Contro la falsificazione della storia

“Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti” è una collana edita da Laterza che si propone di riportare i fatti e la loro puntuale verifica al centro della ricerca in ambito storico, in particolare per quel che riguarda la storia recente, sempre più spesso oggetto di strumentalizzazioni e fake news. Ne abbiamo parlato con il suo curatore, Carlo Greppi

Come è nata l’idea della collana e come vengono scelti i temi?

Negli ultimi sei anni il mio rapporto con Editori Laterza ha assunto sempre più la conformazione – e le dimensioni! – di un cantiere. Un lavoro che potenzialmente è molto individuale è diventato via via un dialogo, sempre più allargato. Nel 2019 con l’editor Giovanni Carletti e con Giuseppe Laterza siamo approdati in maniera del tutto naturale a questa idea in una congiuntura felice che ci ha portati a riflettere sulla necessità di una risposta diretta e immediata al frastuono contemporaneo intorno alla storia: c’è bisogno di ripartire dai fondamentali, per provare a ribattere colpo su colpo alle narrazioni tossiche, e di farlo collettivamente. Per questo i temi vengono fuori da un serrato confronto tra me e l’editore, e non di rado da felici convergenze con proposte che arrivano dall’esterno da parte di colleghi e colleghe che guardano con curiosità ed entusiasmo all’operazione.

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Qual è la vostra metodologia?

Il lavoro procede spesso, per così dire, al contrario, stabilendo quali sono queste narrazioni tossiche, e in particolare le falsificazioni, le mistificazioni e le banalizzazioni dei risultati della ricerca storica, per poi riportare il discorso allo stato dell’arte della storiografia, alle sue acquisizioni consolidate e al ventaglio di interpretazioni possibili. In alcuni casi è assai semplice focalizzare il refrain da cui partire per poi scomporlo in capitoli che ne ripercorrano i sottotemi salienti e/o lo frammentino in un andamento diverso, ad esempio cronologico. Per fare due esempi, Chiara Colombini nel suo Anche i partigiani però…, che individua tutte le incrostature delle polemiche antiresistenziali, ha dimostrato di saper riportare a un vasto pubblico l’immensa mole di studi sulla Resistenza italiana, così come Tommaso Speccher ne La Germania sì che ha fatto i conti con il nazismo scandaglia con grande efficacia, seguendo la storia della Germania postbellica e l’avvicendarsi delle generazioni, il dibattito pubblico e storiografico tedesco intorno al tema della faticosissima, lenta e ambigua denazificazione dello Stato, della società e della mentalità tedesca del secondo dopoguerra. Al di là dell’impostazione scelta da chi li firma, tutti i volumi della serie sono saldamente ancorati alla letteratura storiografica, e se alcuni sono più circoscritti a un tema specifico – per esempio il mio L’antifascismo non serve più a niente – altri hanno obiettivi più ambiziosi come Prima gli italiani! (sì, ma quali?) di Francesco Filippi, che disarciona il falso mito delle nazioni come qualcosa che “esiste” in natura, ragionando intorno alle “comunità immaginate” e alle “tradizioni inventate” come da almeno quarant’anni ci hanno insegnato a fare la storia, la sociologia e l’antropologia.

Il debunking presuppone un falso e un vero, ma cos’è la verità nella storia?

Esistono naturalmente fatti, eventi e processi, e questi sono documentabili: penso alla “guerra delle cifre” sulle vittime delle foibe, che ha portato persino a centuplicare (sic!) le stime largamente condivise dalla comunità degli storici, oppure all’eccezione elevata a norma che contraddistingue spesso le polemiche antiresistenziali succitate: alcuni specifici episodi di sangue o di conflitti violenti interni al partigianato – poche decine – vengono innalzati ad archetipi di una presunta ferocia indiscriminata quando si tratta, appunto, di casi liminari ed eccezionali. Ed esistono naturalmente gli studi che di questi fatti, eventi e processi ci permettono di valutare il significato, la portata e l’impatto, all’epoca e successivamente. E un/una fact checker riesce agilmente a riportare tutto a un dato di realtà: penso all’allucinante ricezione distorta nostrana del dibattito statunitense intorno alla cosiddetta cancel culture, egregiamente ribilanciata da Alice Borgna nel suo Tutte storie di maschi bianchi morti...

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Il debunking/fact checking storico è un approccio che può avere delle criticità, ma che pretende dunque una contestualizzazione – intesa anche, banalmente ed etimologicamente parlando, come conoscenza del contesto – e una non sindacabile aderenza allo stato dell’arte della storiografia e al ventaglio di interpretazioni possibili di cui dicevo. Gli storici, sia detto, mettono di norma tra virgolette, talvolta letteralmente, il discorso sulla “verità” – ma i fatti, gli eventi e i processi storici esistono, come esistono le ricerche che li hanno studiati. E di questo bisogna tenere conto: il sapere storico è un sapere documentato e verificabile.

Come ha opportunamente rilevato lo storico medievista Giuseppe Sergi intervenendo a proposito della collana[1], «il dibattito su quanto sia raggiungibile la “verità” in storia ha prodotto pagine e pagine, fra gli estremi opposti dello scetticismo decostruzionista e di un positivismo frainteso da coloro stessi che lo praticano [...]. La posizione più equilibrata è di chi ritiene la storia una scienza sociale del passato in continuo sviluppo, con strumenti di progressiva autocorrezione in una tensione di “avvicinamento” alla verità. È velleitaria un’impresa editoriale che si propone di sottoporre “la storia alla prova dei fatti”? Direi di no, se si tiene conto degli spiragli lasciati aperti da uno dei libri più pessimisti degli ultimi anni in tema di processi di conoscenza: I rischi della percezione, di Bobby Duffy (Einaudi, 2019). Questo studioso di public policy [...] dimostra che le percezioni sbagliate si possono “gestire”, e intitola un paragrafo “I fatti sono ancora importanti, e vanno verificati”. I fatti, appunto. E la verifica è un dovere».

La scelta di autori giovani indica un cambiamento nel modo in cui gli storici si confrontano con la loro materia, che li rende più “attivisti”?

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Non saprei, personalmente credo che sia sano e corretto dichiarare il proprio posizionamento rispetto all’oggetto di studio, senza che questo infici il proprio lavoro, a prescindere della generazione di cui si fa parte. Conosco e stimo enormemente persone di altre generazioni che con la loro professionalità rinnovano da decenni percorsi di chiaro orientamento democratico; tra gli autori editi da “Fact Checking” penso a Mimmo Franzinelli e a Pino Ippolito Armino, tra i “meno giovani” della squadra composta finora in larghissima misura da nati negli anni Settanta o Ottanta, che ha certamente in comune un impegno civile a difesa delle istituzioni repubblicane e democratiche, e un’idea di cultura intesa come voler comprendere la storia nella sua complessità, senza preconcetti o elitismi. È pur vero che di presunti progressisti tramutatisi in reazionari ce n’è a iosa, e alcuni di questi si annidano certamente nel mondo accademico, che è comunque una realtà di prestigio e potere e che può avere gioco facile a tentare di squalificare l’operazione perché molti degli autori coinvolti sono (relativamente parlando!) “giovani”, trasparenti nel loro posizionamento civile e finanche politico – se non altro per contrasto – e tangenziali rispetto all’università: aspetto questo forse non secondario perché non abbiamo un ente di afferenza a cui rendere conto delle nostre posizioni pubbliche. Ma è parimenti innegabile che con le ultime due uscite – il volume di Borgna (ottobre 2022) e I Greci e i Romani ci salveranno dalla barbarie di Giusto Traina (marzo 2023) – e con diverse prossime che ancora non posso svelare, la squadra di “Fact Checking” vede una significativa “discesa in campo” di parte del mondo accademico. Ed è una novità non da poco.

Che tipo di reazioni ha avuto l’approccio della collana tra gli storici?

Non ho sufficienti elementi per una risposta articolata. Posso dire per certo che molte persone strutturate in accademia hanno guardato con favore o addirittura entusiasmo all’operazione, alla luce del fatto che ci hanno recensiti/e, ci hanno invitati/e a discuterne anche in università o in consessi universitari, hanno pubblicamente dato segni di apprezzamento o hanno condiviso sui loro canali social notizie e commenti positivi sulla nostra opera di debunking. A quanto ne so io le persone pubblicamente critiche che ricoprono ruoli universitari sono state un numero assai esiguo, ma non sono così ingenuo da pensare che a conti fatti non siano di più. Lo stesso termine “divulgazione” in italiano, specie in quell’ambiente, è usato non di rado con un’accezione neanche troppo velatamente dispregiativa. E già solo il fatto di entrare “a gamba tesa” nel dibattito pubblico per alcuni può essere problematico.

Infine, la reazione del pubblico, come sono andate le vendite?

Stanno andando bene. A livello di vendite i due migliori volumi della serie, a oggi, sono E allora le foibe? di Gobetti e Anche i partigiani però… di Colombini, ma c’è da dire che sono anche stati tra le prime uscite, a inizio 2021; stanno procedendo con un buon passo anche Gianluca Falanga e Franzinelli – usciti un anno più tardi – e sta andando decisamente bene Speccher, in libreria da settembre 2022. Perché – e questa per la non fiction è un’assoluta rarità in ambito editoriale, mi dicono – a ogni nuova uscita gli altri volumi, a traino, ricominciano a vendere. In libreria se ne trovano sempre parecchi, ben oltre la “vita media” di un volume nel girotondo editoriale.

Per dare un ordine di grandezza, che riguarda però tutta l’“alta divulgazione”, ogni “Fact Checking” vende in un paio di mesi più di quanto la maggior parte dei libri di storia pubblicati in Italia vende in tutta la sua vita editoriale. Sono operazioni diverse, certo, e i nostri lavori non potrebbero esistere senza la ricerca di base che li nutre, per questo credo che sia necessaria un’alleanza tra professionalità, che tenga conto di quanto è prezioso il lavoro di chi fa ricerca e produce testi ad alto tasso di specializzazione e chi quelle stesse ricerche riesce a valorizzarle, riportando il dibattito pubblico a un dato di realtà. O almeno provandoci.

Note

1) G. Sergi, “Serietà in tutte le storie”, in L’Indice dei libri del mese, a. XXXVIII, n. 4 – aprile 2021.


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