Diffidare delle intuizioni

Acquisire una mentalità scientifica richiede tempo e non ammette scorciatoie

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Piena del Pellice. ©Alessandro Turin Wikipedia
Tra il 2 e il 3 ottobre 2020 una serie di alluvioni ha provocato frane, smottamenti e il crollo di numerosi ponti in varie province del Piemonte. Il 3 ottobre un post Facebook del presidente del Piemonte Alberto Cirio che forniva aggiornamenti sulla vicenda è stato inondato da commenti di protesta sulla mancata pulizia dei fiumi[1]. Ne riporto solo tre, rappresentativi di molti altri dello stesso tenore:
  • I nostri nonni non avevano lauree da ingegneri geometri ecc eppure dragavano i fiumi e ste cose non succedevano almeno non dopo 1 solo giorno di pioggia
  • Se venissero ripristinati i letti dei fiumi pulendo e dragando la ghiaia ormai in esubero come han sempre fatto i nostri nonni questi problemi non ci sarebbero....è ora di far qualcosa perché anche noi agricoltori siamo stufi di vedere raccolti e terreni spazzati via dalle piene solo per negligenza......le golene di ritegno sono un'enorme fallimento....l unica soluzione è la pulizia !!! E costerebbe molto meno alla collettività dragare i fiumi che rovinare terreni agricoli per inutili golene...
  • Pulire i fiumi dalle piante e dagli isolotti che si formano. Così facendo il letto del fiume viene abbassato, come si faceva una volta, si dragava il fiume e si estraeva la ghiaia.

Questo tipo di ragionamento può sembrare convincente a prima vista: se sturare i tubi del bagno aiuta a scaricare l’acqua e a evitare che il lavandino si intasi, allo stesso modo aumentare la sezione di passaggio di un fiume – verrebbe da pensare – dovrebbe favorire lo smaltimento delle piene e prevenire le alluvioni.

In realtà questa analogia non regge, perché in natura ci sono altre variabili che complicano le cose. Normalmente, i fiumi tendono a raggiungere un profilo di equilibrio tra i processi di erosione e di sedimentazione, e la rimozione di ghiaia e sedimenti può alterare questo sano equilibrio. Così, di tutta risposta, i fiumi tendono nuovamente a ripristinarlo, ma per farlo asportano del nuovo materiale a monte e aumentano l’erosione a valle. I risultati sono la possibile perdita di materiale alla base dei piloni dei ponti, e quindi un aumentato rischio di cedimento delle infrastrutture, e un guadagno in velocità per l’acqua, con il conseguente aumento della pericolosità delle eventuali inondazioni.

Inoltre, non è vero che prima dell’epoca contemporanea i fiumi venivano dragati di più. Al contrario, come spiega il professor Stefano Fenoglio, professore di Ecologia fluviale all’Università del Piemonte Orientale, «l’eccessiva escavazione di sedimenti dall’alveo che si è verificata dal dopoguerra all’inizio degli anni Ottanta dello scorso secolo ha scatenato un impressionante fenomeno di erosione regressiva, con la conseguente massiccia incisione degli alvei»[2]. Insomma, al contrario di quanto si sente spesso dire, il letto dei nostri fiumi negli ultimi decenni non si è alzato, ma si è piuttosto abbassato, e questo stesso fenomeno, insieme ad altri fattori, contribuisce ad aggravare gli effetti delle alluvioni[3].

Il dragaggio dei fiumi può essere un intervento utile in alcuni casi specifici, se preceduto da uno studio accurato della fluidodinamica delle piene all’interno del sistema fluviale, ma non è una soluzione a tutti i problemi; anzi, se praticato in maniera indiscriminata, può essere controproducente. Gli esperti suggeriscono invece una politica più ampia di gestione del rischio alluvionale, che prenda in considerazione una varietà di interventi[4].

Raramente però è possibile far cambiare idea a chi è convinto che dragare i fiumi sia la chiave di volta per prevenire le alluvioni, e gli scienziati che cercano di farlo possono essere accusati di essere succubi degli ambientalisti. Lo scontro tra esperti di geologia, ambiente e gestione del rischio da una parte, e opinione pubblica e politici in cerca di consensi dall’altra, si ripete regolarmente a ogni alluvione, e non solo in Italia[5].

La controversia sulla prevenzione delle alluvioni mi sembra rappresentativa dei molti casi in cui le teorie scientifiche incontrano resistenza perché appaiono in contraddizione con le osservazioni individuali e il semplice buon senso.
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Il torrente Pellice e il guado di Zucchea nel Pinerolese. ©Alessandro Turin Wikipedia

Qualcosa di simile avviene per esempio con il cambiamento climatico: l’esperienza personale di un inverno particolarmente rigido può risultare molto più convincente dei dati astratti e intangibili raccolti dai satelliti o da centinaia di stazioni di rilevamento in località remote che indicano invece un riscaldamento. Allo stesso modo, la conclusione della genetica delle popolazioni secondo cui le razze umane non esistono sembra fare a pugni con l’esperienza personale delle evidenti differenze somatiche tra popolazioni diverse. Molte persone continueranno a preferire le certezze provenienti dall’osservazione personale sull’aspetto esteriore degli esseri umani rispetto ai dati provenienti dallo studio del genoma, per quanto questi ultimi siano incomparabilmente più completi e oggettivi. E anche in questi casi, come per il dragaggio dei fiumi, gli scienziati che negano la spiegazione intuitiva rischieranno l’accusa di essere vittime del politically correct e di fare una scelta ideologica e contraria all’evidenza.

Imparare a non fidarsi delle proprie sensazioni e ad accettare il responso dei dati, anche se controintuitivo, è un processo complicato e doloroso, che richiede molti anni di studio e di esercizio[6], e che a volte gli scienziati stessi smettono di seguire quando escono dal proprio campo e si avventurano in discipline di cui non sono specialisti: ci sono esempi a bizzeffe di scienziati, premi Nobel compresi, che prendono cantonate quando parlano di argomenti che non conoscono. Non è un atteggiamento che si può imparare estemporaneamente da una discussione su Facebook.

L’idea che sia sufficiente trasmettere al pubblico le conoscenze scientifiche per demolire le convinzioni errate è un’illusione. Questa convinzione appartiene a un modello teorico che era molto diffuso in passato ma ha dimostrato gravi lacune, nonostante continui a essere usato nella divulgazione scientifica, soprattutto da parte di chi non ha competenze specifiche di comunicazione. I modelli alternativi emersi nella comunicazione della scienza sono molti e la ricerca su quali di essi siano più efficaci a seconda dei contesti e su come sia più opportuno combinarli fra loro è tuttora in corso[7]. Di conseguenza non ci sono ancora conclusioni definitive, ma appare sempre più probabile che chi intende promuovere la mentalità scientifica debba rinunciare alla pretesa un po’ paternalistica di ergersi in cattedra a dispensare la verità, e accettare il ruolo, al contempo più modesto e ben più utile, di promuovere un dialogo paritario tra tutti gli attori sociali.

Senza entrare qui nella discussione dei diversi modelli di comunicazione della scienza, si possono comunque identificare alcuni principi generali che contribuiscono a una discussione sana e costruttiva:
  • riconoscere e recepire le istanze avanzate dai destinatari della comunicazione e ricercare un rapporto di fiducia e di ascolto reciproco;
  • accettare che la promozione della mentalità scientifica può dare risultati significativi soltanto in un orizzonte di lungo periodo e che non esistono le scorciatoie;
  • concentrarsi sullo spiegare i processi che la scienza segue per accertare le conoscenze, anziché sulle conclusioni della singola ricerca scientifica, che sono per loro natura provvisorie e non hanno un valore didattico significativo;
  • rifiutare la tendenza semplificatoria a dividere la società in rigidi schieramenti pro-scienza e anti-scienza, che non rende giustizia alla varietà delle connotazioni psicologiche, sociali ed economiche che influenzano la risposta dei diversi gruppi sociali alle scoperte scientifiche, e affrontare le singole controversie in maniera indipendente l’una dall’altra, sempre con l’obiettivo di arrivare a una lettura condivisa dei fatti scientifici.


Note

1) Il post e i commenti si possono consultare al link https://bit.ly/34piLoS
2) Intervista tratta dall’articolo “Serve dragare i fiumi per prevenire alluvioni? Gli esperti: «Così si accresce il pericolo idraulico»”, in TargatoCN, 13 novembre 2018, disponibile online qui: https://bit.ly/2TodPdS
3) L’argomento, insieme ad altre leggende relative ai fiumi e alle alluvioni, è stato affrontato in un recente articolo di Simona Re su Query Online, che si può consultare al link: https://bit.ly/3jrYVxy
4) Una rassegna delle strategie di contenimento del rischio alluvionale è fornita nel libro Flood Risk Management: A Strategic Approach (2013). Asian Development Bank, GIWP, UNESCO and WWF-UK. http://hdl.handle.net/11540/81
5) A puro titolo di esempio si rimanda all’articolo di George Monbiot “Dredging rivers won't stop floods. It will make them worse”, in The Guardian, 30 gennaio 2014, disponibile online qui: https://bit.ly/2HlKcaL
6) La didattica del cambio concettuale associato all’adozione della mentalità scientifica è discussa nell’articolo: Vosniadou, S., Conceptual Change and Education (2007). Human Development 50, 47-54.
7) Per un’analisi delle relazioni tra i diversi modelli di comunicazione della scienza vedere Trench B. (2008). Towards an Analytical Framework of Science Communication Models. In: Cheng D., Claessens M., Gascoigne T., Metcalfe J., Schiele B., Shi S. (eds), Communicating Science in Social Contexts. Springer, Dordrecht.
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