La morte di Napoleone

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La maschera funebre di Napoleone modellata a partire dal calco realizzato da Francesco Antommarchi © Sailko/Wikimedia/CC BY 3.0
«Muoio prima del mio tempo, ucciso dall’oligarchia britannica e dal suo mercenario assassino». Costretto nel letto di Sant’Elena che due mesi dopo l’avrebbe visto morire, Napoleone Bonaparte dettava le sue ultime volontà e lanciava la più pesante accusa verso i suoi carcerieri, quella di omicidio.

Inarrestabile conquistatore e stratega ineguagliabile, dopo vent’anni di campagne in tutta Europa, Napoleone era stato alla fine sconfitto a Waterloo dal duca di Wellington e fatto prigioniero. Esiliato all’isola d’Elba, era riuscito a fuggire, riconquistando il potere e seminando il terrore, ma stavolta l’Inghilterra non intendeva correre rischi. Il 16 ottobre 1815 l’ex imperatore fu sbarcato sulla piccola isola di Sant’Elena, un puntolino nell’oceano Atlantico, distante quasi 3000 chilometri dalle coste del Sudafrica. A fargli compagnia i fedeli servitori, tre ex ufficiali del suo esercito che avevano volontariamente deciso di seguirlo in esilio, e una guarnigione britannica di 3000 uomini.

Nel 1821 Napoleone si ammalò. I dolori allo stomaco di cui soffriva da tempo si erano acuiti nel clima rigido dell’isola e con il duro regime imposto dagli inglesi. Il 5 maggio morì e il giorno dopo fu effettuata l’autopsia. I medici, tra cui il còrso Francesco Antommarchi, riscontrarono una grossa ulcera benigna nello stomaco e una dilatazione del fegato; nessuna delle due poteva essere stata la causa della morte, anche se l’ulcera indusse i medici a pensare che fosse morto di cancro, lo stesso male che aveva ucciso suo padre.

L’arsenico nei capelli


Eppure, l’idea che le ultime parole di Napoleone suggerissero un omicidio non tardò a farsi strada. Inizialmente erano solo voci, ma divennero qualcosa di più nel 1955, quando il dentista svedese Sten Forshufvud, esperto di veleni, lesse le memorie di Louis Marchand, il leale cameriere di Napoleone. Nel resoconto degli ultimi giorni, Marchand raccontava che l’imperatore alternava momenti di torpore e di insonnia, aveva i piedi gonfi e si sentiva debole. Secondo Forshufvud, quella sequenza di sintomi, a cui si aggiungeva il fegato ingrossato, era tipica del lento avvelenamento da arsenico. Se il sospetto non era sorto durante l’autopsia poteva dipendere dal fatto che il veleno era stato somministrato in piccole dosi per un lungo periodo di tempo, e l’ingestione di tartaro emetico e calomelano negli ultimi giorni, documentata da Marchand, poteva avere reso impossibile individuare il veleno nello stomaco.

Tuttavia, l’arsenico ha una caratteristica peculiare: è indistruttibile. Sarebbe bastato esaminare i resti dell’imperatore per trovarne le tracce, ma nel 1840 le sue spoglie erano state traslate in un mausoleo all’Hotel des Invalides, a Parigi. Impossibile accedervi.

Un aiuto giunse ancora da Marchand che, alla morte del padrone, gli aveva tagliato i capelli per regalarne poi delle ciocche ai familiari e ai vecchi amici. Nel 1961, uno di quei capelli fu esaminato da Hamilton Smith, un medico legale scozzese, che vi trovò 10,38 microgrammi di arsenico per grammo, vale a dire circa 13 volte la quantità normale. I risultati, pubblicati su Nature, sorpresero il mondo.
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La tomba di Napoleone a Les Invalides © PhotoPEC/iStock


L’ipotesi dell’incidente


Vent’anni dopo, il chimico David Jones, pur continuando a parlare di avvelenamento, avanzò sempre su Nature l’ipotesi dell’incidente: «Nel corso del XIX secolo, molte persone furono accidentalmente avvelenate dai vapori arsenicali presenti nelle tappezzerie». E se a Napoleone fosse successo lo stesso? Jones ritrovò un campione originale della carta da parati della residenza di Napoleone a Sant'Elena, che era del tipico verde smeraldo prodotto all’epoca con un pigmento di arsenico-rame, e osservò che misure di fluorescenza a raggi X condotte sulla carta rivelavano una presenza di arsenico sufficiente a causare la malattia, anche se non la morte.

Ma Pascal Kintz, tossicologo dell'Istituto di medicina legale di Strasburgo, non era d’accordo e nel 2001 pubblicò uno studio secondo cui il livello di arsenico nei capelli di Napoleone era da 7 a 38 volte superiore al normale: troppo per una semplice esposizione a una carta da parati tossica. «Se davvero Napoleone fu vittima dell’arsenico, sarebbe dovuto morire molto prima» è invece il parere di Ivan Ricordel, direttore dei laboratori forensi della polizia di Parigi. Esaminando campioni di capelli dell’imperatore prelevati nel 1805, 1814 e 1821, scoprì in tutti una concentrazione di veleno superiore al normale. Del resto, l’arsenico all'epoca era onnipresente, si usava come topicida, insetticida, conservante e colorante. Era prescritto come tonico e si trovava nelle polveri da trucco delle signore e nelle lozioni per capelli: come quella usata da Napoleone.

La parola fine?


Sebbene la questione sia tuttora dibattuta tra gli studiosi napoleonici, due studi recenti sembrano smontare definitivamente la tesi dell’avvelenamento. Il primo, del 2007, conferma la tesi del cancro allo stomaco ed è firmato da un gruppo di ricercatori che hanno esaminato i rapporti dell’autopsia e i resoconti relativi allo stato di salute di Napoleone nei suoi ultimi mesi di vita, confrontandoli con le conoscenze attuali sui tumori gastrici. Nel corso dell’autopsia di Napoleone, infatti, Antommarchi aveva trovato una lesione allo stomaco di 10 centimetri, incompatibile per dimensioni con un’ulcera. Non solo; altri “reperti” indicano che Napoleone aveva perso 10 chili, altro indizio di cancro. Tutto questo, spiega Robert Genta dell’Università del Texas, succede quando un’ulcera del tipo provocato da Helicobacter pylori – l’unico batterio correlato al tumore negli esseri umani poiché è capace di sopravvivere all’ambiente acido dello stomaco – degenera in cancro.

E l’innegabile presenza di arsenico? È stato un gruppo di ricercatori delle sezioni di Milano-Bicocca e Pavia dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) a fornire, nel 2008, una spiegazione che sembra definitiva. Dopo avere sottoposto a un flusso di neutroni 12 capelli di Napoleone, tagliati a età diverse, da quando era ragazzo in poi, insieme ad altri capelli del figlio e della prima moglie, Giuseppina, l’equipe guidata dal fisico Ettore Fiorini è giunta a una conclusione sorprendente.

È vero che nel corpo dell’imperatore si rileva una presenza di arsenico che oggi riterremmo tossica, addirittura superiore di circa 100 volte a quella attuale, ma è analoga a quella riscontrata sui congiunti e sui capelli di altri soggetti vissuti 200 anni fa analizzati per lo studio. Ne consegue che la gente del tempo, essendo più esposta all’arsenico, era anche più resistente e, dunque, la quantità di veleno nei capelli di Napoleone non poteva essere letale.

Quanto alle parole dell’ex imperatore, si riferivano più probabilmente al durissimo trattamento impostogli dagli inglesi. Tant’è vero che nello stesso documento citato all’inizio si legge anche questa precisazione: «La mia morte è la conseguenza di offese degne della mano che me le causava. Come mi avete trattato su questo scoglio! Non vi è indegnità, non vi è orrore di cui non vi siate fatto una gioia di abbeverarmi. Con freddo calcolo mi avete lentamente assassinato. Lascio l'obbrobrio e la vergogna della mia morte alla famiglia regnante d’Inghilterra».
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