Quali caratteristiche hanno le funzioni cognitive di coloro che aderiscono a credenze sul paranormale? Si tratta di una questione su cui stati pubblicati centinaia di lavori scientifici, ma finora esisteva un unico lavoro di revisione sistematica, dovuto a Harvey J. Irwin, peraltro ormai obsoleto (risale al 1993). Irwin lavorò nel quadro dell’idea del deficit cognitivo, cioè, l’ipotesi che chi crede nel paranormale sia “carente” di qualcosa, dall’intelligenza, al pensiero critico, al pensiero analitico, e così via, ma i suoi risultati furono talmente variabili da lasciare lui stesso assai incerto. Un gruppo di psicologi ha ora delineato in un nuovo lavoro, uscito su PLOS One, il quadro aggiornato del problema[1].
Sulla base di criteri rigorosi gli autori hanno selezionato 71 studi, raggruppati in sei sezioni (bias percettivi e cognitivi; ragionamento; intelligenza, pensiero critico e prestazioni scolastiche; stile di pensiero; funzione esecutive; altre funzioni cognitive). Nell’insieme, è emerso che la maggior parte dei lavori pubblicati ha al centro l’ipotesi del deficit cognitivo, e che due terzi documentano che le credenze nel paranormale sono associate a cattive prestazioni cognitive.
Se si considerano le sei sezioni in cui la revisione ha suddiviso gli ambiti cognitivi, la maggior coerenza nei risultati riguarda l’importanza di uno stile di pensiero intuitivo, contrapposto a quello analitico. Altri risultati degni di nota sono quelli relativi alla bassa capacità dei “credenti” di percepire la casualità degli eventi e la notevole propensione per i bias di conferma e per quelli disconfermativi.
Tuttavia, gli autori invitano alla cautela. I test utilizzati nei lavori per misurare le credenze paranormali (ben 26 diversi!) sono eterogenei, e – soprattutto – anche se è vero che una tendenza verso il deficit cognitivo c’è, questo modello pone parecchi interrogativi. Perché chi crede nel paranormale dovrebbe presentare prestazioni basse in una gamma così ampia e diversificata di funzioni? Di più: i risultati non sono tenuti insieme da nessun quadro teorico.
Nelle parole degli autori della ricerca, «al momento, nessuna area cognitiva suggerisce che per i credenti nel paranormale vi sia uno specifico profilo di deficit». Sullo sfondo, c’è il vasto dibattito sul concetto stesso di deficit cognitivo, un concetto che sovente implica una condizione permanente delle “mancanze” considerate.
Per questo, gli autori suggeriscono che in futuro la ricerca lavori su un modello alternativo che renda conto delle difficoltà emerse, e che hanno chiamato modello fluido-esecutivo. Il primo dei due termini da loro usati (fluido) deriva dal fatto che molti dei compiti in cui i credenti incontrano difficoltà implicano funzioni cognitive esecutive di tipo elevato (per esempio, pianificazione, problem solving, eccetera), cosa che, a sua volta, potrebbe essere legata a un ruolo critico svolto dalla cosiddetta intelligenza fluida, un concetto introdotto nel 1966 da R. Cattell e J. Horn e che riguarda la possibilità di affrontare i problemi in modo nuovo e adattativo.
Il secondo termine (esecutivo), fa entrare in gioco le neuroscienze. La vasta gamma di deficit che presentano i credenti si sovrapporrebbe bene alle funzioni svolte dal sistema multiple-demand (MD) che ha sede nelle regioni frontali-parietali della corteccia cerebrale. È proprio a quel sistema neurofisiologico, a sua volta connesso all’intelligenza fluida, che potrebbero essere asservite le funzioni cognitive più coinvolte nelle credenze paranormali.
Sulla base di criteri rigorosi gli autori hanno selezionato 71 studi, raggruppati in sei sezioni (bias percettivi e cognitivi; ragionamento; intelligenza, pensiero critico e prestazioni scolastiche; stile di pensiero; funzione esecutive; altre funzioni cognitive). Nell’insieme, è emerso che la maggior parte dei lavori pubblicati ha al centro l’ipotesi del deficit cognitivo, e che due terzi documentano che le credenze nel paranormale sono associate a cattive prestazioni cognitive.
Se si considerano le sei sezioni in cui la revisione ha suddiviso gli ambiti cognitivi, la maggior coerenza nei risultati riguarda l’importanza di uno stile di pensiero intuitivo, contrapposto a quello analitico. Altri risultati degni di nota sono quelli relativi alla bassa capacità dei “credenti” di percepire la casualità degli eventi e la notevole propensione per i bias di conferma e per quelli disconfermativi.
Tuttavia, gli autori invitano alla cautela. I test utilizzati nei lavori per misurare le credenze paranormali (ben 26 diversi!) sono eterogenei, e – soprattutto – anche se è vero che una tendenza verso il deficit cognitivo c’è, questo modello pone parecchi interrogativi. Perché chi crede nel paranormale dovrebbe presentare prestazioni basse in una gamma così ampia e diversificata di funzioni? Di più: i risultati non sono tenuti insieme da nessun quadro teorico.
Nelle parole degli autori della ricerca, «al momento, nessuna area cognitiva suggerisce che per i credenti nel paranormale vi sia uno specifico profilo di deficit». Sullo sfondo, c’è il vasto dibattito sul concetto stesso di deficit cognitivo, un concetto che sovente implica una condizione permanente delle “mancanze” considerate.
Per questo, gli autori suggeriscono che in futuro la ricerca lavori su un modello alternativo che renda conto delle difficoltà emerse, e che hanno chiamato modello fluido-esecutivo. Il primo dei due termini da loro usati (fluido) deriva dal fatto che molti dei compiti in cui i credenti incontrano difficoltà implicano funzioni cognitive esecutive di tipo elevato (per esempio, pianificazione, problem solving, eccetera), cosa che, a sua volta, potrebbe essere legata a un ruolo critico svolto dalla cosiddetta intelligenza fluida, un concetto introdotto nel 1966 da R. Cattell e J. Horn e che riguarda la possibilità di affrontare i problemi in modo nuovo e adattativo.
Il secondo termine (esecutivo), fa entrare in gioco le neuroscienze. La vasta gamma di deficit che presentano i credenti si sovrapporrebbe bene alle funzioni svolte dal sistema multiple-demand (MD) che ha sede nelle regioni frontali-parietali della corteccia cerebrale. È proprio a quel sistema neurofisiologico, a sua volta connesso all’intelligenza fluida, che potrebbero essere asservite le funzioni cognitive più coinvolte nelle credenze paranormali.
Note
1) Dean, Charlotte et al. 2002. “Paranormal beliefs and cognitive function: A systematic review and assessment of study quality across four decades of research”, PLOS One. https://tinyurl.com/ywc6hw9d .