Le fallacie degli scettici

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Perché le persone credono a cose inverosimili? Perché c’è così tanta irrazionalità nel mondo? Uno scettico vi fornirà una sola risposta ad entrambe le domande: fallacie. Le fallacie sono quel tipo di argomentazioni comuni, affascinanti, persistenti e completamente sbagliate. Poiché le persone continuano a commettere fallacie, finiscono per credere a ogni sorta di stranezza: questa è ciò che si dice comunemente.

Nei principali testi sullo scetticismo, e nelle pagine dei periodici scettici come questo, si possono trovare brevi discussioni sui tipi più comuni di fallacie. La classificazione tradizionale è ben conosciuta e, spesso, basata sui loro nomi latini: ad hominem, ad ignorantiam, ad populum, petitio principii, post hoc ergo propter hoc.

Alcune di loro hanno un significato più oscuro, come ignoratio elenchi, affermare il conseguente, secundum quid e ad verecundiam, meglio conosciuta come “principio di autorità”. La maggior parte di loro ha origine ai tempi di Aristotele. Altre sono relativamente nuove, come la fallacia del piano scivoloso, la fallacia genetica o - per ovvie ragioni - la reductio ad Hitlerum.

Queste liste assolvono a uno scopo pedagogico: imparando i tipi più comuni di errori di ragionamento, saprai come evitarli e diventerai più abile a riconoscerli nei ragionamenti di altri. È una sorta di vaccino contro l’irrazionalità: se solo le persone imparassero la lista delle fallacie, il mondo sarebbe un posto molto più razionale!

Peccato che anche questo ragionamento sia fallace.

Scetticismo a proposito delle fallacie.


Tempo fa tenevo un corso di pensiero critico alla Ghent University. Come da manuale dello scettico, presentavo innanzitutto ai miei studenti la solita lista di fallacie, quindi li invitavo a mettere in pratica la teoria: prendere un pezzo famoso da un giornale o guardare un dibattito politico e provare a scovarne le fallacie.

Non darò mai più questo compito: gli studenti diventavano paranoici; cominciavano a vedere fallacie ovunque! Piuttosto che andare alla sostanza delle cose, gridavano “fallacia” ad ogni piè sospinto. Eppure, nessuna delle fallacie che avevano scovato reggeva a un esame più attento.

Devo forse biasimare i miei studenti? Devo confessare che quando ho fatto io stesso l’esercizio e cercato delle fallacie chiaramente identificabili nella vita di tutti i giorni, me ne sono tornato praticamente a mani vuote. Forse, dal momento che i miei studenti non hanno trovato nessun esempio evidente di fallacia, hanno iniziato a crearne? Sono così tornato ai classici. The Demon-Haunted World (1996; Ed. It. Il Mondo infestato dai demoni, Baldini & Castoldi, 1997) di Carl Sagan, forse il libro scettico più famoso, ha una sezione speciale a proposito di questi errori di ragionamento, come molti altri libri di questo genere. Ma, anche se Sagan elenca correttamente tutte le fallacie più note, non riesce a mostrarne nessuna nel resto del libro. La sua analisi risulta superficiale e fornisce a stento esempi di ragionamento fallace utilizzato davvero da parte di chi propone una qualche pseudoscienza. Come molti altri scettici, Sagan inventa semplicemente alcuni esempi fittizi, che sono facili da contrastare ma che in definitiva non corrispondono ad argomentazioni utilizzate nella vita reale. Sembra che Sagan aderisca a parole alla teoria che descrive le fallacie ma non la usi davvero nel suo lavoro di debunking. Ma se la vita reale abbonda di fallacie, come mai scettici come Sagan hanno dovuto inventare degli esempi fittizi per presentare il loro punto di vista?

La forchetta della fallacia


Per lungo tempo, filosofi e studiosi di logica hanno provato a definire diversi tipi di fallacia, per lo più usando qualche schema (semi)formale che cattura tali argomenti. L’idea affascinante alla base di questo approccio è che avrebbe permesso di identificare velocemente e facilmente gli errori di ragionamento più comuni, in un’ampia varietà di contesti. Ma, ahimè, le speranze di questi studiosi sono state frustrate. Definizioni e schemi sono diventati più complessi e ingombranti col tempo, rendendoli sempre meno adatti all’atto pratico. Nonostante ciò, la maggior parte degli autori continua a trasmettere l’idea che si possono distinguere le argomentazioni buone da quelle fallaci basandosi unicamente sulla loro struttura formale. Il trucco è semplicemente quello di trovare la giusta analisi.

Sono arrivato alla conclusione che questo approccio debba essere buttato a mare. Insieme con il mio collega Fabio Paglieri (un teorico dell’argomentazione) e Massimo Pigliucci (uno scettico “duro e puro”) abbiamo pubblicato nel 2015 un articolo sulla rivista Argumentation nel quale spieghiamo cosa, secondo noi, ci sia di sbagliato nella teoria della fallacia. Non semplicemente a proposito della definizione di un caso particolare, ma in generale. Qui sta il cuore del problema: argomentazioni che sono ritenute fallaci secondo l’approccio standard sono sempre molto simili ad argomentazioni che, in molti contesti, sono perfettamente valide. Da un punto di vista formale, il lato buono e quello sbagliato sono indistinguibili, e nessuno schema argomentativo può avere successo nel cogliere la differenza, separando le pecore nere dalle bianche.

Nel nostro articolo presentiamo un dilemma distruttivo per le teorie della fallacia, che abbiamo chiamato “la forchetta della fallacia”. In questo dilemma, i teorici della fallacia sono obbligati a scegliere tra due opzioni, nessuna delle quali va bene. Prendi una qualunque fallacia standard. Ora ci sono due possibilità tra cui scegliere:

1. Definiamo la nostra fallacia mediante uno schema argomentativo deduttivo. Per esempio, nel caso di post hoc ergo propter hoc, usiamo la seguente definizione: “Se B segue A, allora A è la causa di B”. Affinché la deduzione sia valida, la conclusione deve seguire inesorabilmente dalle premesse. In questo caso, ciò non è necessariamente vero. Secondo gli standard della logica deduttiva, qualsiasi ragionamento che segua quello schema è fallace. Ora, la cosa positiva riguardo a questo approccio è che ha un valore normativo. Con la logica deduttiva non si viene a patti. Il problema, però, è che difficilmente troviamo errori così evidenti e che seguono questo impianto deduttivo nella vita reale (leggi oltre) Questo è il primo rebbio della “Forchetta della fallacia”.

2. Abbiamo definito la nostra fallacia in una maniera che rispecchi un caso ripreso dalla vita reale. Per fare ciò, dobbiamo abbandonare il nostro approccio strettamente deduttivo. Dobbiamo ammorbidire la nostra definizione e aggiungere alcuni qualificatori e alcune sfumature. Nel caso di post hoc ergo propter hoc, potrebbe diventare: “Se B segue immediatamente A, e noi possiamo pensare ci sia un meccanismo causale plausibile che lega A e B, allora A è probabilmente la causa di B”. Questa definizione è un po’ più farraginosa, ma è molto più vicina al tipo di ragionamento che le persone fanno nella vita reale. Allargando la nostra rete, catturiamo molto più pesce. Ma ora abbiamo un altro problema: il nostro ragionamento è ancora fallace? In altre parole, è errato ogni caso che rientra in questo schema?

Vediamo come se la cavano le fallacie più famose quando vengono messe a confronto con la “Forchetta della Fallacia”.

Ogni scettico ha ben presente l’affermazione “correlazione non implica nesso causale”. Pensare altrimenti significa incorrere nella fallacia post hoc ergo propter hoc (o cum hoc). Il sito Spurious correlations ha raccolto alcuni esempi clamorosi, con grafici accattivanti: c’è una chiara correlazione tra il consumo di margarina e il tasso di divorzi, ma anche tra il numero di persone che affogano cadendo in una piscina e il numero di film con protagonista Nicholas Cage (ogni anno). C’è un misterioso nesso causale tra questi eventi? Se ieri ero malato e oggi sto meglio, a quale della miriade di possibili eventi precedenti posso attribuire il miglioramento della mia condizione? Al fatto che ho mangiato corn-flakes per colazione? O che ho guardato un film con Nicholas Cage? O che indossavo i miei calzini blu? O che il mio vicino indossasse calzini blu?

Neanche la più superstiziosa delle persone crede che una correlazione implichi automaticamente un nesso causale o che una successione di due eventi A e B implichi per forza che A causa B. Ci sono semplicemente troppe cose che accadono nel mondo e non abbastanza connessioni causali con cui poterle spiegare. Se si segue la chiara definizione deduttiva l’inferenza post hoc ergo propter hoc è una fallacia, ma quasi nessuno vi ricorre nella vita reale. Questo è il primo rebbio della Forchetta della Fallacia. Allora, quali sono i ragionamenti post hoc che le persone fanno davvero nella vita reale? Come si potrà notare, molti di questi non sono sbagliati in modo lampante. Dipende tutto dal contesto (Pinto 1995).

Immagina di mangiare dei funghi che hai colto nella foresta. Mezz’ora dopo provi nausea, quindi fai due più due e pensi: “Ahia. Devono essere stati i funghi”. Stai incappando in una fallacia? No, finché la tua deduzione è meramente induttiva e probabilistica. Intuitivamente, la tua conclusione dipende dai seguenti assunti plausibili:
  • 1. alcuni funghi sono tossici
  • 2. è facile che una persona non esperta come te possa non riuscire a distinguere un fungo velenoso da uno innocuo
  • 3. la nausea è un tipico sintomo di intossicazione alimentare
  • 4. di solito non provi nausea.

Volendo, puoi dimostrare quanto ciascuna di queste premesse sia in effetti probabile. Prendi l’ultima, che è conosciuta come la valutazione della probabilità di un certo evento: se sono una persona in salute e di solito non soffro di nausea, il fungo è l’indiziato principale. Se, al contrario, soffro solitamente di disturbi gastrointestinali e ho spesso nausea, il mio ragionamento post hoc sarà meno forte.

In effetti, la quasi totalità della nostra conoscenza quotidiana delle cause degli eventi è basata su queste deduzioni post hoc. Ad esempio, il mio portatile si comporta in modo strano dopo che è caduto accidentalmente sul pavimento. Alcune conoscenze mi hanno cancellato da Facebook dopo che ho postato quella vignetta offensiva; l’allarme antincendio si attiva dopo che ho acceso un sigaro.

Come Randall Munroe (il creatore del fumetto online xkcd) ebbe a dire: «Correlazione non significa causa, ma certamente ti fa corrugare la fronte e ti induce a indicare timidamente qualcosa dicendo “Guarda là!”». La maggior parte delle volte, queste premesse rimangono inespresse, ma questo non rappresenta un problema di per sé. Praticamente ogni tipo di ragionamento nella vita quotidiana - anche in ambito scientifico - è pieno di premesse nascoste e passaggi saltati.

Cosa dire, allora, a proposito dei ragionamenti post hoc che sentiamo da falsi guaritori e da altri pseudoscienziati? Qualcuno prende una dose di oscillococcinum (un prodotto omeopatico) per curare l’influenza, e si sente meglio il giorno dopo. Se attribuisce il miglioramento alla pillola, commette una fallacia? Non per forza, o almeno non a livello formale. Tutto dipende dalla plausibilità del nesso causale, dalla disponibilità di spiegazioni alternative, dalla probabilità che quell’effetto si sarebbe verificato comunque anche in assenza di trattamento, eccetera. Rifiutare ogni inferenza considerandola una fallacia post hoc ergo propter hoc è semplicemente un riflesso condizionato. Il problema vero con l’omeopatia è che non c’è nessun meccanismo fisico che possa spiegarne l’efficacia, data l’estrema diluizione dei preparati che utilizza, tanto che nessuno studio clinico randomizzato ne ha mai dimostrato alcun effetto. Tuttavia, affidarsi al ragionamento post hoc non è di per sé una fallacia. Lo facciamo tutte le volte che prendiamo un medicinale e diciamo “per me funziona”.

Ad Hominem

Forse la più tristemente nota tra le fallacie: l’argomentum ad hominem. Il principio è abbastanza semplice: se stai valutando la validità delle affermazioni di qualcuno, non devi farlo sulla base delle motivazioni o della storia personale di chi le propone. Se punti al giocatore invece che al pallone, sei colpevole di ragionamento ad hominem. Ma le cose sono così semplici?

Tiriamo nuovamente in ballo la Forchetta della Fallacia. Se quel ragionamento ad hominem ha una forma deduttiva, allora è ovviamente non valido. Considera questo esempio: “Il ricercatore A è pagato dall’industria farmaceutica; pertanto i suoi studi sono falsati”. Se il “pertanto” è inteso in senso deduttivo, allora si tratta di una argomentazione chiaramente sbagliata. Ma quante volte abbiamo a che fare con situazioni così chiaramente definite?

Allora passiamo al secondo rebbio della Forchetta della Fallacia. Consideriamo questo esempio, più sfumato rispetto allo stesso ragionamento ad hominem: “Il ricercatore A ha pubblicato uno studio riguardante un antidepressivo, ma è pagato dall’industria farmaceutica che produce il farmaco. Pertanto, dovremmo prendere i risultati del suo studio con beneficio di inventario. È meglio se un gruppo di ricerca indipendente replica lo studio”. Ora risulta molto più ragionevole. Il secondo ragionamento è “non-deduttivo” e difendibile, ciò significa che non è definitivo ed è aperto a una revisione. Praticamente tutti i ragionamenti della vita quotidiana sono di questo tipo. Rimane il fatto che questa affermazione ha una struttura ad hominem. Ma dobbiamo davvero scartarla per questa sola ragione?

In realtà non possiamo fare a meno dei ragionamenti ad hominem. La trama della conoscenza umana è, infatti, profondamente sociale. Quasi tutto quello che conosciamo deriva da quello che altre persone ci hanno detto. Solo una piccola parte della nostra conoscenza si basa sulle evidenze che derivano dai nostri sensi. Il resto è, letteralmente, sentito dire. La vita è troppo breve per investigare tutto di persona. Non c’è quindi da stupirsi del fatto che siamo molto attenti alla reputazione e alla credibilità delle nostre fonti (Sperber et al. 2010).

Molti ragionamenti ad hominem, in molti contesti, sono quindi perfettamente affidabili. Molto dipende da fattori che non possono essere inquadrati negli schemi argomentativi della logica formale: ipotesi di carattere psicologico circa l’esistenza di pregiudizi e di bias, i risultati raggiunti nel passato dalle nostre fonti, la rilevanza del background personale in relazione a ciò che viene discusso, la conoscenza circa secondi fini nascosti. Nei tribunali, i ragionamenti ad hominem sono moneta corrente. Esperti e testimoni possono perdere di credibilità ed essere allontanati a causa del fatto che hanno secondi fini, pregiudizi o conflitti di interesse. È ovviamente possibile che anche un testimone con pregiudizi offra una testimonianza onesta. Ma i tribunali non sono scuole di logica.

In The Daemon-Haunted World, Carl Sagan offre un esempio involontario del problema della teoria delle fallacie argomentative. Nel paragrafo sul ragionamento ad hominem - probabilmente nello sforzo di dimostrare le sue buone intenzioni – spiega che anche gli scettici a volte usano il ragionamento ad hominem, come nell’esempio seguente: «Il Reverendo Dr. Smith è notoriamente un fondamentalista cristiano, per cui le sue obiezioni all’evoluzionismo non devono esser prese seriamente in considerazione» (Sagan 1996, 212). L’aneddoto - come avviene di solito in queste trattazioni - è stato creato da Sagan stesso. È solo un argomento fantoccio, nel linguaggio delle fallacie logiche, facile da abbattere.

Ma in realtà, a meno che il ragionamento di Sagan non sia inteso come deduttivo (primo rebbio) non è affatto fallace (secondo rebbio). Se noi sappiamo che il buon reverendo è un Cristiano Evangelico, che interpreta in maniera letterale le Scritture, sicuramente questo contribuirà a formare il nostro giudizio riguardo alle sue critiche alla teoria evoluzionistica. Voglio spingermi ancora oltre: da un punto di vista pragmatico, questo unico elemento è una ragione sufficiente per respingere le sue argomentazioni e non perdere tempo. Sarebbe semplicemente ingenuo pensare che sia necessario vagliare le affermazioni di ogni singolo personaggio eccentrico. In un mondo ideale forse, con un tempo infinito a disposizione, ma non in questo. Per cui, i ragionamenti ad hominem sono indispensabili per continuare a vivere in un mondo sociale.

Ciò non per negare che, stando su un piano logico, anche un creazionista intransigente potrebbe elaborare una buona argomentazione contro l’evoluzionismo. Se uno pensa che gli argomenti del Reverendo debbano essere sbagliati, a causa della sua fede evangelica, sta facendo un errore dal punto di vista della logica deduttiva. Ma siamo onesti: se un Testimone di Geova ti porgesse uno dei loro pamphlet che presentano argomentazioni "scientifiche" contro la teoria di Darwin, li analizzeresti attentamente, per non incappare in un tipico ragionamento ad hominem?

Se adottiamo la deduzione come la base della razionalità, tutta la scienza andrebbe a rotoli. La scienza si basa su fiducia e reputazione, perché l’evidenza empirica dipende dalla testimonianza che ne fanno i ricercatori. I ricercatori devono dichiarare la loro affiliazione, da dove vengono i loro fondi, e i possibili conflitti di interesse e chi imbroglia viene duramente punito. Noi vogliamo sapere chi sono e vogliamo che sappiano che c’è in ballo la loro reputazione. Immaginate se Science o Nature pubblicassero articoli privi di firma degli autori riguardo a una qualche scoperta rivoluzionaria fatta in un laboratorio di cui non viene detto nulla. Saremmo portati a prenderli sul serio?

Intendiamoci, alcuni argomenti ad hominem sono inappropriati e distraggono dalla questione che si sta analizzando. Ma dove possiamo tirare una linea chiara di demarcazione tra quelli adeguati e quelli che non lo sono? Ancora una volta, ciò dipende dal contesto specifico, un elemento che non può essere descritto secondo un qualche schema. Una possibile regola generale è: “Se è possibile analizzare l’argomentazione, lascia perdere chi la propone. Se non è possibile, concentrati su chi la propone”. Ma anche questa regola pragmatica non ti consentirà di andare molto oltre. Non c’è nessuna formula per distinguere i buoni argomenti ad hominem da quelli che non lo sono.
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Fallacie a volontà


La tesi principale di questo articolo è che ciascuna delle fallacie che di solito troviamo elencate si scontrano con la Forchetta delle fallacie. Se infatti la fallacia viene definita in maniera chiara e esplicitamente deduttiva, tale definizione ha un valore normativo, ma è difficile trovarne degli esempi nella vita reale; se d’altra parte si usa una definizione più inclusiva, il che la rende più sostenibile e aggiunge degli elementi contestuali, tale definizione descrive però meno chiaramente un errore. Ciò che hai chiamato fallacia, non lo è in effetti più.

Consideriamo brevemente alcuni altri esempi. L’argumentum ad ignorantiam, secondo la visione classica, è fallace sulla base del ben noto principio per il quale “l’assenza di prove non costituisce una prova dell’assenza” relativamente alla verità o alla falsità di qualcosa. Ma in realtà questo è proprio ciò che avviene e le persone ne sono ben consapevoli (Hahn e Oaksford 2007). Ecco un esempio di un argomento basato sull’ignoranza che è del tutto adeguato e che viene usato anche dagli scettici “I ricordi repressi circa riti satanici nei quali vengono sacrificati dei bambini sono probabilmente falsi e dovuti a suggestione dato che non state mai trovate delle prove materiali di tali atrocità”. Questo argomento è accettabile, come dimostriamo nell’articolo, perché si basa su premesse implicite che sono giustificabili da un punto di vista probabilistico (in particolare per quanto riguarda la probabilità di trovare tali prove se si assume che tali culti esistano).

La cosiddetta fallacia genetica è relativamente nuova, in quanto è stata identificata solo circa un secolo fa. Consiste nel giudicare (negativamente) X sulla base della sua origine. È un parente stretto del ragionamento ad hominem. In realtà, ancora una volta, molti argomenti di questo genere non sono affatto fallaci. Per esempio, se è possibile identificare le basi neurologiche delle esperienze extra-corporee o addirittura indurre tali esperienze in laboratorio, ciò fa sì che le spiegazioni soprannaturali di tali fenomeni siano meno probabili. In ottica deduttiva questo ragionamento è fallace, ma in ottica probabilistica ha un forte valore probatorio. Se qualcuno lo liquida come una fallacia genetica, come fanno spesso sia gli spiritisti che i parapsicologi, vuol dire che non ne coglie il valore. Nel romanzo Catch 22 (nella traduzione italiana Comma 22) di Joseph Heller, il protagonista Yossarian presenta il seguente argomento: «Il fatto che tu sia paranoico non significa che non ti stiano dando la caccia». Da un punto di vista deduttivo Yossarian ha ragione. Ma la sua affermazione è divertente proprio perché, pur seguendo la logica deduttiva, è assurdo. Se uno psichiatra vi dice che un vostro amico è affetto da psicosi paranoide non prenderete l’amico sul serio se vi dirà che è perseguitato dalla CIA (anche se questo è possibile, da un punto di vista logico!).

L’affermazione del conseguente viene classicamente descritta così: “Se A allora B. Siccome B, allora A”. Ancora una volta, questo ragionamento non è valido da un punto di vista deduttivo, ma molte argomentazioni che lo utilizzano hanno un forte valore probabilistico e ciò varia a seconda delle circostanze. Tali argomentazioni sono conosciute come inferenze alla miglior spiegazione. Per esempio “La mia macchina si mette in moto se qualcuno gira la chiave di accensione. Sento che la mia macchina si è messa in moto. Quindi qualcuno deve aver girato la chiave di accensione”. Non valido da un punto di vista logico, ma giustificato da un punto di vista pragmatico date una serie di assunzioni di tipo probabilistico.

Un ultimo esempio. L’argumentum ad verecundiam, cioè l’appello all’autorità, sostiene che la proposizione P è vera perché una qualche autorità X ha affermato che P è vera. Come abbiamo visto prima, molta della nostra conoscenza è basata su testimonianze e perciò si basa su una autorità. Non c’è nulla di male negli argomenti che fanno riferimento alle autorità, una volta che si tengano in mente alcune domande: l’affermazione rientra nel dominio di competenze di X? Ci sono altri esperti che possono essere consultati e se sì, sono d’accordo con X? Quali sono i precedenti di X in relazione ad affermazioni simili? Ironicamente, il problema con gli pseudoscienziati, e con i cospirazionisti in particolare, non è che si appellano troppo all’autorità, ma che lo fanno troppo poco. Sono troppo sospettosi nei confronti delle autorità. Rifiutano immediatamente tutto ciò che proviene da istituzioni accademiche accreditate o da quelli che chiamano i media dominanti. Infatti l’etichetta di “appello all’autorità” è la scusa comoda che usano per respingere ogni tipo di esperto rispettabile.

Tigri di carta


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Le fallacie pure sono esemplari rari. Si trovano nei libri di logica, ma raramente nella vita reale. Se ci pensate, la cosa ha senso. La funzione del ragionamento, secondo la teoria argomentativa di Hugo Mercier e Dan Sperber (2011) è di convincere altre persone e di essere a nostra volta persuasi da loro. Ma gli argomenti che sono troppo scopertamente fallaci non possono adempiere a questa funzione. La versione deduttiva dell’argomento ad hominem o di quello post hoc propter hoc sono troppo facili da smascherare. Chi vi ascolta si accorge subito dell’errore. Perché perdere tempo utilizzandoli?

La probabilità di trovare queste tigri di carta nella vita reale è bassa. Se credi di averne vista qualcuna, è probabile che tu ti sia perso qualcosa. Forse hai esagerato la forza attribuita ad un argomento vedendo in un argomento induttivo e difendibile un esempio di ragionamento deduttivo, sorvolando su alcune premesse tacite di tipo probabilistico o riducendolo alla sua forma essenziale per poterlo poi contestare facilmente.

In altre parole, forse hai costruito un argomento fantoccio (una presunta fallacia, per la quale non esiste una definizione formale). Per esempio, se foste ingenerosi, potreste indicare il mio ragionamento riguardo ai funghi come fallace fraintendendolo come un esempio di deduzione. Ma io non sto dicendo che i funghi debbano essere i colpevoli in termini di logica deduttiva. Sto solo dicendo che sono la causa più probabile della mia nausea, date le circostanze.

Con ciò non intendo affermare che le persone non utilizzino argomenti sbagliati, ma che quelli superficiali e approssimativi sono molto più comuni delle fallacie evidenti. Le persone spesso sparano a casaccio quando discutono animatamente, presentando argomentazioni deboli e inconcludenti, senza precisare le premesse fondamentali su cui si basano tali argomenti e senza dare chiara struttura e forza ai loro argomenti (Mercier and Sperber 2017). In un contesto cooperativo, chi ascolta deve ricostruire le argomentazioni di chi parla e riempire gli spazi vuoti, preferibilmente con tolleranza. È vero che questo principio di tolleranza può anche esser abusato, per esempio nel caso dell’insinuazione e della negazione plausibile (NdR: quando qualcuno in una posizione di potere nega di essere coinvolto nei misfatti di suoi sottoposti), quando chi parla accenna a un argomento discutibile ma poi si nasconde dietro una cappa di ambiguità. Per esempio, potrei non presentare esplicitamente un ragionamento per screditare qualcuno, ma potrei fare insinuazioni e sperare che chi mi ascolta capisca dove voglio andare a parare (“Tutti sappiamo che X è pagato dall’industria farmaceutica”). A fortiori, una volta che consideri queste ambiguità e la sottile arte dell’inganno, tutte le definizioni formali di fallacia saranno completamente inutili.

Conclusioni


Il linguaggio ci può stregare.

Ma se una parola esiste, noi tendiamo a pensare che ci debba essere qualcosa di reale a cui si riferisce. Le etichette sono fatte per essere attaccate a qualcosa, no?

La tassonomia tradizionale delle fallacie, con le sue pompose definizioni latine, dà l’impressione che abbiamo a che fare con teorie dimostrate al di là di ogni ragionevole dubbio. Un ragionamento ha la struttura X, e segue i passaggi Y e Z? Allora possiamo gridare «Fallacia!».

Sentiamo qualcuno fare deduzioni causali da una successione di eventi? Post hoc ergo propter hoc! Qualcuno fa affidamento a una qualche autorità per sostenere il suo punto di vista? Ad verecundiam! Attacchiamo il giocatore invece che il pallone? Ad hominem!

Arthur Schopenhauer, nel suo libretto sarcastico L’arte di avere ragione (1896), descrive il sogno più grande di tutti i teorici dell’argomentazione: «Sarebbe bello se ogni trucco potesse ricevere un qualche nome breve e appropriato, così che, qualora qualcuno lo usasse, potrebbe essere rimproverato per questo.» Sarebbe effettivamente una cosa splendida! Ahimè, il mondo è lievemente più complesso. Le etichette delle diverse tipologie di fallacie sono un po’ meno utili di quanto si creda per combattere l’irrazionalità. La lista standard, compilata fin dai tempi di Aristotele, è un’arma spuntata nella vita di tutti i giorni. Praticamente ogni definizione di fallacia rientra nella “Forchetta della Fallacia”: individua un argomento non valido che raramente si incontra nella vita reale, o si applica alla vita reale ma finisce per essere un’arma spuntata.

Ma applicando etichette ovunque e gridando all’errore a ogni piè sospinto, chi difende la scienza e la ragione può finire con il danneggiare la sua stessa causa. Le persone possono iniziare a provare simpatia per i bersagli di questo rifiuto immotivato e finire con il trovarli attraenti. La condiscendenza degli scettici è comprensibile. Considerando che dottrine come l’omeopatia e l’astrologia sono state confutate così tante volte in così tante maniere, e che è così improbabile che chi le difende possa ribaltare le sorti di questa partita, gli scettici sono tentati di essere pigri e soddisfatti di sé. Se hai la ragione dalla tua parte, perché no?

Ma sarebbe un peccato. Anche le cattive idee non si meritano brutte critiche. È tempo per gli scettici e gli altri esperti di fallacie di disfarsi delle fallacie.

Riferimenti bibliografici

  • Boudry, Maarten, Fabio Paglieri, and Massimo Pigliucci. 2015. “The fake, the flimsy, and the fallacious: Demarcating arguments in real life”. Argumentation 29(4): 431—456.
  • Hahn, Ulrike, and Mike Oaksford. 2007. “The rationality of informal argumentation: A Bayesian approach to reasoning fallacies”. Psychological Review 114(3): 704—732.
  • Mercier, Hugo, and Dan Sperber. 2011. “Why do humans reason? Arguments for an argumentative theory”. Behavioral and Brain Sciences 34(2): 57—74.
  • Mercier, Hugo, and Dan Sperber. 2017. The Enigma of Reason. Cambridge, MA: Harvard University Press.
  • Pinto, Robert C. 1995. “Post hoc ergo propter hoc”. In Fallacies: Classical and Contemporary Readings, edited by Hans V. Hansen and Robert C. Pinto, 302—311. Pennsylvania: The Pennsylvania State University Press.
  • Sagan, C. 1996. The Demon-Haunted World. Science as a Candle in the Dark. New York: Random House.
  • Schopenhauer, A. 1896. The Art of Being Right (Die Kunst, Recht zu behalten). Disponibile online: https://bit.ly/2rNc4ch.
  • Sperber, Dan, F. Clement, C. Heintz, et al. 2010. “Epistemic vigilance”. Mind & Language 25(4): 359—393.
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