Le mille evoluzioni dei rilevatori rabdomantici

  • In Articoli
  • 27-05-2014
  • di Sofia Lincos
image
James McCormick ©mirror.co.uk
Era cominciata con il golfinder, un innocuo giochino che prometteva di individuare le palle da golf con la rabdomanzia. Poi arrivarono i bomb detector: apparecchi identici, basati sullo stesso principio di funzionamento – anzi, di non funzionamento. Un’intera generazione di rilevatori per l’individuazione di esplosivi, droga, armi e soldi falsi venduti alle forze armate di mezzo mondo (v. Query 16).
Storie di bombe esplose mai rilevate dai dispositivi, test che ne hanno dimostrato l’assoluta inutilità, corruzione di funzionari responsabili della loro adozione e assoluta indifferenza verso la vita umana. Storie finite in un’aula di tribunale, con due fra i maggiori imprenditori coinvolti nel business (James McCormick e Gary Bolton) condannati rispettivamente a 10 e 7 anni di prigione.
Ma l’evoluzione del golfinder, purtroppo, non si ferma qui: la sua nuova incarnazione arriva dall’Egitto e si chiama C-Fast, un apparecchio per la “diagnosi remota” dell’epatite ispirato ai bomb detector in uso presso l’esercito. Già l’anno scorso un’inchiesta del Guardian aveva testimoniato la sua diffusione negli ospedali rurali lungo il corso del Nilo[1]: bacchette da rabdomante in versione digitale, che secondo il brevetto[2] e l’unico studio scientifico[3] che le ha riguardate (un articolo che contrasta con tutti gli altri test realizzati fino ad oggi e pubblicato su una rivista considerata inattendibile, una di quelle elencate nella lista di Beall di cui parla Stefano Bagnasco nella sua rubrica in questo numero) dovrebbero captare le frequenze emanate dal virus dell’epatite C.
Peccato che il concetto stesso sia pura pseudoscienza. Non ci sono “frequenze” emesse dal virus che il dispositivo possa in alcun modo rilevare. Tutte le volte che i bomb detector sono stati sottoposti a verifiche in cieco, ad esempio, nei Sandia National Laboratories[4] si è visto che la loro efficacia è paragonabile a quella che si avrebbe andando a caso.
Ora a quanto pare il C-Fast non è più relegato a una manciata di ospedali rurali, ma sembra aver raggiunto anche il Cairo, sostenuto da alti funzionari della giunta militare. Non solo: il C-Fast, usato inizialmente solo per l’epatite C (problema molto diffuso in Egitto, visto che ne soffre quasi il 15% della popolazione), sembra aver trovato un nuovo ambito di applicazione nella diagnosi remota dell’AIDS.
In una conferenza stampa tenuta il 25 febbraio il generale Ibrahim Abdel Atty, portavoce medico dell’esercito egiziano, ha dichiarato di aver raggiunto un’efficacia del 100% per le diagnosi remota dell’AIDS, grazie alle nuove tecniche scoperte in ambito militare. Le immagini diffuse purtroppo non lasciano dubbi: l’apparecchio che dovrebbe accertare la presenza del virus HIV è del tutto identico ai rilevatori di bombe dell’esercito ed è presumibile che abbia anche la stessa (in)efficacia. Al di là degli annunci trionfalistici di Atty, la situazione appare davvero preoccupante: non è difficile immaginare quali possano essere le conseguenze di una diagnosi errata di malattie così gravi come l’AIDS o l’epatite C.
Non è tutto: Abdel Atty ha anche dichiarato di essere in grado di curare l’AIDS così diagnosticato tramite il CCD (Complete Cure Device), un nuovo dispositivo medico che, secondo le colorite parole del generale, trasformerebbe il virus in un kebab, inshallah.
Purtroppo manca totalmente qualsiasi informazione, studio o brevetto sulla nuova mirabolante scoperta dell’esercito egiziano, ma c’è davvero di che essere scettici, viste le premesse. L’annuncio è stato contestato anche dall’establishment scientifico del Paese, che considera le parole di Atty niente più che propaganda, volta a rafforzare l’immagine della giunta militare.
Nel frattempo le fortune del cerca-palline rabdomantico continuano anche altrove. I bomb detector, suoi diretti discendenti, continuano a essere utilizzati in molti paesi, come Libano e Kenya.
Inoltre, stando a un’inchiesta della BBC andata in onda il 3 marzo[5], l’Unione Europea potrebbe aver finanziato con 750.000 euro gli studi sui bomb detector rabdomantici del fisico romeno Marian Apostol, legato all’azienda Mira Telecom, nonché titolare di un brevetto che migliorerebbe le prestazioni dei rilevatori (e che, stando al parere di Michael Sutherland dell’Università di Cambridge, non ha nessuna ragione di funzionare, visto che non è altro se non il vecchio bomb detector di McCormick con una lucina e una batteria in più).
Stiamo provando a informarci su questi finanziamenti tramite gli uffici preposti dell’Unione Europea, vi aggiorneremo se ci saranno ulteriori sviluppi.

Note

accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',