La terapia dei suoni

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  • 20-11-2013
  • di Fabio Crepaldi
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La sonoterapia nacque circa mezzo secolo fa, a opera dell’inglese Sir Peter Guy Manners. Nato nel 1935, Manners conseguì dapprima un diploma in medicina alternativa (nella fattispecie osteopatia) e successivamente diede inizio a una serie di viaggi, prima in Gran Bretagna e poi in Europa, allo scopo di trovare nuove vie per il trattamento dei pazienti. Durante i suoi viaggi Manners ebbe modo di conoscere da vicino varie discipline alternative, specializzandosi quindi in medicina naturale, magnetoterapia, e ottenendo tra le altre cose il diploma alla Académie Diplomatique de la Paix (una scuola di naturopatia per corrispondenza) e il diploma d’onore in medicina bio-energetica a Mosca per i contributi apportati in questo campo (anch’esso non riconosciuto dalla comunità scientifica). Tale indagine personale approdò infine, grazie all’incontro con il ricercatore svizzero Hans Jenny, a un’area di ricerca ancora relativamente nuova in quegli anni: quella dell’applicazione terapeutica dei suoni.

A partire quindi dagli anni sessanta del secolo scorso, le ricerche di Manners si focalizzarono esclusivamente sull’impiego di frequenze sonore (udibili) nei più svariati trattamenti: il frutto della sua ricerca si concretizzò nella realizzazione di apparecchiature terapeutiche dedicate e nella fondazione di un’apposita clinica a Evesham, nello Worcestershire inglese: la Bretforton Hall Clinic.

Qui il ventaglio di patologie trattate andò velocemente allargandosi, arrivando a includere infiammazioni croniche, calcificazioni ossee, dolori artritici, cure anti-invecchiamento, e anche, secondo l’ingegnere Benedick Howard, infezioni batteriche, virali, del sangue e tumori. Tuttavia i trattamenti effettuati non sarebbero vere e proprie cure, ma piuttosto “aiuti”: in accordo con i principi dell’osteopatia (e invero di molte altre discipline alternative) la sonoterapia stimolerebbe l’intrinseca capacità di auto-guarigione del corpo umano. La novità sta nel fatto che la sollecitazione di tale capacità, talvolta chiamata dagli “specialisti” anche Sistema Energetico, avverrebbe tramite l’irradiazione sonora.

Secondo G.C. Peyton (“dottore” in Bioenergetica e Medicina Cimatica) Manners scoprì più di seicento singole frequenze guaritrici, ognuna caratteristica di una diversa parte del corpo, di un tessuto, di un organo, di una ghiandola, di una particolare patologia o ancora di uno specifico stato emotivo o psichico[1]. Secondo altre fonti, il numero dei programmi inseriti nei macchinari per la sonoterapia sarebbe addirittura superiore a settecento[2] e ogni programma conterrebbe una combinazione di cinque diverse frequenze. Nella gamma dei pattern utilizzabili sarebbero incluse anche frequenze ricavate dai fiori di Bach, frequenze per il “corpo eterico” e frequenze preposte a fantomatiche “attivazioni” e “purificazioni spirituali” del DNA[3]. A ogni modo la metodologia è identica: si tratterebbe di “far sentire” agli organi o alle zone interessate la frequenza caratteristica del loro stato di salute, in modo da permettere la risintonizzazione dell’area disarmonica sulle normali frequenze benefiche.

Come appare chiaro sin da ora la terminologia adottata è costituita da termini presi a prestito da altri ambiti (come spesso accade nelle pseudoscienze), sottintendendone una diversa attribuzione di significato, peraltro mai esplicitata. Per far luce sul meccanismo d’azione della sonoterapia (chiamata anche terapia cimatica, cimaterapia, o biorisonanza) ci vengono in aiuto proprio le parole di Manners:

«Normalmente quando si pensa a un suono si pensa a qualcosa che dobbiamo ascoltare. Nella terapia cimatica non è esattamente così: si tratta letteralmente di trasmutare e trasferire delle precise frequenze sonore nei tessuti e nelle strutture degli esseri umani. Ogni parte e ogni organo del corpo produce un armonico, un suono; questo suono è molto piccolo e minuto[4]».

Quest’ultima frase costituisce la base su cui poggia l’intera architettura teorica della sonoterapia. Tuttavia questo principio cardine, secondo cui ogni parte e ogni organo del corpo produrrebbe un armonico, non è stato formulato dopo un’osservazione diretta sperimentale, ma è, a detta di Manners, patrimonio dell’umanità da molto tempo e consapevolezza di moltissime culture in tutto il globo. Quindi, non solo l’esistenza di tale suono è data per scontata sulla base di un presunto patrimonio cultuale millenario (lungi dall’essere stato dimostrato), ma in più si deduce implicitamente che è sufficiente irradiare le aree malate con la frequenza “intonata” per permettere la riacquisizione del corretto armonico perduto.

La catena logica dei fatti dati implicitamente per veri non finisce qui: i concetti sopra riportati risulterebbero infatti privi di significato senza la convinzione basilare che il suono influenzi la struttura della materia, rendendo quindi possibile una sorta di “manipolazione acustica” su cellule e DNA umani. Non si dimentichi inoltre che:
  • tale suono è leggermente diverso per ogni persona in quanto riflette lo stato personale di salute;
  • l’effetto di una frequenza sonora è circoscritto al distretto corporeo interessato, lasciando indifferenti sia le zone adiacenti sia quelle frapposte tra il sito malato e la superficie.


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Schema del progetto originario dell’Antenna

Come si effettua una diagnosi


Ma anche una volta accettati i presupposti teorici della terapia, come è possibile capire se le frequenze impiegate dal sonoterapeuta sono effettivamente quelle di cui ha bisogno il paziente?

Al giorno d’oggi le tecnologie che si ispirano dichiaratamente al lavoro di Manners sono diverse, e spesso in questi trattamenti si fa uso di strumenti provenienti da altri campi, sia scientifici che non. Per le diagnosi di “frequenze mancanti” uno dei più diffusi è l’Antenna Lecher.

Ernst Lecher fu un fisico austriaco vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, ricordato per avere ideato nel 1888 uno strumento in grado di misurare la lunghezza d’onda e la frequenza delle onde elettromagnetiche. Il dispositivo si basava sulle cosiddette linee di Lecher: una coppia di fili metallici in grado di rilevare uno spettro di radiazioni compreso tra le UHF e le microonde. Tutt’oggi questa tecnica, migliorata, viene utilizzata abitualmente per misurare frequenze HF/VHF e UHF/SHF.

Ebbene, vi sono in commercio alcuni apparecchi che dichiarano di utilizzare le linee di Lecher per «misurare i campi elettromagnetici e termici – quindi le vibrazioni vitali – presenti in ogni forma di vita o in ogni cosa»; rilevazione importantissima poiché «sapere utilizzare correttamente questo strumento e sapere leggere correttamente i risultati ottenuti vuol dire essere sulla giusta strada per la ricerca dell’equilibrio e dell’armonia tra le cose[5]».

L’Antenna viene adoperata principalmente nell’Analisi di Compatibilità delle Materie sull’Organismo e loro Sinergia (in breve ACMOS), il cui scopo è quello di «scoprire e regolare tutti gli elementi perturbatori che mettono in pericolo l’armonia dell’essere umano nella sua alimentazione, nella sua cura medica e nel suo ambiente. Esso permette anche di selezionare i migliori regolatori e di analizzare la compatibilità uomo/prodotti e i prodotti fra di loro[6]». È possibile acquistare lo strumento per poche centinaia di euro in siti specializzati in prodotti “energetici”[7].

Nessun riferimento quindi al vero motivo della sua ideazione e all’uso che se ne fa oggi in campo scientifico. E naturalmente nessun dato che possa confermare il nuovo impiego reclamizzato in questi contesti.

Con tali apparecchi sarebbe possibile, secondo queste fonti, rilevare gli “armonici mancanti” nel corpo del paziente, e dedurre quindi su quali frequenze concentrare il recupero della “lacuna energetica”.

Inutile far notare che la diagnosi dovrebbe essere fatta in stanze ben schermate, al fine di escludere qualsiasi interferenza ambientale e rilevare quindi lo spettro elettromagnetico del malato in maniera distinta. Ma asserire di misurare le radiazioni elettromagnetiche umane significa assumerne implicitamente l’esistenza. Cosa ci dice la scienza riguardo alla presenza di tali onde e il loro eventuale rilevamento?

La biochimica ci insegna che la maggior parte dell’energia che ricaviamo dall’alimentazione viene adoperata per mantenere costante la temperatura corporea. Se infatti non cedessimo continuamente calore all’ambiente non avremmo bisogno di impegnare tante risorse per preservarlo. Tale calore disperso è energia termica, un’effettiva forma di radiazione elettromagnetica prodotta dagli esseri umani (e non solo). Tuttavia questa particolare emissione, sfruttata in svariate tecnologie, si situa nel campo dell’infrarosso: fuori dalla portata dell’Antenna Lecher e quindi trascurabile.

Si potrebbe allora tentare la strada dell’elettrofisiologia. Da circa un secolo e mezzo sappiamo infatti che magnetismo ed elettricità sono due facce dello stesso fenomeno, ora chiamato appunto elettromagnetismo. È possibile che il nostro sistema nervoso, comunicando attraverso segnali elettrochimici, produca un campo elettromagnetico rilevabile?

Teoricamente ovunque sia presente una carica elettrica in movimento vi è un campo magnetico; quindi anche in un corpo umano in attività. Oltretutto, se un campo elettromagnetico umano non esistesse, non si spiegherebbe perché i campi elettromagnetici esterni artificiali hanno un effetto, generalmente negativo, sull’organismo. Tuttavia il campo prodotto dal nostro sistema nervoso è debolissimo ed estremamente variabile, in quanto soggetto, come intuibile, all’attività nervosa presente al momento. Inoltre non è mai stato chiarito su quali basi dovrebbe sussistere un legame tra intensità del campo e stato di salute/malattia. A ogni modo anche se una sua misurazione globale (in ambiente schermato) fosse possibile, risulterebbe del tutto inutile qualora fosse fatta con strumenti tarati su altre emissioni elettromagnetiche, come appunto l’Antenna Lecher.

Invece la misurazione dell’attività elettrica di specifici organi è non solo possibile, ma altresì usata in esami ormai di routine come l’elettroencefalogramma, l’elettrocardiogramma, l’elettromiogramma e il retinogramma, dal cui tracciato il medico può dedurre eventuali malfunzionamenti o anomalie.

Anche per quanto riguarda i campi magnetici valgono grosso modo le stesse considerazioni. Questi campi sono abitualmente presenti nella nostra vita, e alle quotidiane bassissime intensità non hanno alcun effetto su corpo e salute. Per inciso, anche in questo caso è alquanto complicato isolarsi da ogni campo elettromagnetico ambientale dato che anche la Terra ne possiede uno, e le scariche dei fulmini durante i temporali testimoniano un’alta attività elettromagnetica anche nell’atmosfera. Nemmeno i campi magnetici estremamente più potenti usati nella pratica medica (nelle diagnosi tramite risonanza magnetica funzionale, ad esempio) hanno effetti apprezzabili sulla salute umana.

Essendo però parte della cosiddetta “scienza ufficiale”, le scoperte di fisica ed elettrofisiologia potrebbero essere rimaste misconosciute a Manners, la cui formazione ebbe luogo, come si è detto, in altri contesti.

BOX 1. Le frequenze elettromagnetiche


È utile chiarire velocemente cosa significhino alcune sigle.

  • Onde HF: onde ad alta frequenza (dai 3 ai 30 megahertz) utilizzate principalmente dai CB radioamatoriali e per le trasmissioni intercontinentali in codice Morse;
  • Onde VHF: very high frequency (dai 30 ai 300 megahertz), utilizzate per le trasmissioni via radio in FM, per le trasmissioni televisive, e per le comunicazioni di Marina, Aeronautica e Forze dell’Ordine;
  • Onde UHF: ultra high frequency (300-3000 megahertz), adoperate per la trasmissione televisiva, la telefonia cellulare e la tecnologia wireless per le reti WLAN;
  • Onde SHF: super high frequency (3-30 gigahertz), a uso delle reti WLAN, di radar e satelliti;
  • Microonde: generalmente rientrano in questa definizione tutte le radiazioni elettromagnetiche comprese tra 1 e 1000 gigahertz.

Questa breve panoramica è sufficiente per compendere che, data la diffusione di telefoni cellulari, computer portatili, navigatori satellitari e semplici autoradio, accendere un dispositivo in grado di rilevare un così ampio spettro di onde elettromagnetiche produrrà pressoché in ogni momento e luogo una qualche rilevazione, via via più sbilanciata verso una parte o l’altra dello spettro elettromagnetico.

I mezzi strumentali della sonoterapia


Fu presumibilmente merito della personale specializzazione in magnetoterapia di Manners, se molti degli strumenti utilizzati poi dalla sonoterapia (come il recente Cyma 1000) presero a combinare frequenze sonore e campi magnetici. Un caso esemplare di questa sintesi è offerto dal popolare Bicom 2000, uno strumento progettato per trattamenti di biorisonanza (sinonimo di sonoterapia).

Nelle presentazioni reperibili in rete viene descritto come uno strumento d’avanguardia, con una tecnologia che si basa su principi di Fisica Quantistica. Il suo utilizzo, indicato per varie patologie, parrebbe essere particolarmente consigliato per il trattamento di allergie e febbri da fieno, in cui si garantisce uno stupefacente 85% di riuscita[8]. Anche il tabagismo incontrerebbe un fiero avversario in questa tecnologia, uscendone sconfitto in oltre il 70% dei casi. Bicom 2000 può inoltre affrontare «problematiche di tipo allergico, infiammatorio, batterico, micotico, di disintossicazione, di stimolazione energetica e altro ancora, perché, grazie a una tecnologia di avanguardia, a una metodica innovativa, ad applicazioni non invasive e indolori, con la memorizzazione di 300 programmi, può affrontare 400 tipi di patologie diverse[9]».

Per descrivere quale sia il suo meccanismo d’azione, di seguito è stato preso ad esempio un video realizzato da un’azienda inglese che commercializza tale prodotto, in cui se ne illustrano i possibili impieghi e i presupposti teorici alla base del suo funzionamento[10].

L’elenco dei casi in cui è possibile utilizzare il Bicom 2000 è ricco e variegato:
  • malattie acute o croniche come allergie;
  • neurodermatiti;
  • asma;
  • emicrania;
  • ogni tipo di dolore e condizione neurologica;
  • disordini agli organi interni;
  • infiammazioni acute e croniche dell’apparato gastrointestinale;
  • dolori reumatici;
  • ferite, lesioni e traumi dovuti a incidenti o post-interventi clinici;
  • “campi di interferenza dovuti alla vita frenetica”;
  • problemi alle regioni dentali e ortodontiche;
  • fatica cronica;
  • problemi ginecologici e urologici;
  • ortopedia, otorinolaringoiatra, oftalmologia, odontoiatria;
  • veterinaria.

Dopo questa estesa panoramica si entra nelle specifiche del funzionamento di Bicom. Per comprendere pienamente la spiegazione che sta per esserci fornita, il video propone un’apparentemente necessaria digressione sulla natura dell’universo, in cui ci viene insegnato che tutto ciò che vediamo è energia (o che tutto è vibrazione a seconda delle varianti); questo fatto sarebbe stato confermato anche dalla moderna fisica quantistica. Ecco un riassunto di tali premesse “universali”:

«Cos’è la materia in realtà? La materia si origina quando l’energia viene concentrata. In altre parole la materia è energia compressa. Si vede come le particelle materiali sono piene di energia, e le cose solide come gli oggetti, ma anche i corpi delle creature viventi, sono composte di milioni di particelle che in ultima analisi sono energia compressa. La materia è composta di due parti, una corpuscolare e una radiante, cioè energia. La radiazione è preminente rispetto alla parte corpuscolare e ha una certa influenza sulla struttura. Tutta la materia, come per esempio anche un batterio, una tossina o un principio nutritivo ha un suo pattern di frequenze che lo determina. E per quanto riguarda le particelle materiali nel corpo umano, [cioè] le cellule? Queste trasmettono e ricevono onde, con distinti pattern di frequenze. In altre parole si ha una comunicazione».

Sarebbe esattamente questa comunicazione elettromagnetica intercellulare (assimilabile a due interlocutori dotati di walkie-talkie) a garantire il benessere della persona, grazie proprio al continuo scambio di dati informativi sullo stato di salute del corpo.

« [...] a seconda dell’età il corpo umano è composto da un 40-80% di acqua. L’acqua ha la capacità di formare cluster, e di immagazzinare informazioni grazie alle sue peculiari proprietà».

(N.B.: secondo il filmato, il cluster consisterebbe in una struttura formata da molecole d’acqua unite da ponti idrogeno. Gli autori apparentemente ignorano il fatto che tali legami sono numerosissimi nell’acqua liquida, sia a riposo che in movimento, sia distillata che inquinata, e che tali legami si formano e si distruggono con estrema facilità in una frazione di secondo.)

« [...] se per esempio una sostanza nociva penetra nel corpo, si formeranno cluster di acqua attorno a tale sostanza. Questi cluster hanno strutture altamente diversificate, dipendenti dalla sostanza [racchiusa]. I vari pattern di frequenze, che corrispondono alle informazioni emesse dalle sostanze nocive, sono immagazzinati proprio negli stessi cluster; anche quando l’informazione originaria viene a mancare, la struttura del cluster che ne porta lo “stampo”, può continuare a esistere e ad avere il suo effetto disturbante sul corpo. Cosa succede quindi quando queste sostanze nocive emettono pattern di frequenze sulle stesse lunghezze d’onda di quelle cellule? I pattern di frequenze delle sostanze interferiscono nella comunicazione tra le cellule; agiscono come un jammer [i.e. un apparecchio volto al disturbo intenzionale delle trasmissioni via cellulare o GPS]. Il disturbo dello scambio di informazioni può portare a un malfunzionamento cellulare, e se tale malfunzionamento persiste si paleserà in sintomi e cambiamenti fisici».

Trattamento


Il congegno Bicom può determinare, presumibilmente grazie alle frequenze emesse dai cluster (!), qual è l’agente responsabile dei sintomi del paziente: inserendo un campione di una determinata sostanza nel device infatti, si potrebbe misurare come varia il campo elettromagnetico del malato (chiamato anche campo bioenergetico dagli addetti). La rilevazione si effettua poggiando uno specifico terminale, simile a una penna, in precise “zone energetiche” sulla punta delle dita (una tecnica chiamata elettroagopuntura in quanto derivante da principi elaborati in tale disciplina), e determinando, tramite le reazioni bioenergetiche del corpo del paziente, con quali sostanze esso entra in risonanza.

BOX 2. Un lessico “stonato” (parte 1)


È bene soffermarci sulle parole scelte da Manners e impiegate, più in generale, sia nella sonoterapia sia in altre discipline alternative. “Armonico” e il suo contrario “disarmonico” sono due termini largamente utilizzati (e abusati), affiancati spesso da altri vocaboli di matrice acustico/musicale come frequenza, vibrazione, risonanza ecc... In questi ambiti l’utilizzo che viene fatto dell’attributo armonico ne sottende un significato colmo di aspetti positivi, sinonimo di “salutare”, “buono”, “puro”, o anche “naturale”.

Nella veste di sostantivo invece l’Armonico dovrebbe essere il componente fondamentale dell’Armonia, come parrebbe suggerire la comune radice etimologica. Dagli Armonici delle cellule avrebbe quindi luogo l’Armonia del corpo intero, e la mancata sintonia tra le frequenze di base genererebbe una Disarmonia.

In realtà, in acustica, Armonico esiste come attributo (indicante genericamente l’essere “relativo all’Armonia” e privo di ogni connotazione positiva o negativa), ma in quanto sostantivo è un concetto diverso e niente affatto sinonimo di “suono”. Per fugare ogni dubbio è sufficiente far notare che è possibile creare suoni senza armonici, chiamati per l’appunto suoni puri (e con buona pace degli operatori alternativi un suono è tanto più puro quanto è privo di armonici, minando la sensatezza di questo usuale accostamento di termini).

In particolare ogni suono o rumore naturale possiede armonici: questi sono frequenze sonore aggiuntive, più acute di quella di base (chiamati per questo anche ipertoni) e caratterizzati, nei suoni “musicali”, dall’essere sempre multipli interi della fondamentale, via via meno intensi al crescere della loro frequenza.

Ma cosa fanno di particolare questi armonici?

Innanzi tutto sono responsabili della gradevolezza di un suono. Semplificando un po’ possiamo dire che più vi sono armonici periodici (cioè multipli interi della fondamentale) più tenderemo a percepire una nota intonata; più armonici aperiodici avvicineranno invece il suono a un rumore. In secondo luogo definiscono il timbro dei vari strumenti musicali: ciò che distingue il Do centrale di un pianoforte dalla medesima nota emessa da una chitarra, o da una tromba, è proprio la quantità, qualità e intensità relativa degli armonici.

Non è quindi la loro generica presenza o assenza a rendere un suono piacevole o meno ma la percentuale di armonici periodici e aperiodici: lo scoppio di un petardo o il rumore di una scatola di cartone che cade producono rumori di per sé carichi di armonici. Anche il suono degli strumenti ad arco ne è ricco, con l’ausilio della cassa di risonanza (vedi box 3), mentre quello di un flauto dolce, nonostante sia fuori di dubbio che possa produrre musica piacevolissima, possiede meno armonici dei due rumori sopra citati.

Armonia nel suo significato originario indica “collegare”, “connettere”, “essere d’accordo”, mentre il suo contrario disarmonia nel lessico musicale semplicemente non esiste.

L’armonia è quella parte della teoria musicale che si occupa di interpretare le relazioni verticali tra le note (cioè tra quelle note disposte verticalmente nello spartito ed eseguite contemporaneamente), analizzandone tensioni e consonanze nella tonalità. Tuttavia le composizioni che esulano dalla musica tonale come la dodecafonia o la musica modale non possono essere definite “disarmoniche”: sarebbe inappropriato e assai azzardato bollare come “innaturale”, “sgraziato” o “stonato” (tanto per usare alcuni sinonimi di disarmonico) un capolavoro come A Kind of Blue di Miles Davis solo perché composto di brani modali. Provare per credere.

Nell’uso comune sarebbe probabilmente preferibile l’attributo “armonioso” come sinonimo di “aggraziato”, “equilibrato”, per evitare spiacevoli fraintendimenti. In campo medico ad esempio si fa correntemente uso dei termini armonico e disarmonico, per indicare forme di nanismo in cui vi è o meno proporzionalità tra le varie parti del corpo; tuttavia, nonostante questo appellativo, nessuno si aspetterebbe di poggiare lo stetoscopio sul corpo di tali individui e udire un piacevole suono provenire dall’interno!

Eppure questo sembra proprio il tipo di confusione semantica in cui incappano correntemente gli operatori di questi ambiti.
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Dopo la diagnosi inizia la terapia vera e propria. Una mano del paziente, steso sul lettino, viene poggiata su una tavoletta metallica, collegata anch’essa al device principale. Tramite questa il computer raccoglie tutte le frequenze del paziente, malate e sane, elabora i dati e, sempre attraverso la tavoletta, rinvia le frequenze al corpo, invertendo quelle malate (ponendole in contro fase?) e rafforzando quelle sane (amplificandone l’intensità? aumentandone il numero?). Per inciso anche il potenziometro di Bicom lavora nell’intorno del range dell’udibile, spaziando dai 10 ai 150 mila hertz. Il pattern di frequenze tipico del paziente (chiamato alle volte impronta biomagnetica) nel frattempo viene inviato anche a un secondo componente che, attraverso una bobina, lo registra in una sorta di archivio magnetico per eventuali futuri trattamenti. Le frequenze invertite da Bicom distruggono quindi i cluster da cui provengono, ripristinando la comunicazione cellulare e ristabilendo infine la salute del paziente.

Le perplessità che suscita una spiegazione come questa sono moltissime e non vi è il tempo di analizzarle tutte nello specifico; tuttavia anche senza entrare in macchinosi tecnicismi possiamo lecitamente chiederci come faccia Bicom a “sapere” quali frequenze provengano da cellule sane e quali da cluster includenti tossine, dato che l’insieme delle frequenze personali dovrebbe essere diverso per ognuno. Oppure, in accordo con la spiegazione introduttiva di poc’anzi, come si possano riconoscere i cluster che al loro interno racchiudono non una tossina ma un principio nutritivo; o ancora quale utilità vi sia nel distruggere un cluster che ha intrappolato una sostanza nociva, liberandola una seconda volta. Come affrontare poi quella schiera di sostanze che con l’acqua non interagiscono mai? Il riferimento è alla moltitudine di elementi e composti idrofobi/liposolubili presenti nel corpo, la cui modalità di rilevazione (e di eventuale trattamento) rimane oscura.

Nella sua ultima parte il filmato snocciola una serie di testimonianze di terapeuti e pazienti che hanno utilizzato il prodotto e ne propagandano l’efficacia. In conclusione si asserisce che:

«In un settore specializzato, i nuovi sviluppi pionieristici devono prima guadagnarsi l’accettazione. Le storie di successo di terapeuti e pazienti non presentano alcuna base di “prova scientifica” per la medicina del giorno d’oggi. Nella Terapia di Biorisonanza il livello biofisico è integrato in un processo che è stato sufficientemente provato ai nostri giorni attraverso la meccanica quantistica (e.g. Prof. Carlo Rubia (sic!), premio Nobel nel 1984, Centro di Ricerca Atomica del Cern, ricerca sulla relazione tra nucleoni e fotoni; Dr. F.A. Popp, ricerca nella comunicazione cellulare) e ha già portato allo sviluppo di tecniche impensabili in altri campi. Le ipotesi su come la Biorisonanza lavori e la sua descrizione in questo video sono basate su attuali scoperte in biofisica».

Cosa c’entrino le ricerche del professor Rubbia con il campo elettromagnetico dell’acqua non è chiaro, né tantomeno risulta giustificato il suo accostamento con Fritz-Albert Popp, un fisico che negli anni settanta del Novecento postulò la reale esistenza dei biofotoni (particelle di luce nel campo del visibile e dell’ultravioletto, generate dalle cellule degli esseri viventi) e il loro ruolo di vettori informativi.

L’unica cosa certa è che, come dichiarato nelle battute finali, i fondamenti su cui si basa la biorisonanza sono niente più che ipotesi. E a fronte di tale affermazione aggiungiamo che non solo pubblicizzare prodotti e metodi terapeutici non ancora testati è quantomeno incauto, ma è anche un inutile dispendio di energie formulare ipotesi e congetture circa i presunti meccanismi d’azione, quando non vi sono prove nemmeno dell’esistenza stessa del fenomeno.

Altri possibili impieghi fuori e dentro la sonoterapia


Una delle applicazioni più sorprendenti della terapia dei suoni consiste nell’effetto antietà. In un’intervista a Susan Barber, Manners spiega infatti che «Quando nasciamo ogni cellula si moltiplica. Poi, nella pubertà, il pattern di frequenze delle cellule cambia e, invece di moltiplicarsi, le cellule si sostituiscono l’un l’altra. Con l’avanzare dell’età le cellule si rimpiazzano ancora, ma sempre più lentamente[11]». Tuttavia, in accordo con la possibilità di registrare l’impronta biomagnetica di una persona e riutilizzarla in seguito: «Tra pochi anni saremo in grado di prevenire il rimpiazzamento cellulare. E questo sarà fatto completamente con il suono. Se prendiamo la frequenza stampo del vostro DNA a 18 anni e la salviamo, più avanti, se trasmettiamo questa frequenza alle vostre cellule, queste ringiovaniranno». E nella stessa pagina si legge: «Recentemente, in Germania, i ricercatori avevano preso il DNA di un ragazzo di 17 anni, avevano registrato le sue frequenze sonore e le avevano salvate. Il ragazzo fu poi accidentalmente ucciso, ma gli scienziati avevano ancora il suo pattern di frequenze del DNA. Più avanti, le frequenze del DNA del diciassettenne furono trasmesse nel corpo di un uomo quasi quarantenne. E l’uomo quasi divenne il giovane ragazzo. La sua pelle diventò giovanile, dimagrì, i suoi capelli tornarono al loro colore naturale. Oggi ha più di quarant’anni e sembra ancora un uomo molto più giovane». Al di là dell’impossibilità di trovare conferma a tale aneddoto (e risalire all’anno delle dichiarazioni), i dati cronologici forniti dallo stesso Manners non appaiono comunque così straordinari: un quasi quarantenne che entrato poi negli “anta” gode di un aspetto più giovanile non è equivalente ad affermare che «l’uomo quasi divenne il giovane ragazzo».

Il meccanismo enunciato non è dissimile da quello già descritto in precedenza a proposito del Bicom 2000. Secondo Manners la tecnologia sonoterapica permette di «riprodurre artificialmente questi suoni e ritrasmetterli indietro ai tessuti e alle altre strutture» risanando il corpo senza medicine né farmaci, e soprattutto senza effetti collaterali. Facile quindi immaginarne le possibili applicazioni nell’ambito dei trapianti d’organo. A detta dell’osteopata il rigetto sarebbe infatti un’ovvia conseguenza del fatto che l’armonico del corpo del donatore differisce da quello del ricevente: un problema risolvibile riarmonizzando le due frequenze attraverso una breve sonoterapia[12].

A seguito della crescente popolarità della sonoterapia si assistette negli anni a un incremento di impieghi, non privo di inedite contaminazioni con altre discipline alternative. All’uso dei suoni si affiancò ad esempio una loro “conversione” in colori, dando vita a una nuova forma di cromoterapia; o ancora nella sono-puntura (o tono-agopuntura), utilizzandoli al posto degli aghi per la stimolazione dei “centri energetici”. Lo spettro delle patologie affrontate si ampliò, arrivando a includere disturbi dello sviluppo: un esempio fra tutti è la Covenant Health Clinic, in cui la cimaterapeuta Marie Dahle tratta individui affetti da autismo[13].

Dato il ruolo predominante svolto dall’acqua si pensò di utilizzare i suoni direttamente sui fluidi, sia nel campo dell’idroterapia, sia nella preparazione di prodotti omeopatici digitali. Partendo da un contenitore con un preparato omeopatico sarebbe infatti possibile registrarne la “frequenza elettromagnetica” grazie a una specie di bobina attorcigliata attorno allo stesso, e convertire poi tale informazione in un file audio. Dopo aver inviato il file per via telematica, sarebbe possibile trasferire tutte le proprietà terapeutiche della prima soluzione semplicemente ponendo davanti all’altoparlante all’altro capo della trasmissione un secondo contenitore, contenente sola acqua, ed esponendolo alla frequenza audio di partenza[14].

BOX 3. Un lessico “stonato” (parte 2)


Risonanza è un altro termine spesso abusato nei contesti “alternativi”, ma in questo caso la confusione non deriva tanto da un’intesa letterale del termine, quanto piuttosto da un’inappropriata estensione di significato.

Il fenomeno fisico della risonanza si può indicare come la capacità di un sistema oscillante di mettersi in moto senza una sollecitazione diretta da parte di un altro corpo. Tralasciando altri processi fisici (come la risonanza elettromagnetica) e limitandoci al campo dei suoni, si osserva che il fenomeno è noto da secoli ed è facilmente riproducibile. Accostati due diapason della stessa forma, dimensione e materiale, e mettendone in vibrazione uno soltanto, accadrà che anche il secondo inizierà a vibrare e a emettere la stessa nota, pur non essendo a diretto contatto con il primo.

Il primo diapason, percosso, vibra emettendo una nota caratteristica, e trasferisce il movimento vibratorio all’aria circostante. Questa perturbazione meccanica attraversa l’aria e cede al secondo diapason parte della sua energia cinetica, innescando la vibrazione e generando una seconda nota omofona. Vi sono tuttavia alcune condizioni imprescindibili affinché ciò avvenga.
  • Innanzitutto serve un mezzo attraverso cui la perturbazione possa propagarsi: liquidi, solidi o gas sono egualmente funzionali, l’unica clausola è che non vi sia il vuoto fra i corpi.
  • I corpi devono essere in grado di assorbire ed emettere vibrazioni sonore; il metallo è idoneo allo scopo, ma altri materiali che non presentano lo stesso rapporto di resistenza/elasticità (ad esempio la gomma) non produrranno alcunché di udibile.
  • Da ultimo sono fondamentali, oltre al materiale, anche dimensione e forma dei corpi, in quanto parametri che influenzano pesantemente la capacità di generare una risonanza.

Si è già detto che ogni suono naturale possiede armonici (box 2): ebbene, per osservare un fenomeno di risonanza acustica è indispensabile che i due corpi condividano almeno alcuni armonici (periodici), meglio ancora se si tratta dei più bassi (e intensi). In altre parole due diapason accordati su due note che non condividono alcun armonico, come ad esempio il La a 440 hertz e il Si adiacente (494 hertz), non risuoneranno mai. Ovvio quindi che la situazione sopra descritta è ideale dato che i diapason, accordati sulla stessa nota, condividono ogni singolo armonico; più due corpi differiscono per forma, dimensione e materiale, più sarà difficile farli entrare in risonanza. Per inciso non tutti i corpi possiedono una propria frequenza di risonanza: basti ricordare i materiali fonoassorbenti, progettati proprio per attutire le perturbazioni sonore. Per un oggetto così eterogeneo come un corpo umano, risulta perciò estremamente improbabile determinare una frequenza di risonanza, globale o organo/specifica che sia: composizione, densità e proprietà elastiche dei tessuti infatti ne influenzerebbero fortemente velocità e direzione di propagazione, smorzandone ben presto la vibrazione. Di conseguenza appare incomprensibile come si possano utilizzare dei semplici diapason (talvolta posti addirittura al di sopra della persona e non a contatto con la pelle) per innescare il fenomeno.

A dispetto di queste difficoltà insormontabili sono disponibili in rete tavole consultive che indicano non solo le frequenze di risonanza di vari organi umani, ma anche dei diversi chakra, di stati mentali ed emotivi, di svariate patologie fisiologiche, elementi naturali, colori e pianeti del sistema solare, in un’improbabilissima connessione tra fisiologia, cromoterapia, astrologia e medicina alternativa[15]. “Utile” a questo riguardo anche la possibilità offerta dalla pratica del Nada Yoga di trovare la propria tonica personale, permettendo così di concentrare la terapia sullo specifico suono individuale[16]. La risonanza è stata tirata in ballo anche da Emoto per spiegare il presunto effetto delle preghiere sull’acqua, con la differenza che in questo caso non sarebbero i corpi fisici, ma bensì i pensieri e le coscienze delle persone a risonare.
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Varianti recenti


La Diapasonterapia è una disciplina olistica figlia diretta della sonoterapia. In questa pratica si effettuano “attivazioni energetiche” di specifiche parti del corpo tramite l’utilizzo di “diapason terapeutici”. Questi diapason in realtà non differiscono molto da quelli utilizzati normalmente dai musicisti per intonare i propri strumenti: la variabilità si riduce sostanzialmente alle dimensioni, con un conseguente aumento dello spettro di note riproducibili. La designazione “terapeutici” indica semplicemente un loro diverso utilizzo. Nella diapasonterapia sarebbe possibile “intonare” letteralmente organi e tessuti, previo posizionamento di diapason messi in vibrazione sulle aree corporee interessate. Ovviamente gli assunti di base sono comuni alla sonoterapia: ogni zona del corpo ha un proprio suono che ne identifica lo stato di salute; se la “vibrazione basale” delle cellule cambia, si modifica anche tale suono e si instaura uno stato patologico; la nuova “vibrazione disarmonica” può essere invertita imponendo dall’esterno una sorgente sonora (in questo caso diapason musicali) in grado di replicare il corretto “armonico”. Anche per la Terapia Bioarmonica (altro nome della diapasonterapia) è possibile un’integrazione con i principi dell’agopuntura, o una combinazione con tecniche di kinesiologia. Corsi e seminari sono diffusi tutt’ora sul nostro territorio, e anche la strumentazione necessaria è facilmente reperibile in rete: ne sono un esempio i set di diapason e CD musicali dal titolo Human Tuning di John Beaulieu, o i prodotti per “l’intonazione cellulare” di Steven Swartz e della sua azienda Bioharmonic Technologies.

Masaru Emoto è forse il nome più conosciuto per quello che concerne le ricerche “alternative” sull’acqua, e i suoi studi sono spesso citati in ambiti come l’omeopatia, la magnetoterapia e la radiestesia. Giapponese d’origine e spesso presentato come scienziato generico o specificatamente biochimico, non ha in realtà alcuna formazione scientifica, essendosi dapprima laureato in Relazioni Internazionali all’università municipale di Yokohama, e conseguendo poi un titolo di studio alla Open International University of Alternative Medicine indiana.

Nei suoi numerosi saggi (sei libri pubblicati tra il 1999 e il 2007) Emoto analizza il comportamento del liquido sottoponendolo ai più diversi stimoli, e deducendone poi la reazione osservando la forma dei cristalli di ghiaccio prodotti.

Dai suoi scritti si impara che tale sostanza, oltre a formare cristalli tanto più belli quanto più pura è l’acqua di partenza, avrebbe non solo una memoria, ma anche una coscienza e dei gusti estetici sorprendentemente sofisticati! (In realtà i cristalli tendono a formarsi con più facilità attorno a un corpo come ad esempio un nucleo di polvere piuttosto che in sua assenza, e la “bellezza” dei cristalli dipende dalle condizioni ambientali durante la loro formazione, in special modo dalla temperatura. Inutile aggiungere che la scelta di Emoto di utilizzare i diversi gradi di apprezzamento estetico personali come metro di misura scientifico è quantomeno opinabile). Secondo lo studioso i cristalli avrebbero una struttura molto più ordinata, elegante (in una parola armoniosa) dopo l’esposizione a musica classica o new age piuttosto che rock o heavy metal. E questo è solo l’inizio. Anche parole offensive rivolte all’inerme liquido genererebbero cristalli disorganizzati, mentre parole dolci e apprezzamenti darebbero luogo a strutture molto più aggraziate. L’acqua avrebbe poi reagito formando cristalli più o meno belli anche dopo l’applicazione sul contenitore di un’etichetta con stampate frasi gentili o spregiative, dimostrando di saper leggere e intendere il significato delle parole. Anche il senso artistico/estetico non pare essere una prerogativa umana: le stesse reazioni si sarebbero avute anche dopo la visione di un quadro raffigurante un albero rigoglioso (cristalli belli) e il suo corrispettivo autunnale (cristalli brutti). Essendo poi l’esposizione a musica, frasi e immagini limitata alla fase liquida pre-congelamento, l’acqua paleserebbe la capacità di immagazzinare informazioni: un’effettiva memoria.

Negli anni il sedicente ricercatore scoprì che era sufficiente pensare frasi e parole per influenzare il processo di cristallizzazione, senza un’esposizione diretta. A conferma di tale sorprendente capacità Emoto racconta questa incredibile esperienza[17] di influenza collettiva:

«Voglio ricordare l’incantesimo provocato dall’energia della preghiera sulle sponde del lago Biwa, in Giappone. Il 25 luglio 1999, alle ore 4:30 del mattino, 350 persone si sono riunite di fronte al lago inquinato per offrire le proprie preghiere all’acqua. L’intenzione delle persone che pregavano insieme era sintonizzata su pensieri di armonia e gratitudine. Il risultato è stato sbalorditivo! L’acqua prelevata dal lago inquinato prima di essere sottoposta alla vibrazione della preghiera non ha prodotto alcun cristallo, mentre l’acqua prelevata dopo la preghiera è stata in grado di produrre bellissimi cristalli per oltre sei mesi, fino a gennaio del 2000».

Dopo questo successo, Emoto creò un sito apposito[18] per raccogliere preghiere indirizzate all’acqua e nel marzo 2011, a seguito dell’incidente nucleare di Fukushima, diffuse un appello internazionale per risolvere il problema delle radiazioni. Tale invito fu tradotto anche in italiano e consisteva in una preghiera da recitarsi collettivamente il 31 dello stesso mese, a mezzogiorno ora italiana. Di seguito il messaggio:

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«Acqua dell'impianto nucleare di Fukushima, ci dispiace di farti soffrire. Ti preghiamo di perdonarci. Ti ringraziamo e ti amiamo».

Da recitare ad alta voce o nella mente e ripetere tre volte a mani giunte.

La mancata replica generale del mondo accademico è probabilmente dovuta al fatto che «è difficile vedere come qualcuno possa confondere [le teorie di Emoto] per scienza[19]» ma, anche se le obiezioni da parte della comunità scientifica non riscuotono mai lo stesso successo mediatico, è doveroso far notare che per chi cerca un parere razionale gli spunti non mancano[20].

Note

4) Cymatics Soundscapes – Part 2 – The healing nature of sound, 1986, MACROmedia 219 Grant Road Newmarket, NH 03857
5) http://www.antennalecher.com , sito in cui si propongono corsi di radioestesia tramite l’utilizzo dell’Antenna, il grassetto è originale
9) Ibidem.
12) Cymatics Soundscapes – Part 2 – The healing nature of sound, 1986, MACROmedia 219 Grant Road Newmarket, NH 03857
19) Commento della nota scienziata scettica Harriet Hall nell’articolo http://www.redorbit.com/news/science/1144934/masaru_emotos_wonderful_world_of_water/

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