALH84002: non tutti sono persuasi che il fossile provenga da Marte, nonostante alcuni isotopi di ossigeno presenti al suo interno siano simili a quelli riscontrati sul pianeta. Le sostanze che compongono il meteorite sollevano un altro dubbio: come essere certi che non vi sia stata contaminazione terrestre? «L’Antartide non è un luogo completamente sterile - spiega il geologo Robert Gregory della Southern Methodist University di Dallas - e potrebbe esserci stato un assorbimento di elementi organici attraverso i pori della roccia». Tuttavia Mc Kay sostiene che le concentrazioni di idrocarburi policiclici aromatici sono più alte in profondità che all’esterno e questo escluderebbe l’ipotesi della contaminazione. Gregory scuote il capo: «Credo che più semplicemente questi composti siano stati distrutti in superficie dai raggi ultravioletti del sole». Anche William Schopf, paleobiologo dell’ Università di Los Angeles, famoso per aver datato il fossile più antico trovato sulla Terra, si schiera in partibus infidelium.
«Gli idrocarburi policiclici aromatici» spiega «sono stati riscontrati anche in altri meteoriti di provenienza non marziana e sono sempre stati associati a processi inorganici. Inoltre, le impronte fossili poste in evidenza al microscopio sono cento volte più piccole di quelle analoghe riscontrate sulla Terra. Saremmo quindi in presenza di batteri che misurano da 20 a 100 nanometri, dimensione che è probabilmente al di sotto del limite minimo per ospitare il materiale genetico per un sistema vivente.» La plausibilità dei nanobatteri sarebbe dunque da dimostrare quanto quella di marziani adulti, verdi e con le antenne.
Che dire poi della presenza su Marte di cristalli di magnetite (solitamente associata alla attività batterica)? Sulla Terra questi cristalli sono una sorta di bussola che aiuta i batteri a orientarsi, ma sul pianeta rosso il campo magnetico è solo lo 0,2 per cento di quello terrestre.
Più indolenti degli entusiasmi, i dubbi crescono di giorno in giorno. L’annuncio della NASA sembra dunque prematuro, se non addirittura imprudente. Ma poteva il presidente Clinton lasciarsi sfuggire sotto le elezioni un boccone così prelibato, dalle imprevedibili ricadute in campo tecnologico e scientifico? Poteva frenare gli entusiasmi, col rischio che Russia e Giappone, impegnati in studi analoghi, facessero il primo passo? E poteva un giro d’affari di alcuni miliardi di dollari l’anno (a tanto ammonta il budget della NASA per le esplorazioni spaziali) attendere la prova provata?
Non poteva. Le bufale si dimenticano, le grandi scoperte no.
da: Tempo medico 18/09/1996