Giacomo Leopardi e Niccolò Copernico: quando scienza e letteratura si abbracciano

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  • 25-11-2018
  • di Valentina Sordoni
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Ritratto di Giacomo Leopardi
Immaginare Giacomo Leopardi chino sui trattati scientifici può sembrare quantomeno singolare. Il poeta di Silvia, di Nerina, di Aspasia, il poeta che plasma poeticamente l’Infinito come nessuno mai, affianca alla compulsione di di-zionari, grammatiche e classici un apprendimento consapevole delle scienze: astronomia, fisica, chimica e storia naturale; uno studio che penetra la sua poetica sostanziandola.

Dagli anni Ottanta del Novecento, sentieri rinnovati della critica leopardiana focalizzano i contributi filosofico-scientifici negli scritti del Recanatese, consentendo approfondimenti prima inconcepibili.

Un iter maturato esponenzialmente nel secondo centenario della nascita del poeta [ 1998], oggi terreno di confronto imprescindibile per i leopardisti.

Il primo incontro tra Giacomo e la scienza è nel segno della cultura gesuitica, pedante ed erudita, che anziché fog-giarne lo spirito cristiano, assillo costante dei genitori, secondo Sebastiano Timpanaro lo avvicina piuttosto alle idee materialiste ostili in famiglia[1].

Un testo come l’Antilucrezio del cardinale Melchior de Polignac, per esempio, filtra la teoria atomistica lucreziana attraverso la sua confutazione, fruita dal poeta adolescente. L’educazione nel «paterno ostello» è perciò un potente canale per la trasmissione di concetti e teorie, al centro di rielaborazioni e ripensamenti futuri.

Il ruolo di Monaldo Leopardi e la predilezione per l’astronomia


Monaldo Leopardi organizza la scuola dei figli affidandola al gesuita Don Sebastiano Sanchini, già precettore del cugino Francesco Cassi, che glielo aveva consigliato.

Gesuitica è l’impostazione del lavoro, sia nella forma sia nei contenuti, trattati nei manuali canonici dell’Ordine.

In conformità alla Ratio Studiorum[2], Monaldo divide il corso di studi in due semestri, conclusi con un pubblico saggio annuale, allestito in un salone del palazzo avito e riservato a rappresentanti scelti della nobiltà e del clero recanatesi.

L’intenzione di allietare lo studio dei ragazzi sposa l’orgoglio del padre, smanioso di esibire le capacità dei figli, di Giacomo in primis.

Il saggio prevede una disputa sui quesiti preparati dal precettore e stampati da Monaldo negli opuscoli distribuiti agli ospiti, che partecipano attenti all’evento. Tra il primo del 1808, e l’ultimo, del 20 luglio 1812, trascorrono quattro anni di costante applicazione dei fratelli su temi umanistici, religiosi e scientifici.

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Il poeta recanatese interpretato da Elio Germano nel film di Mario Martone "Il giovane favoloso"
Pubblicati per la prima volta nel 1889 da Camillo Antona Traversi e ripubblicati da Maria Corti nel 1972 per Bompiani, i testi dei saggi pubblici - uniti al Saggio di chimica e storia naturale del 20 luglio 1812 oggetto di un mio recente studio[3]- offrono un sunto esaustivo dei contenuti studiati dai ragazzi.

Se quello del 1810 mostra un ricco programma di aritmetica e geometria piana - protagonista di una discutibile strumentalizzazione giornalistica[4] ma ancora trascurato dalla critica - il saggio del 1812 inquadra un fitto corpus chimi-co e naturalistico ragguardevole per gli esiti posteriori della ricerca leopardiana.

È il primo contatto tra il giovanissimo poeta e la cultura filosofico - scientifica, testimoniato peraltro dalle Dissertazioni filosofiche scritte tra il 1811 e il 1812 in preparazione degli stessi saggi pubblici, dove la scienza è ben rappre-sentata, con dieci testi su ventitré: Dissertazione sopra il moto, Dissertazione sopra l’attrazione, Dissertazione sopra la gravità, Dissertazione sopra l’urto dei corpi, Dissertazione sopra l’estensione, Dissertazione sopra l’idrodinamica, Dissertazione sopra i fluidi elastici, Dissertazione sopra la luce, Dissertazione sopra l’astronomia, Dissertazione sopra l’elettricismo[5].

Del 1813 è invece la Storia della Astronomia dalle sue origini al MDCCCXI, pubblicata postuma nel 1878 da Giu-seppe Cugnoni, seguita l’anno successivo dalla Dissertazione sopra i primi progressi dell’astronomia, una succinta rielaborazione del primo capitolo dell’altra.

Il trattato, una mole ininterrotta di citazioni, se da una parte attesta l’immediata predilezione del poeta per l’astronomia, «la più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze[6]», dall’altra fissa il primo intenso vis à vis con la scienza che, insieme alla chimica, affonda le radici più profonde nella poetica leopardiana.

La storia delle scoperte astronomiche, ripercorsa dal giovane con l’accento cattolico-illuminista, si trasforma nello strumento per liberare gli uomini dall’errore e condurli alla sapienza, alla civiltà, attraverso la ragione:

Una così utile scienza dopo essere stata per molto tempo soggetta alle tenebre dell’errore ed alle follie degli antichi filosofi, venne finalmente ne’ posteriori secoli illustrata a segno, che meritatamente può dirsi, poche esser quelle scienze, che ad un tal grado di perfezione sieno ancor giunte. L’uomo può certamente vantarsi di aver superati i maggiori ostacoli, che la natura oppor potesse al prepotente suo ingegno, e d’esser quasi giunto all’apice della sapienza[7].

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Raffigurazione del sistema Copernicano ©Wikimedia
Una posizione lontana dalla più matura Storia del genere umano, la prima delle Operette morali, dove la sapienza, portatrice di verità, è responsabile dell’allontanamento dell’uomo dallo stato antico e della sua conseguente infelicità. Inviata da Giove per punire gli uomini, la sapienza perde il carattere edificante delle prove giovanili traducendosi nella spietata artefice delle dolorose sorti umane:

Ma in ultimo quelle stolte e superbe domande commossero talmente l’ira del dio, che egli si risolse, posta da parte ogni pietà, di punire in perpetuo la specie umana, condannandola per tutte le età future a miseria molto più grave che le passate. Per la qual cosa deliberò non solo mandare la Verità fra gli uomini a stare, come essi chiedevano, per alquanto di tempo, ma dandole eterno domicilio tra loro, ed esclusi di quaggiù quei vaghi fantasmi che egli vi aveva collocati, farla perpetua moderatrice e signora della gente umana[8].

La Storia della Astronomia celebra la ragione attraverso una serie consecutiva di medaglioni, esaltati nella «prospettiva espressamente “eroica”» - come la definisce Polizzi[9] - e comprensivi di nomi emblematici nel pensiero leopardiano: Niccolò Copernico, Galileo Galilei e Isaac Newton.

Nella fase giovanile leopardiana Newton è il filtro dello sguardo sul mondo: newtoniano è l’approccio alla natura, investigata con la lente della teologia naturale, che nel creato scorge un perfetto e imperscrutabile disegno divino. Basti considerare le fonti naturalistiche sfruttate in preparazione del Saggio di chimica e storia naturale del 1812, lo Spettacolo della natura di Noël- Antoine Pluche e gli Elementi delle scienze e delle arti letterarie di Benjamin Martin, entrambe di chiara ispirazione newtoniana[10].

Dalle «ipotesi» di Copernico al superamento dell’antropocentrismo


Presentato con la cautela imposta dall’intransigenza religiosa familiare, nella Dissertazione sopra l’astronomia, il sistema copernicano è sì «il più ammissibile fra tutti i sistemi celesti[11]», ma nel limite stringente di un’ipotesi, suggellato dalla prefazione di Andrea Osiander al De rivolutionibus orbium coelestium di Copernico:

Permettiamo dunque anche a queste nuove ipotesi, fra le antiche, il diritto di farsi conoscere, ma non come più verosimili, tanto più che sono ammirevoli e semplici, e recano con sé un grande tesoro di osservazioni dottissime. Né alcuno si aspetti dall’astronomia nulla di certo riguardo le ipotesi, non potendolo essa affatto mostrare, affinché prendendo per vere cose escogitate per un fine diverso, non si allontani da questo studio più ignorante di quando vi si accostò. Salute[12].

Così Copernico si presenta a Leopardi. È il 1812 e queste le parole del ragazzo:

Ecco in accorcio il Sistema Copernicano, a cui se si opponga esser egli contrario alle parole della Sacra Biblia noi risponderemo, che se bene non manchino dottissimi Interpreti, che dimostrar proccurino non esser questo sistema opposto in modo alcuno al reale sentimento delle sacre lettere noi nondimeno non lo ammettiamo, che come una ipotesi più di ogni altra idonea a spiegare i celesti fenomeni, il che dalla S. Romana Chiesa non venne giammai vietato[13].

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Biblioteca Leopardi
Di lì a poco, nella Storia della Astronomia, il coraggioso Copernico che scardina la cosmologia tolemaica si erge a paladino della verità:

Il famoso Copernico fu quello, che pose in chiaro la ipotesi di Pitagora, di Aristarco di Samo e del Cardinale di Cusa, e rese finalmente manifesta la verità. Il sistema di Ptolomeo aveva bene avuti degli inimici. Ma la loro opposizione non avea forse servito che a maggiormente stabilire il suo impero. Essi erano stati de’ sediziosi impotenti, e la vittoria riportata sopra di essi dai Ptolemaici avea sempre più consolidato il trono di Ptolomeo. Questo fu rovesciato da Copernico. Ad onta del suo assoluto dominio continuato per tanti secoli, ad onta della persuasione quasi di tutto il mondo, Copernico si accinse all’impresa, e le difficoltà istesse accrebbero il suo coraggio. Convenia convincere di errore tutti gli uomini, mostrar loro che il credere la terra immobile e mobili gli astri, era un inganno, e persuaderli a negar fede ai loro sensi. Copernico disprezzò tutti questi ostacoli, e ne trionfò[14].

L’astronomo polacco, «quell’ardimentoso Prussiano»[15], ha il merito di aver ridimensionato il ruolo della Terra, ridotta, per analogia cosmologica, a ruotare intorno al Sole come gli altri pianeti e costretta, per analogia filosofica, a perdere la presuntuosa arroganza di dominare l’universo.

Il varco che condanna l’antropocentrismo è ormai aperto, e Leopardi lo attraversa consapevole della potenza di un sistema che nel rovesciamento astronomico trova la cifra, paradossale, di una nuova umanità, modulata e amplificata fino all’esito solenne de La Ginestra:

Una prova in mille di quanto influiscano i sistemi puramente fisici sugl’intellettuali e metafisici, è quello di Copernico che al pensatore rinnuova interamente l’idea della natura e dell’uomo concepita e naturale per l’antico sistema detto tolemaico, rivela una pluralità di mondi, mostra l’uomo un essere non unico, come non è unica la collocazione il moto e il destino della terra, ed apre un immenso campo di riflessioni, sopra l’infinità delle creature che secondo tutte le leggi d’analogia debbono abitare gli altri globi in tutto analoghi al nostro, e quelli anche che saranno benché non ci appariscano intorno agli altri soli cioè le stelle, abbassa l’idea dell’uomo e la sublima […]»[16].

Così annota nello Zibaldone, anticipando, sotto forma di appunti sparsi, il presupposto filosofico alla base de Il Copernico. Dialogo, scritto nel 1827.

La parodia orchestrata è un serrato scambio di battute, che affida alla teatralità dell’operetta un messaggio improcrastinabile, come Leopardi ribadisce al filologo Luigi De Sinner nella lettera del 21 giugno 1832: «Ho bensì due dialoghi da essere aggiunti alle operette, l’uno di Plotino e Porfirio sopra il suicidio, l’altro il Copernico sopra la nullità del genere umano»[17].

L’impatto è straniante per il lettore, alle prese con un gioco di ruoli incalzante che trova sfogo nell’ironia del Sole: «Sole. [...] Perché, sai che è? Io sono stanco di questo continuo andare attorno per far lume a quattro animaluzzi, che vivono in su un pugno di fango, tanto piccino, che io, che ho buona vista, non lo arrivo a vedere: e questa notte ho fermato di non volere altra fatica per questo; e che se gli uomini vogliono veder lume, che tengano i loro fuochi accesi, o provveggano in altro modo»[18].

È una dichiarazione di intenti senza spazio all’immaginazione, se non per Copernico, forzato dal Sole a persuadere la Terra a muoversi, finalmente. Una rivoluzione copernicana congegnata sulla falsariga di una pièce, dove il registro lessicale, basso e familiare, condensa l’asprezza del giudizio sull’umanità, e ne fa da contraltare. Ecco gli uomini immiseriti come «quattro animaluzzi»[19], «poveri animali»[20], «creaturine invisibili»[21]. E la terra, «imperatrice del mondo»[22], ridotta a un «pugno di fango[23]», al «granellino di sabbia»[24].

La Terra e l’uomo, «sua maestà terrestre» e «loro maestà umane», si scontrano con un sistema che, lungi dal rappresentare solo un modello astronomico e un’ipotesi matematica, ha in sé la forza di sradicare certezze teologiche e insieme umane, la forza della precarietà:

Ma voglio dire in sostanza, che il fatto nostro non sarà così semplicemente materiale, come pare a prima vista che debba es-sere; e che gli effetti suoi non apparterranno alla fisica solamente: perché esso sconvolgerà i gradi delle dignità delle cose, e l’ordine degli enti; scambierà i fini delle creature; e per tanto farà un grandissimo rivolgimento anche nella metafisica, anzi in tutto quello che tocca alla parte speculativa del sapere. E ne risulterà che gli uomini, se pur sapranno o vorranno discorrere sanamente, si troveranno essere tutt’altra roba da quello che sono stati fin qui, o che si hanno immaginato di essere[25].

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Copernico conversa con Dio (1872), dipinto di Jan Matejko, conservato presso l'Università Jagellonica di Cracovia
Ormai «poco più che nulla»[26], al «povero genere umano»[27] resta la constatazione della propria miseria su uno sfondo naturalistico che, contrario alle ascendenze teologiche giovanili, già nel Dialogo della Natura e di un Islandese del 1824 aveva sferrato un colpo sinistro alla vanità umana. La natura, un cieco ed eterno ciclo di produzione e distruzione della materia, è del tutto indifferente alle sorti dei mortali:

Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei[28].

Noncuranza che il Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco, dell’anno successivo, radicalizza in un materialismo siderale, un «continuo perire degl’ individui ed un continuo trasformarsi delle cose da una in altra»[29] «per li continui rivolgimenti della materia»[30], che non risparmia la terra:

Venuti meno i pianeti, la terra, il sole e le stelle, ma non la materia loro, si formeranno di questa nuove creature, distinte in nuovi generi e nuove specie, e nasceranno per le forze eterne della materia nuovi ordini delle cose ed un nuovo mondo. Ma le qualità di questo e di quelli, siccome eziandio degl’innumerabili che già furono e degli altri infiniti che poi saranno, non possiamo noi né pur solamente congetturare[31].

Attraversato il terreno impervio del materialismo, che si afferma dal Dialogo della Natura e di un Islandese per rafforzarsi nel Frammento - e si interseca con la virata anti-antropocentrica già forte nelle prime operette come il Dialogo d’Ercole e di Atlante, il Dialogo di un folletto e di uno gnomo e il Dialogo della terra e della luna - il Copernico ribadisce una verità scomoda per l’uomo, invitato d’eccezione alla rappresentazione scenica della propria insignificanza cosmica, che schiaccia ogni presunzione nella comicità.

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“Ritratto di Giacomo Leopardi”, di Domenico Morelli, 1845
Perché, come scrive Henri Bergson, «non vi è comicità al di fuori di ciò che è propriamente umano»[32]. Ridere, da uomini degli uomini, accettare la contingenza di un’esistenza privata della consolazione divina, labile e nulla rispetto alla compagine dell’universo, è forse l’atteggiamento più maturo, oggi, per ri-definire l’uomo su valori solidali, affidati dal poeta alla lirica immortale de La ginestra, o il fiore del deserto:

Nobil natura è quella
che a sollevar s’ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra se nel soffrir, né gli odii e l’ire
fraterne, ancor più gravi
d’ogni altro danno accresce
alle miserie sue, l’uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de’ mortali
madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l’umana compagnia,
tutti fra se confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune[33].

Valori di socialità autentica che guiderebbero alla cura insieme dell’ambiente e dell’umanità intera, con una mano tesa alla scienza, l’altra alla letteratura, per camminare insieme, all’insegna del dialogo.

Riferimenti bibliografici

  • Armonicamente. Arte e scienza a confronto, a cura di Pietro Greco, Milano- Udine, Mimesis Edizioni, 2013.
  • Arpino Giovanni, Le mille e una Italia, Milano, Longanesi, 1970.
  • Bergson Henri, Il riso. Saggio sul significato del comico, Milano, Feltrinelli, 2017.
  • Campo Cristina, Gli imperdonabili, Milano, Adelphi Edizioni, 2008.
  • Ciardi Marco- Sordoni Valentina, Un testo dimenticato: Giacomo Leopardi e il «Saggio di chimica e storia naturale» del 1812, «In-tersezioni», Bologna, Il Mulino, anno xxviii, 2008, pp. 53- 61.
  • Copernico Niccolò, La rivoluzione delle sfere celesti, in Opere, a cura di Francesco Barone, Torino, Unione Tipografico- Editrice Torinese, 1979.
  • Leopardi Giacomo, Dissertazioni filosofiche, a cura di Tatiana Crivelli, Padova, Editrice Antenore, 1995.
  • Id., Epistolario, a cura di Franco Brioschi e Patrizia Landi, 2 voll., Torino, Bollati Boringhieri, 1998.
  • Id., Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, Roma, Newton&Compton, 2001.
  • Odifreddi Piergiorgio, Leopardi bocciato all’esame di matematica, «La Repubblica», 5 luglio 2017, pp. 34- 35.
  • Polizzi Gaspare, Leopardi e le «ragioni della verità». Scienze e filosofia della natura negli scritti leopardiani. Prefazione di Remo Bodei, Roma, Carocci editore, 2003.
  • Sordoni Valentina, «L’ottimo Torres fu l’assassino degli studî miei». Monaldo, la Ratio Studiorum e l’Autobiografia, in Il magnanimo vecchio e il giovane favoloso. Monaldo e Giacomo Leopardi nelle terre estensi. Conferenze tenute a Modena dal 25 novembre 2016 al 26 febbraio 2017, a cura di Diletta Biagini, Modena, Edizioni Terra e Identità, 2016, pp. 81-93.
  • Id., Il giovane Leopardi, la chimica e la storia naturale. Prefazione di Andrea Battistini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018.
  • Timpanaro Sebastiano, Classicismo e Illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri- Lischi, 1965.


Per saperne di più su Leopardi e la Scienza:

  • Accademia Montaltina degli Inculti, Leopardi e l’astronomia. Atti del Convegno Nazionale di Studi a cura di Luciano Romeo, Gianfran-co Abate, F. Walter Lupi, Cosenza, editoriale progetto 2000, 2000.
  • Campana Andrea, Leopardi e le metafore scientifiche, Bologna, Bononia University Press, 2008.
  • Di Meo Antonio, Leopardi copernicano, Cagliari, Demos, 1998.
  • Frattini Alberto, Letteratura e scienza in Leopardi e altri studi leopardiani, Milano, Marzorati Editore, 1978.
  • Giacomo Leopardi e il pensiero scientifico, a cura di Giorgio Stabile, Roma, Fahrenheit 451, 2001.
  • Negri Antimo, Leopardi e la scienza moderna. “Sott’altra luce che l’usata errando”, Milano, Spirali, 1998.
  • Pelosi Pietro, Leopardi fisico e metafisico, Napoli, Federico &Ardia, 199136.
  • Polizzi Gaspare, «... Per le forze eterne della materia». Natura e scienza in Giacomo Leopardi, Milano, FrancoAngeli, 2008.
  • Id., Io sono quella che tu fuggi. Leopardi e la Natura, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2015.


Note

1) S. Timpanaro, Classicismo e Illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri- Lischi, 1965, p. 145 nota 29.
2) Cfr. V. Sordoni, «L’ottimo Torres fu l’assassino degli studî miei». Monaldo, la Ratio Studiorum e l’Autobiografia, in Il magnanimo vecchio e il giovane favoloso. Monaldo e Giacomo Leopardi nelle terre estensi. Conferenze tenute a Modena dal 25 novembre 2016 al 26 febbraio 2017, a cura di Diletta Biagini, Modena, Edizioni Terra e Identità, 2016, pp. 81-93.
3) Id., Il giovane Leopardi, la chimica e la storia naturale. Prefazione di Andrea Battistini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018. Cfr. anche M. Ciardi- V. Sordoni, Un testo dimenticato: Giacomo Leopardi e il «Saggio di chimica e storia naturale» del 1812, «Inter-sezioni», Bologna, Il Mulino, anno XXVIII, n. 1, 2008, pp. 53- 61.
4) P. Odifreddi, Leopardi bocciato all’esame di matematica, «La Repubblica», 5 luglio 2017, pp. 34- 35.
5) G. Leopardi, Dissertazioni filosofiche, a cura di Tatiana Crivelli, Padova, Editrice Antenore, 1995, d’ora in poi indicato con DF.
6) Id., Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXI, in Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, Roma, Newton&Compton, 20012, p. 748. D’ora in poi indicato con TPTP.
7) Storia della Astronomia dalla sua origine al MDCCCXI, in Tutte le poesie e tutte le prose, Roma, Newton&Compton, 2001, p. 748. D'ora in poi TPTP.
8) Storia del genere umano, in TPTP, p. 497.
9) G. Polizzi, Leopardi e le «ragioni della verità». Scienze e filosofia della natura negli scritti leopardiani. Prefazione di Remo Bodei, Roma, Carocci editore, 2003, p. 18.
10) Sordoni (2018).
11) G. Leopardi, Dissertazione sopra l’astronomia, in DF, p. 214.
12) N. Copernico, La rivoluzione delle sfere celesti, in Opere, a cura di Francesco Barone, Torino, Unione Tipografico - Editrice Torinese, 1979, pp. 166- 167.
13) G. Leopardi, Dissertazione sopra l’astronomia, in DF, p. 216.
14) Id., Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXI, in TPTP, p. 805.
15) Ibidem.
16) Id., Zibaldone [84]. Si indica la numerazione del manoscritto seguita, quando presente, dalla data di composizione.
17) Id., Epistolario, a cura di Franco Brioschi e Patrizia Landi, 2 voll., Torino, Bollati Boringhieri, 1998, lettera n. 1763, «A Louis de Sin-ner», Firenze 21 giugno 1832, vol. II, p. 1929.
18) Id., Il Copernico. Dialogo, in TPTP, p. 586.
19) Ibidem.
20) Ibidem.
21) Ibidem, p. 587.
22) Ibidem, p. 589.
23) Ibidem, p. 586.
24) Ibidem, p. 587.
25) Ibidem, p. 590.
26) Ibidem.
27) Ibidem.
28) G. Leopardi, Dialogo della Natura e di un Islandese, in TPTP, p. 535.
29) Id., Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco, in TPTP, p. 579.
30) Ibidem.
31) Ibidem, p. 580.
32) H. Bergson, Il riso. Saggio sul significato del comico, Milano, Feltrinelli, 2017, p. 14.
33) G. Leopardi, La ginestra, o il fiore del deserto, in TPTP, p. 203.
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