Riconoscere forme familiari in oggetti come nuvole, rocce o macchie, infatti, può offrire un senso di ordine e comprensione che è cognitivamente gratificante rispetto, per esempio, a osservare una nuvola che non assume alcuna forma associabile se non alla nuvola in sé. Nei nostri antenati, la capacità di riconoscere rapidamente volti o forme potenzialmente minacciose era cruciale per la sopravvivenza. Anche gli antichi astronomi collegavano le stelle in pattern riconoscibili, come animali o figure mitologiche, per orientarsi nel cielo notturno.
Nel nostro cervello, la regione specializzata nel riconoscimento dei volti è l’area fusiforme facciale, che è così sensibile che può attivarsi anche quando vediamo qualcosa che somiglia anche solo vagamente a un volto. L’elemento più frequentemente riconosciuto è il volto umano perché, fin dalla nascita, siamo esposti ai volti in modo intensivo; questa continua esposizione condizionerebbe poi il nostro cervello adulto a riconoscere i volti più facilmente rispetto ad altre forme. Si tratta quindi di un processo che unisce istinti evolutivi, aspetti neurologici, necessità psicologiche e pratiche culturali, che riflette la nostra capacità di pensiero astratto, dimostrando come la mente umana cerchi continuamente di trovare familiarità nel mondo che la circonda e significati particolari anche nelle cose più banali, nel tentativo di mettere ordine nel caos.
Tuttavia, il fenomeno della pareidolia porta spesso anche ad alimentare credenze irrazionali e superstiziose. Scorgendo figure riconoscibili in nuvole o alberi o pietre, alcune persone possono sentirsi connesse a qualcosa di più grande, magico e ineffabile nel mondo naturale oppure percepirle come segnali di eventi apocalittici o messaggi di forze ultraterrene. In contesti culturali specifici, alcuni individui possono interpretare figure e forme naturali come parte di profezie o visioni che hanno significati particolari per la loro comunità o sistema di credenze. Sono infatti varie le culture e religioni per le quali vedere segni o simboli in oggetti naturali è interpretato come un messaggio divino o soprannaturale.
Anche i complottisti spesso fanno leva su fenomeni come la pareidolia per alimentare, all’interno delle loro bolle sociali, credenze, cospirazioni e spiegazioni alternative alla realtà ufficiale e sostenere così le loro teorie. Per esempio, una variopinta pattuglia di complottisti sostiene che governi o entità segrete di pochi iniziati manipolino il pianeta per vari scopi, controllando il clima o creando artatamente disastri naturali per i loro biechi fini.
Un tema ricorrente è quello legato al cloud seeding [N.d.R.: si veda anche l’articolo a pag. 50] considerato un ulteriore complemento maligno alla già ultradecennale e planetaria irrorazione degli esseri umani attraverso le scie chimiche. Questo fa sì che molte persone già inclini a credere alle teorie del complotto, non avendo la (sana) abitudine di osservare regolarmente il cielo e non conoscendo le motivazioni scientifiche dietro le formazioni nuvolose, quando vedono qualcosa di meno usuale tra le nuvole possono erroneamente pensare che si tratti di nubi artificiali create artatamente per avvelenarci tutti.
Le nuvole mammatus, per esempio, a causa del loro aspetto insolito, possono apparire minacciose e spettacolari al punto da sembrare innaturali e, pur essendo ovviamente un fenomeno naturale, vengono spesso citate come prova di manipolazioni arcane, alimentando sospetti e scetticismi. Naturalmente, la scienza meteorologica offre spiegazioni chiare e ben documentate sui processi di formazione delle nuvole mammatus, nubi temporalesche che possono sia portare grandine e pioggia ma anche mostrarsi senza causare alcuna precipitazione. Sono studiate e documentate a partire dal 1894 ed esistono numerose fotografie e descrizioni di queste nuvole in testi scientifici e libri di meteorologia fin dal XIX secolo.
Un altro esempio sono le nuvole asperitas, che sono formazioni nuvolose dall’aspetto dinamico e potente, caratterizzate da creste e valli che cambiano apparentemente forma in base all’angolazione con cui sono colpite dai raggi del Sole, creando onde turbolente e increspate che conferiscono una sensazione di movimento simile a quello di un mare mosso. Le dinamiche fisiche alla base della formazione delle asperitas sono la variazione della velocità del vento su distanze orizzontali o verticali, dette wind shear e instabilità atmosferiche simili alle correnti marine che modellano le onde oceaniche.
Le asperitas sono state riconosciute e denominate ufficialmente solo di recente, nel 2017, a causa della loro rarità e della difficoltà di documentarle sistematicamente prima dell’avvento delle tecnologie digitali, ma non sono certo un fenomeno nuovo nell’atmosfera terrestre. La diffusione della fotografia digitale e l’uso di Internet hanno poi permesso ai cittadini e agli appassionati di meteo di condividere le immagini di queste impressionanti formazioni nuvolose, facilitando così la loro classificazione da parte di istituzioni meteorologiche come la World Meteorological Organization (WMO).
Per catturare fotograficamente al meglio nuvole come le mammatus o le asperitas è utile aumentare il contrasto del cielo in post-produzione, poiché le foto del cielo tendono a essere sovraesposte, rendendo difficile vedere i dettagli delle nuvole. Con gli smartphone, si può mettere a fuoco “toccando” sulla parte dell’inquadratura dove si trovano le nuvole. In questo modo, oltre a mettere a fuoco, il cellulare regola automaticamente la luminosità, scurendo il cielo e aumentando il contrasto, e facendo così emergere le particolarità di queste nubi. Prima dell’avvento delle tecnologie moderne, era molto più difficile raccogliere dati visivi di fenomeni tanto rari ed effimeri, specialmente in località remote o meno accessibili. La classificazione tardiva delle nuvole asperitas riflette quindi non solo un riconoscimento della loro esistenza unica ma anche un progresso nella tecnologia e nella collaborazione tra osservatori e comunità scientifica che ha permesso di identificarle e studiarle più efficacemente, così come accade nella proficua cooperazione tra astronomi e astrofili.