I gatti sono forse gli animali domestici allo stesso tempo più odiati e più amati della storia, ma esistono antiche leggende sui gatti mannari, gli ailurantropi?
Un uomo che si potesse reversibilmente trasformare in animale, potendo scegliere, opterebbe per un lupo, una tigre, un leone, una creatura che richiami forza e possanza, e infatti le leggende sui licantropi e i vari teriantropi zannuti prevedono quasi sempre la trasformazione di un uomo in un grosso predatore, prevalentemente un mammifero, ma anche un coccodrillo, o un grosso uccello come un cigno. I licantropi delle leggende, se si nota, sono praticamente tutti maschi, e le donne sono prevalentemente prede di varia natura. Se uno deve immaginare cose, tanto vale farlo in grande.
Visto che in Europa occidentale siamo dominati da una cultura e da una letteratura fondamentalmente patriarcali, non è chiaro in cosa si sarebbero tramutate le donne, potendo scegliere. Sappiamo però in cosa gli uomini le immaginavano trasformate, almeno in tempi relativamente moderni: in gatti.
Nel Malleus Maleficarum, pubblicato nel 1487, i domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Kramer fissano in modo definitivo (ispirandosi a infinite storie preesistenti, ma mettendoci anche del loro) l’idea della strega che si trasforma in gatto, raccontando (parte 2, capitolo IX) un “esempio” avvenuto a Strasburgo, la città dove Kramer operava come inquisitore: mentre un contadino tagliava legna, fu attaccato da tre gatti furiosi e si salvò colpendoli duramente. Poco dopo fu però arrestato, con l’accusa di aver picchiato duramente tre donne della città. Quando l’uomo fu sentito dal magistrato, questi inizialmente non credette alla sua innocenza, ma cambiò idea quando l’uomo raccontò di essere stato attaccato non da tre donne ma da tre creature sotto forma di gatto. Come dubitare delle parole dell’uomo, a quel punto? L’imputato fu subito prosciolto, stando al racconto di Kramer. Non è noto il destino delle donne.
Del resto, i gatti erano già stati ufficialmente identificati come creature demoniache dalla bolla papale Vox in Rama emanata da Gregorio IX nel 1233, in cui i gatti neri venivano ufficialmente dichiarati strumenti del demonio e/o incarnazioni di Satana[1]. Valdesi, Catari (questi ultimi, malgrado cataro significhi puro in greco, con la parola “cattus” nel nome quasi se la son cercata[2]), e altri eretici assortiti erano tutti l’equivalente medievale di una moderna “crazy cat lady”, a sentire gli inquisitori. Insomma, i gatti erano il male, specie se neri, le donne erano tentatrici, e ovviamente le streghe si trasformavano in gatti neri: una deduzione logica inappuntabile.
Cosa le donne avessero fatto a dei domenicani sessuofobi e repressi è autoevidente, ma cosa avessero fatto loro i gatti neri è meno chiaro, data oltretutto l’utilità delle bestiole, che avevano facilmente soppiantato i furetti (puzzole addomesticate) usati da Romani e Greci per tenere a bada i roditori. Una spiegazione che viene comunemente data è che i gatti erano tenuti a bordo delle navi saracene, sia contro i topi che come portafortuna, e i gatti neri, in particolare, sarebbero stati i più comuni. Quando i Saraceni approdavano sulle coste della Sicilia, della Calabria e, soprattutto, della Puglia, dove esistono ancora infinite torri di avvistamento, dalle loro navi sarebbero scesi questi gatti neri. L’avvistamento di un gatto nero avrebbe indicato la presenza degli infedeli, e quindi segnalato l’avvicinarsi di qualcosa di nefasto. Questa storia, tuttavia, non regge. Innanzitutto non è chiaro perché i saraceni avrebbero fatto scendere dalle navi i loro derattizzatori portafortuna. E in secondo luogo non è chiaro perché i gatti dei Mori avrebbero dovuto essere mori a loro volta.
La mutazione del gene per il colore nero del pelo è avvenuta molte volte nei felini in modo indipendente, e non sembra essere correlata a mimetismo, almeno nei crepuscolari gatti domestici: grigio a strisce è più mimetico (e comune) di nero alla luce del crepuscolo. Alcuni ricercatori ipotizzano che una mutazione nel gene agouti/ASIP, responsabile del pelo nero nel gatto, alteri allo stesso tempo dei recettori cellulari che favoriscono l’ingresso di alcuni virus come il FIV, rendendo i gatti neri un po’ più resistenti alle infezioni e conferendo loro un vantaggio evolutivo. A me sembra in realtà che i gatti neri si scaldino di più al sole, e quindi sopportino meglio i climi freddi che quelli caldi, motivo per cui sono più frequenti alle alte latitudini che nelle terre dei Saraceni.
Benché, come visto, il colore nero fosse evolutivamente utile, destava (e desta tuttora) diffidenza e non piaceva associato a nessun animale domestico: gatti, capre, pecore, cani, galli di colore nero erano ugualmente mal visti, ma tra questi i gatti erano i più odiati. Il motivo per cui Lucifero dovesse essere proprio un grosso gatto (nero), di cui secondo Walter Map andavano baciate le parti intime, resta poco chiaro. Perché Lucifero non poteva essere un orso o una gallina faraona? L’affermazione che di un gatto nero di notte si veda solo il riflesso “satanico” degli occhi è vera, ma è anche vero che questo vale quasi per qualunque mammifero, lepri, pecore e cani inclusi (anzi, il riflesso degli occhi delle lepri e dei cani è infernalmente rosso-arancio, quello delle pecore innaturalmente azzurro; al confronto il riflesso verde dei gatti è quasi normale). I gatti inoltre sono sinuosi, ma non particolarmente più sensuali di altre specie domestiche. Chiunque si sia imbattuto in un cane maschio in certi momenti sa quanto i cani possano tentare di accoppiarsi con qualsiasi cosa, a differenza dei diffidenti felini. Che la spiegazione risieda nel carattere indipendente dei gatti? Indubbiamente, tra le specie domestiche, i gatti sono i più indipendenti, sebbene vivano con l’uomo da almeno 10000 anni, più o meno lo stesso tempo dei cani[3]. Abbastanza indipendenti e poco inclini a piegarsi al volere umano, probabilmente, al punto da farli ritenere “indemoniati”.
In ogni caso, il legame tra i gatti neri e le streghe era diventato indissolubile. Si trattava tuttavia di pet, o di “familiari”, come li avrebbero chiamati gli inquisitori, più che di teriantropia vera e propria, tranne in un caso. A Bari, nella città antica, le streghe venivano chiamate Gatte Masciare, e si attribuiva loro il potere di cambiare forma, passando da donna a gatto nero nelle notti dei sabba, o in generale durante la notte, grazie a un unguento. Sotto forma di gatto, le masciare potevano spiare nelle case degli uomini, saltare dai tetti e volare. Esiste tuttora un passaggio, vicino al Castello Svevo, dall’evocativo nome di “Arco della Masciara”, dove si riunivano le streghe, o più probabilmente i gatti. Il termine masciara deriverebbe da Megaera, una delle Erinni, ma la somiglianza col termine janara (che a sua volta deriverebbe da Dianara, sacerdotessa di Diana), con cui erano identificate le streghe a Benevento, è innegabile. Se ci si imbatteva per caso in una gatta masciara in forma felina a Bari bisognava farsi il segno della croce e dire: “Driana meste ca va pela vi’, degghìa ngondrà Gesù, Gesèppe e Mari’” (Maestra Diana che vai per la via, devo incontrare Gesù, Giuseppe e Maria), per ritrasformare il quadrupede in una donna nuda. L'invocazione a Diana non è casuale e richiama i culti precristiani del sud Italia, soprattutto a Benevento, dove il culto di Iside, di epoca romana, era sovrapposto a un precedente culto della dea madre con le sue tre manifestazioni, che in questo caso erano diventate Iside, Diana ed Ecate.
Le altre streghe della tradizione popolare volano, si riuniscono sotto il noce per il sabba, e fanno tutte le azioni che genericamente ci si aspetta da una strega, ma nessuna si trasforma ufficialmente in gatto, a eccezione delle masciare baresi, in un raro esempio di ailurantropia molto lontano dalle sfortunate donne tedesche del Malleus Maleficarum. Le cogas, le streghe sarde, si trasformano in molti animali tra cui il gatto, ma le masciare hanno un rapporto univoco coi felini. Cosa abbia portato a questa alterazione della tradizione popolare delle streghe è difficile a dirsi, ma in una città portuale non si può certo pensare che mancassero i soggetti felini cui ispirarsi. Forse l’orgoglio delle donne baresi, culturalmente matriarcali, ha contribuito a sovrapporre le immagini delle più indipendenti e ribelli ai gatti. Sarebbe interessante sapere se qualche gatto, o donna, sia stato processato dopo la bolla di Gregorio IX a Bari, ma l’arco della Masciara arrivato incolume sino ai nostri giorni è una testimonianza che il peso dell’inquisizione era minimo nella regione culturalmente più bizantina della penisola.
Un uomo che si potesse reversibilmente trasformare in animale, potendo scegliere, opterebbe per un lupo, una tigre, un leone, una creatura che richiami forza e possanza, e infatti le leggende sui licantropi e i vari teriantropi zannuti prevedono quasi sempre la trasformazione di un uomo in un grosso predatore, prevalentemente un mammifero, ma anche un coccodrillo, o un grosso uccello come un cigno. I licantropi delle leggende, se si nota, sono praticamente tutti maschi, e le donne sono prevalentemente prede di varia natura. Se uno deve immaginare cose, tanto vale farlo in grande.
Visto che in Europa occidentale siamo dominati da una cultura e da una letteratura fondamentalmente patriarcali, non è chiaro in cosa si sarebbero tramutate le donne, potendo scegliere. Sappiamo però in cosa gli uomini le immaginavano trasformate, almeno in tempi relativamente moderni: in gatti.
Nel Malleus Maleficarum, pubblicato nel 1487, i domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Kramer fissano in modo definitivo (ispirandosi a infinite storie preesistenti, ma mettendoci anche del loro) l’idea della strega che si trasforma in gatto, raccontando (parte 2, capitolo IX) un “esempio” avvenuto a Strasburgo, la città dove Kramer operava come inquisitore: mentre un contadino tagliava legna, fu attaccato da tre gatti furiosi e si salvò colpendoli duramente. Poco dopo fu però arrestato, con l’accusa di aver picchiato duramente tre donne della città. Quando l’uomo fu sentito dal magistrato, questi inizialmente non credette alla sua innocenza, ma cambiò idea quando l’uomo raccontò di essere stato attaccato non da tre donne ma da tre creature sotto forma di gatto. Come dubitare delle parole dell’uomo, a quel punto? L’imputato fu subito prosciolto, stando al racconto di Kramer. Non è noto il destino delle donne.
Del resto, i gatti erano già stati ufficialmente identificati come creature demoniache dalla bolla papale Vox in Rama emanata da Gregorio IX nel 1233, in cui i gatti neri venivano ufficialmente dichiarati strumenti del demonio e/o incarnazioni di Satana[1]. Valdesi, Catari (questi ultimi, malgrado cataro significhi puro in greco, con la parola “cattus” nel nome quasi se la son cercata[2]), e altri eretici assortiti erano tutti l’equivalente medievale di una moderna “crazy cat lady”, a sentire gli inquisitori. Insomma, i gatti erano il male, specie se neri, le donne erano tentatrici, e ovviamente le streghe si trasformavano in gatti neri: una deduzione logica inappuntabile.
Cosa le donne avessero fatto a dei domenicani sessuofobi e repressi è autoevidente, ma cosa avessero fatto loro i gatti neri è meno chiaro, data oltretutto l’utilità delle bestiole, che avevano facilmente soppiantato i furetti (puzzole addomesticate) usati da Romani e Greci per tenere a bada i roditori. Una spiegazione che viene comunemente data è che i gatti erano tenuti a bordo delle navi saracene, sia contro i topi che come portafortuna, e i gatti neri, in particolare, sarebbero stati i più comuni. Quando i Saraceni approdavano sulle coste della Sicilia, della Calabria e, soprattutto, della Puglia, dove esistono ancora infinite torri di avvistamento, dalle loro navi sarebbero scesi questi gatti neri. L’avvistamento di un gatto nero avrebbe indicato la presenza degli infedeli, e quindi segnalato l’avvicinarsi di qualcosa di nefasto. Questa storia, tuttavia, non regge. Innanzitutto non è chiaro perché i saraceni avrebbero fatto scendere dalle navi i loro derattizzatori portafortuna. E in secondo luogo non è chiaro perché i gatti dei Mori avrebbero dovuto essere mori a loro volta.
La mutazione del gene per il colore nero del pelo è avvenuta molte volte nei felini in modo indipendente, e non sembra essere correlata a mimetismo, almeno nei crepuscolari gatti domestici: grigio a strisce è più mimetico (e comune) di nero alla luce del crepuscolo. Alcuni ricercatori ipotizzano che una mutazione nel gene agouti/ASIP, responsabile del pelo nero nel gatto, alteri allo stesso tempo dei recettori cellulari che favoriscono l’ingresso di alcuni virus come il FIV, rendendo i gatti neri un po’ più resistenti alle infezioni e conferendo loro un vantaggio evolutivo. A me sembra in realtà che i gatti neri si scaldino di più al sole, e quindi sopportino meglio i climi freddi che quelli caldi, motivo per cui sono più frequenti alle alte latitudini che nelle terre dei Saraceni.
Benché, come visto, il colore nero fosse evolutivamente utile, destava (e desta tuttora) diffidenza e non piaceva associato a nessun animale domestico: gatti, capre, pecore, cani, galli di colore nero erano ugualmente mal visti, ma tra questi i gatti erano i più odiati. Il motivo per cui Lucifero dovesse essere proprio un grosso gatto (nero), di cui secondo Walter Map andavano baciate le parti intime, resta poco chiaro. Perché Lucifero non poteva essere un orso o una gallina faraona? L’affermazione che di un gatto nero di notte si veda solo il riflesso “satanico” degli occhi è vera, ma è anche vero che questo vale quasi per qualunque mammifero, lepri, pecore e cani inclusi (anzi, il riflesso degli occhi delle lepri e dei cani è infernalmente rosso-arancio, quello delle pecore innaturalmente azzurro; al confronto il riflesso verde dei gatti è quasi normale). I gatti inoltre sono sinuosi, ma non particolarmente più sensuali di altre specie domestiche. Chiunque si sia imbattuto in un cane maschio in certi momenti sa quanto i cani possano tentare di accoppiarsi con qualsiasi cosa, a differenza dei diffidenti felini. Che la spiegazione risieda nel carattere indipendente dei gatti? Indubbiamente, tra le specie domestiche, i gatti sono i più indipendenti, sebbene vivano con l’uomo da almeno 10000 anni, più o meno lo stesso tempo dei cani[3]. Abbastanza indipendenti e poco inclini a piegarsi al volere umano, probabilmente, al punto da farli ritenere “indemoniati”.
In ogni caso, il legame tra i gatti neri e le streghe era diventato indissolubile. Si trattava tuttavia di pet, o di “familiari”, come li avrebbero chiamati gli inquisitori, più che di teriantropia vera e propria, tranne in un caso. A Bari, nella città antica, le streghe venivano chiamate Gatte Masciare, e si attribuiva loro il potere di cambiare forma, passando da donna a gatto nero nelle notti dei sabba, o in generale durante la notte, grazie a un unguento. Sotto forma di gatto, le masciare potevano spiare nelle case degli uomini, saltare dai tetti e volare. Esiste tuttora un passaggio, vicino al Castello Svevo, dall’evocativo nome di “Arco della Masciara”, dove si riunivano le streghe, o più probabilmente i gatti. Il termine masciara deriverebbe da Megaera, una delle Erinni, ma la somiglianza col termine janara (che a sua volta deriverebbe da Dianara, sacerdotessa di Diana), con cui erano identificate le streghe a Benevento, è innegabile. Se ci si imbatteva per caso in una gatta masciara in forma felina a Bari bisognava farsi il segno della croce e dire: “Driana meste ca va pela vi’, degghìa ngondrà Gesù, Gesèppe e Mari’” (Maestra Diana che vai per la via, devo incontrare Gesù, Giuseppe e Maria), per ritrasformare il quadrupede in una donna nuda. L'invocazione a Diana non è casuale e richiama i culti precristiani del sud Italia, soprattutto a Benevento, dove il culto di Iside, di epoca romana, era sovrapposto a un precedente culto della dea madre con le sue tre manifestazioni, che in questo caso erano diventate Iside, Diana ed Ecate.
Le altre streghe della tradizione popolare volano, si riuniscono sotto il noce per il sabba, e fanno tutte le azioni che genericamente ci si aspetta da una strega, ma nessuna si trasforma ufficialmente in gatto, a eccezione delle masciare baresi, in un raro esempio di ailurantropia molto lontano dalle sfortunate donne tedesche del Malleus Maleficarum. Le cogas, le streghe sarde, si trasformano in molti animali tra cui il gatto, ma le masciare hanno un rapporto univoco coi felini. Cosa abbia portato a questa alterazione della tradizione popolare delle streghe è difficile a dirsi, ma in una città portuale non si può certo pensare che mancassero i soggetti felini cui ispirarsi. Forse l’orgoglio delle donne baresi, culturalmente matriarcali, ha contribuito a sovrapporre le immagini delle più indipendenti e ribelli ai gatti. Sarebbe interessante sapere se qualche gatto, o donna, sia stato processato dopo la bolla di Gregorio IX a Bari, ma l’arco della Masciara arrivato incolume sino ai nostri giorni è una testimonianza che il peso dell’inquisizione era minimo nella regione culturalmente più bizantina della penisola.
Note
1) Vedi anche Walter of Map, De nugis curialium, I.30 per le associazioni eretici-gatti-Lucifero.
2) De Lille, Alain (1185 ca.) De fide catholica contra Valdenses, Iudaeous et Paganos: “Cathari dicuntur a cato, quia, ut dicitur, osculantur posteriora catti, in cuius specie, ut dicunt, apparet eis Lucifer”.
3) Il gatto domestico noto più antico risale a circa 9500 anni fa. I suoi resti furono trovati in una tomba a Cipro, e archeologi e paleontologi concordano che non si trattasse di un animale selvatico