L'estate 2023 ha visto apparire sui media di tutto il mondo la vicenda paradossale e imbarazzante delle “mummie aliene” scoperte in Perù e presentate al parlamento messicano da Jaime Maussan, un personaggio noto nel mondo dell’ufologia latino-americana. Malgrado la sua natura estrema, l’impatto culturale di storie come questa non va sottovalutato: la loro visibilità è altissima, e la loro influenza è innegabile. Per chi ha un approccio critico alla realtà è quindi utile sapere qualcosa della lunga storia del mito degli alieni morti sul nostro pianeta e della sorte dei loro corpi.
È il 17 giugno 1864. A Parigi, il quotidiano Le Pays dà una notizia eccezionale. Negli Stati Uniti, sulle Montagne Rocciose, due geologi hanno trovato una grande roccia a forma di uovo che cela delle cavità. In una di esse ci sono anfore metalliche con incisi dei geroglifici; in un’altra, c’è un essere mummificato: un omino alto 80 centimetri con naso a trombetta e privo di peluria. Alcuni disegni sulle anfore permettono di capire che è giunto da Marte in un tempo remotissimo!
Questo racconto è il capostipite del mito moderno del ritrovamento dei corpi di abitanti di altri mondi. Proprio come le “mummie peruviane” del 2023, la scoperta non avviene fra i rottami di un’astronave ma nel ventre della Terra, in un simulacro di tomba. Così, il corpo dell’alieno fa il suo esordio nell’immaginario occidentale non come dominatore dello spazio grazie a qualche velivolo fantastico, ma come testimone destinato a rivoluzionare il passato – un passato che, forse, ci costringerà a rifare i conti con l’intera cronologia della nostra specie e delle civiltà.
Questa linea diverrà più chiara pochi anni dopo, quando in America Latina sorgerà una vera e propria passione per questi racconti. Il 13 ottobre 1877, a Rosario (Argentina), il quotidiano La Capital sposta la storia del marziano dal meteorite al fiume Carcarañá, e annuncia che corpo e manufatti sono in mostra in un ristorante locale; nel luglio dell’anno successivo il South Pacific Times, giornale in inglese di Callao (Perù) pubblica la storia di un chimico che ha trovato un marziano dentro un meteorite: lo sa perché il piatto d’argento scoperto insieme al corpo reca iscrizioni che, decifrate, risultano scritte in marziano.
Per morire fra i rottami delle loro macchine volanti gli extraterrestri però dovranno aspettare. Succederà fra il novembre 1896 e il maggio 1897, quando una serie di avvistamenti di “macchine volanti” e dirigibili misteriosi travolgerà gli Stati Uniti. La mania ebbe al centro l’idea dell’inventore solitario che aveva risolto il problema del volo dei mezzi più pesanti dell’aria, ma una minoranza di storie interpretò quei racconti come visite marziane alla Terra. Fu allora che comparvero i primi resoconti di ritrovamenti di cadaveri tra i resti di navi interplanetarie. Il più famoso è quello del pilota morto, e sepolto con regolare funerale, ad Aurora (Texas) nell’aprile 1897, ma ce ne sono di ancora più surreali. Nello stesso mese, un giornale raccontò che un dirigibile era caduto a Champaign (Illinois): dentro, i cadaveri di tre uomini “somiglianti a giapponesi”. Il 2 maggio, l’Houston Daily Post scrisse che 35 anni prima una nave era naufragata nell’Oceano Indiano, e che i superstiti si erano salvati mangiando i cibi super nutrienti di… una nave aerea proveniente da un altro mondo, al cui interno c’erano i cadaveri di giganti barbuti alti tre metri e mezzo! L’immaginario oscillava quindi tra i miti antichi (il gigantismo), il dibattito sulla natura dei fossili legato all’evoluzionismo (i marziani nelle meteoriti) e l’esotismo (i “giapponesi” nel dirigibile), ma l’era dei dischi volanti era alle porte.
I dischi volanti apparvero negli Stati Uniti nell'estate 1947. Le storie furono migliaia, ma all’inizio non c'erano piloti morti; il disco volante era pensato come un missile o comunque un velivolo automatico senza equipaggio.
Fra gli storici dell’ufologia c’è un ampio consenso su come comparve il motivo narrativo del disco volante caduto e dei cadaveri marziani recuperati. Fu nell’estate del 1949, quando Silas Newton e Leo GeBauer, due maneggioni che cercavano di fare affari nell’ambiente del cinema, fecero girare la voce che l’anno prima nel New Mexico era caduta un’astronave con dentro i nanetti morti che la pilotavano: presto sarebbe stato prodotto un film che avrebbe rivelato come stavano le cose! Newton e GeBauer finirono nei guai con la legge a causa di altre truffe, ma ormai la storia aveva preso a circolare. Si diffuse nell’ovest degli Stati Uniti e, da lì, per motivi di prossimità culturale e geografica, in varie parti dell’America Latina.
È poco noto che la nascita del mito ebbe un contributo italiano. Uno dei primi racconti sui marziani morti giunse infatti dallo scenografo e costumista Piero Zuffi (1919-2006), che da giovane aveva vissuto in Perù. Nel giugno del 1950, Zuffi raccontò che tempo prima, mentre era impegnato con alcuni archeologi a recuperare reperti non lontano da Cuzco, aveva visto un disco volante precipitare su una montagna mentre veniva inseguito da aerei militari peruviani. Seppe poi da uno dei piloti militari, incontrato per caso in un museo (!), che si trattava di un’astronave in cui erano morti degli alieni dotati di quattro mani e due piedi, con la testa a birillo e grandi occhi luminosi! Inoltre, avevano il cervello piccolo, ma capacità telepatiche e vista agli infrarossi. Zuffi, che mostrava anche analisi fatte in Perù sui metalli del disco, aveva un frammento dell’astronave donatogli dall’ufficiale e annunciava un libro sull’argomento, metà romanzo e metà verità.
I marziani periti sulle Ande fanno il paio con un’altra storia sudamericana dell’epoca, anch’essa legata a un italiano. Uscì a Caracas su El Universal, il 14 maggio 1955: un ingegnere di origini nostrane, Enrique Carotenuto Bossa, cinque anni prima aveva visto nella pampa argentina un’astronave precipitata con quattro piccoli piloti morti ancora ai comandi! Spaventato, era corso via, ma il giorno dopo, tornato sul posto con due amici, aveva scoperto che il velivolo era ridotto in cenere, e con esso i cadaveri. In cielo però erano apparse altre quattro astronavi, due a forma di disco e due di sigaro, probabilmente incaricate di impedire il recupero dei caduti e della nave spaziale. Bossa raccontò di averle anche fotografate, ma anche questa storia finì nel nulla e delle foto e del narratore non si è più saputo niente.
In realtà, italiani a parte, il Sud America era stato ancora più precoce nelle storie di cadaveri alieni. Una delle prime era apparsa il 12 febbraio 1950 su La Hora di Quito, capitale dell’Ecuador, ma la vicenda era stata collocata a Laredo, in Texas. Un piccolo disco volante era caduto presso l’aeroporto. Al pilota, gravemente ferito, era stato dato dell’ossigeno. Quello di colpo si era ripreso, aveva aggredito un soldato, ma, dopo un altro collasso e un’altra scazzottata, era morto. Malgrado fosse piccolino, pesava 135 chili!
Fu però dal Messico che, poco dopo, agli inizi di marzo 1950, iniziò una vera pioggia di storie di ET morti in maniera più o meno violenta. Il 9 marzo, per esempio, l’Herald Express di Los Angeles pubblicò un’intervista con Ray L. Dimmick, un uomo d’affari che lavorava a Città del Messico. Disse dapprima di aver visto un disco caduto tre mesi prima su una montagna a est della città, poi si corresse: ne aveva visto solo i rottami, ma aveva saputo da testimoni che era stato ritrovato un nano alto 58 centimetri. Poi erano arrivati i militari statunitensi, che lo avevano sottratto ai messicani, studiato in mille modi e imbalsamato.
Ricomparve, aggiornato, anche il motivo della scoperta degli scritti dei marziani morti. Il 18 marzo, sempre nella capitale messicana, dentro un grande oggetto volante precipitato, sarebbe stata ritrovata presso il corpo di un marzianino una capsula con un lungo foglio in una scrittura sconosciuta. Si pensava fosse un messaggio inviato alla Terra, ma il dilemma era se recasse un annuncio di pace o un presagio di guerra.
In questa fase le linee narrative principali erano tre: l’incertezza del governo sull’opportunità di rivelare al mondo che il recupero dei piloti dei dischi era stata la chiave per capirne l’origine aliena; la molteplicità di racconti su nani dalla natura ambigua, ma potenzialmente violenta; la presenza di storie in cui il corpo dell’alieno viene sottratto dai militari, interlocutori privilegiati dei viaggiatori degli altri mondi.
Non è comunque un caso che nel film La cosa da un altro mondo, diretto nel 1951 da Christian Nyby, un’astronave che precipita tra i ghiacci dell’Artico contenga il corpo di un extraterrestre in apparenza defunto e congelato, che, però non è morto affatto. Si risveglierà e ingaggerà una lotta tremenda all’interno della base statunitense in cui è stato portato: è assetato di ciò che lo tiene in vita, cioè il plasma umano. Così, il cadavere dell’alieno non-morto si imparenta alla tradizione europea dei vampiri.
In questa versione del mito, probabilmente sorta dall’incontro fra le culture del sud ovest degli Stati Uniti e quelle di alcuni paesi dell’America Latina, l’alieno non è dunque disposto a morire completamente e a giacere su un tavolo anatomico o in un refrigeratore: vuole vivere ancora e creare dei bei grattacapi. In un altro incredibile polpettone cinematografico USA del 1968, La cortina di bambù, contadini cinesi bruceranno i corpi di due presunti alieni trovati fra i rottami di un disco volante. Solo dopo, alcuni militari statunitensi scopriranno che si trattava di piloti cinesi particolarmente bassi – una variante davvero bizzarra del recupero dei cadaveri alieni!
Sfatiamo un luogo comune. Anche chi non s’interessa di UFO conosce la storia di Roswell, la cittadina del New Mexico dove ai primi di luglio del 1947 sarebbe caduto un disco volante da cui sarebbero stati recuperati degli alieni defunti. Ebbene, nella storia originale di Roswell, i cadaveri non ci sono, ma c'è soltanto il ritrovamento dei resti del disco volante.
Sappiamo con un buon grado di fiducia che la storia nacque a causa di un cortocircuito informativo dell’unità dell’aviazione USA che aveva trovato quei resti, che verosimilmente appartenevano a un pallone stratosferico top secret. La storia di Roswell rimase sottotraccia per trent’anni, cioè sino a quando, nel 1979, due ufologi, Stanton Friedman e William Moore, si convinsero, in base al ricordo di uno dei militari che aveva partecipato al recupero dei resti, che a essere caduto non era un pallone, ma un’astronave. Intanto, un altro veterano dell’ufologia, Leonard Stringfield, aveva cominciato a compilare un vero e proprio catalogo delle voci su presunti ritrovamenti di UFO caduti e di cadaveri.
Gli anni '80 furono determinanti per la formazione di questo folklore. Nel 1989, un presunto testimone dell’episodio di Roswell non solo raccontò che fra i rottami erano stati trovati dei corpi, ma introdusse un altro motivo che negli anni seguenti dispiegherà tutto il suo potenziale: l’autopsia sui corpi degli alieni, con annesse storie sulla loro bizzarra fisiologia (quella dei cosiddetti “grigi”, che si affermano sempre di più tra gli appassionati) e le motivazioni dei loro viaggi interstellari.
L’interesse spasmodico degli ufologi degli anni '80-’90 per queste storie fu determinante per arrivare al quadro attuale, quello del trionfo del complottismo. Fu proprio nella comunità ufologica infatti che nel 1984 comparvero falsi documenti attribuiti al governo statunitense relativi a un presunto gruppo segretissimo, il “Majestic-12”, formato nel 1947 dal presidente Truman per studiare cadaveri alieni e relative astronavi subito dopo il mitico evento di Roswell. L’FBI concluse rapidamente che i documenti sul “Majestic-12” erano dei falsi, ma ormai la smania di molti ufologi aveva preso a dare i suoi frutti. Nel 1989 un piccolo imprenditore, Bob Lazar, si inventò di essere un fisico e di aver lavorato in un’area segreta fra le più sacre dell’ufologia, la cosiddetta Area 51, in Nevada, dove non solo si studiavano cadaveri e UFO, ma anche il sistema di propulsione delle astronavi aliene. Ecco la spiegazione dei rapimenti di esseri umani a bordo degli UFO! Il governo di Washington e gli alieni hanno stretto un patto scellerato: in cambio dei nostri corpi da studiare, gli ET ci permettono di accedere alle loro tecnologie.
La storia di Lazar è fondamentale: è una delle vie attraverso cui l’ufologia è diventata in larga parte una religione apocalittica secondo cui i governi sono composti da malvagi satanisti, e si è trasformata in un groviglio di fantasie promosse da fondamentalisti protestanti e da ambienti della destra radicale USA.
Il famoso falso filmato dell’autopsia dell’alieno di Roswell, comparso nel 1994-95, fu il primo vero esito commerciale della rinascita della storia di Roswell. Promosso in particolare in Italia, però, non rimase senza oppositori proprio in ambito ufologico; il Centro Italiano Studi Ufologici (CISU) fin dall’inizio assunse su quella sciocchezza una linea che non lasciava adito a fraintendimenti. Non tutti gli ufologi sono uguali.
Una delle caratteristiche della fase recente della storia del mito UFO è la sua crescente diffusione negli ambienti politici e militari degli Stati Uniti. Militari che in certi casi avevano avuto incarichi di rilievo si sono trasformati in testimonial d’eccellenza di quel genere di racconti. In questo senso, la vicenda di riferimento è quella dell’ex tenente colonnello Philip J. Corso (1915-1998).
Corso non era un personaggio di secondo piano. Ebbe importanti incarichi di intelligence durante la guerra di Corea; nel 1961, fu per due anni a capo del Settore tecnologie estere del comando R&S del Pentagono. Poi lasciò le forze armate, e nel 1997 pubblicò The Day After Roswell, un libro nel quale sosteneva che a Roswell nel 1947 erano davvero morti degli alieni, ma che, oltre ai cadaveri, i resti dell’UFO contenevano una miriade di tecnologie avanzate. Corso sarebbe stato assegnato a un programma di retroingegneria destinato a distribuire quelle tecnologie alle industrie di vari paesi. L’ex ufficiale non aveva problemi a sostenere che circuiti integrati e fibre ottiche ci erano arrivati dagli alieni, ma si spingeva oltre: raccontava che c’era stata una guerra contro gli extraterrestri, che era stata vinta dagli esseri umani grazie alla Strategic Defense Initiative - più nota come “scudo spaziale” o programma “guerre stellari” - promossa dal presidente Reagan nel 1983 per studiare una rete spaziale di difesa antimissile che non fu mai realizzata.
Corso morì un anno dopo l’uscita del libro e non si è mai capito cosa l'abbia spinto a firmare quella storia. Certo è che con lui la figura del grande rivelatore di storie di alieni morti sulla Terra prese a brillare nel cosmo ufologico. Testimoni casuali e pseudo documenti sbiaditi adesso non bastano più; in primo piano ci sono personaggi di rilievo che diventano parte centrale della collaborazione fra media e ufologi. Oggi questa partnership occupa gran parte dell’immaginario ufologico mondiale.
Uno degli ultimi arrivati della “linea Corso”, è David C. Grusch, un ex ufficiale dell'aviazione militare USA che ha lavorato per varie agenzie di intelligence statunitensi. Dal giugno 2023, anche stavolta grazie a giornalisti e ufologi (fra tutti, Leslie Kean, una delle sostenitrici più fervide di ogni mito cospiratorio sugli UFO e di molte altre credenze) e poi in un’audizione al Congresso, Grusch ha sostenuto davvero di tutto. Quasi sempre afferma di aver parlato con ufficiali vari che gli hanno detto che il governo ha un programma segreto per il recupero degli UFO e che detiene una serie di “resti biologici” di alieni; ma più che offrire varianti nuove del mito, spesso Grusch sembra rielaborare motivi narrativi già diffusi. Semmai, testimoniando davanti alla Camera ha contribuito in maniera decisiva a mettere in luce un aspetto importante delle storie degli alieni caduti: gli UFO precipitano con preoccupante frequenza e altrettanto sovente i governi fanno incetta di quanto rimane dei loro equipaggi. Il mito oggi non si struttura più intorno a un unico, preteso evento decisivo (Roswell, magari), ma intorno all’idea di una presenza costante sulla Terra dei corpi degli alieni, ognuno con una sua morfologia, una sua provenienza e una sua sorte diversa.
Nella passione esagerata per gli alieni morti ci sono aspetti preoccupanti. Ufologi e stampa sensazionalistica hanno trasformato questo folklore in storie redditizie destinate a un pubblico globale, ma per gli ufologi oggi questi racconti costituiscono elementi centrali della loro neo-religione. Il recupero dei corpi di esseri superiori è un evento trasformativo per l’intera vicenda umana, e il “dopo Roswell” è una fase nuova della storia della nostra specie, al cui confronto qualsiasi evento storico sbiadisce. Per sostenere queste fantasie, ufologi e media a loro connessi in alcuni casi compiono un vero parassitaggio della ricerca storica. Ne succhiano la sostanza, violentandola e trasformandola in un fantoccio.
Due esempi: nel 2021, l’ufologo Jacques Vallee e la giornalista Paola Harris, già autrice di parecchi “scoop” sugli UFO, hanno pubblicato Trinity: the Best Kept Secret, libro secondo il quale nel 1945 un UFO con relativi alieni sarebbe precipitato vicino a White Sands, dove poco tempo dopo sarebbe esplosa la prima bomba atomica sperimentale. Ebbene, quest’anno, con il successo del biopic su Oppenheimer, la Harris ha cominciato a promuovere una versione della storia secondo cui il “padre dell’atomica” sarebbe stato in qualche misura al corrente della vicenda dell'UFO precipitato. In Perù, invece, grazie alle “mummie aliene” citate all’inizio, è emersa una vera e propria mini industria di ritrovamenti di presunti resti di entità anomale, spesso legati in modo fantasioso alle culture precolombiane: una tradizione non nuova, ma oggi potenziata dal boom mediatico innescato da Jaime Maussan.
Questo articolo è solo uno sguardo veloce alla storia del corpo dell’alieno. Sono state delineate alcune varianti della storia, nelle quali i corpi degli alieni fanno una fine diversa a seconda dei casi. Soprattutto, si è provato a far vedere come l’introduzione dei cadaveri degli extraterrestri nella mitologia UFO sia stata fondamentale sia per il suo successo iniziale sia per la sua evoluzione. Il “disco volante”, la supermacchina, non bastava da sola a far sopravvivere a lungo il mito. Occorreva che gli UFO mostrassero dei piloti ai comandi, degli equipaggi, delle entità responsabili della loro creazione. Esseri che finiscono per morire in maniera più o meno tragica nel nostro mondo, e i cui corpi, come abbiamo visto, possono avere destini differenti, generando un’incredibile gamma di racconti e di “testimonianze”.
Lo "scheletro di Atacama" - anche noto come Ata - fu trovato nel 2003 da un "cacciatore di tesori" che stava cercando oggetti di valore nei pressi di una chiesa abbandonata a La Noria, in Cile. Lungo poco più di 15 centimetri, era avvolto in un panno e presentava un cranio più grande del normale, con un'evidente protuberanza, e altre anomalie del sistema scheletrico. I resti vennero venduti a un collezionista e del caso si interessò la Aion, un'associazione cilena di ufologia; da allora Ata è comparso in show televisivi e riviste, spesso presentato come un genuino cadavere alieno. Analisi effettuate nel 2018 dal genetista Garry P. Nolan (Stanford University) hanno però confermato che si tratta di un essere umano: probabilmente un feto abortito affetto da oxicefalia, una deformità del cranio. È inoltre molto meno antico di quanto si era pensato inizialmente: datato intorno al 1970, presenta un DNA mitocondriale compatibile con le popolazioni indigene della zona. (Sofia Lincos)
La fama del teschio di "Starchild" è dovuta allo scrittore statunitense Lloyd Pye, che ne entrò in possesso nel 1999; secondo la sua ricostruzione, venne trovato intorno al 1930 da una ragazzina che stava giocando in una miniera abbandonata a circa 160 chilometri dalla città di Chihuahua, in Messico, e poi affidato a una coppia di El Paso (Texas), Ray e Melanie Young. Il cranio apparteneva probabilmente a un bambino di 4-5 anni, di sesso maschile, trovato vicino allo scheletro di una donna. Da un test al radiocarbonio effettuato nel 2000, sembra che sia vissuto circa 900 anni fa. Come Ata, Starchild presenta diverse deformità: un volume cerebrale di 1600 centimetri cubi (superiori a quelli di un uomo adulto medio), un'attaccatura del collo in posizione anomala, orbite ovali e cavità oculari meno profonde rispetto alla norma. Sulla base di queste differenze, Pye ipotizzò che il bambino fosse un ibrido umano-alieno, figlio di una donna terrestre e di un extraterrestre "grigio". L'esame del DNA in realtà ha evidenziato la presenza di cromosomi X e Y, come quelli di un normale bambino terrestre. Secondo il neurologo Steven Novella (Yale University Medical School), Starchild potrebbe essere stato affetto da un idrocefalo non curato, che avrebbe portato col tempo a uno sviluppo anomalo del cranio.
(Sofia Lincos)
Prima dei “dischi volanti”: mummie, fossili, dirigibili
È il 17 giugno 1864. A Parigi, il quotidiano Le Pays dà una notizia eccezionale. Negli Stati Uniti, sulle Montagne Rocciose, due geologi hanno trovato una grande roccia a forma di uovo che cela delle cavità. In una di esse ci sono anfore metalliche con incisi dei geroglifici; in un’altra, c’è un essere mummificato: un omino alto 80 centimetri con naso a trombetta e privo di peluria. Alcuni disegni sulle anfore permettono di capire che è giunto da Marte in un tempo remotissimo!
Un’immagine del “cadavere alieno” presentato al parlamento messicano © dal web/Canal del Congreso México
Questa linea diverrà più chiara pochi anni dopo, quando in America Latina sorgerà una vera e propria passione per questi racconti. Il 13 ottobre 1877, a Rosario (Argentina), il quotidiano La Capital sposta la storia del marziano dal meteorite al fiume Carcarañá, e annuncia che corpo e manufatti sono in mostra in un ristorante locale; nel luglio dell’anno successivo il South Pacific Times, giornale in inglese di Callao (Perù) pubblica la storia di un chimico che ha trovato un marziano dentro un meteorite: lo sa perché il piatto d’argento scoperto insieme al corpo reca iscrizioni che, decifrate, risultano scritte in marziano.
Per morire fra i rottami delle loro macchine volanti gli extraterrestri però dovranno aspettare. Succederà fra il novembre 1896 e il maggio 1897, quando una serie di avvistamenti di “macchine volanti” e dirigibili misteriosi travolgerà gli Stati Uniti. La mania ebbe al centro l’idea dell’inventore solitario che aveva risolto il problema del volo dei mezzi più pesanti dell’aria, ma una minoranza di storie interpretò quei racconti come visite marziane alla Terra. Fu allora che comparvero i primi resoconti di ritrovamenti di cadaveri tra i resti di navi interplanetarie. Il più famoso è quello del pilota morto, e sepolto con regolare funerale, ad Aurora (Texas) nell’aprile 1897, ma ce ne sono di ancora più surreali. Nello stesso mese, un giornale raccontò che un dirigibile era caduto a Champaign (Illinois): dentro, i cadaveri di tre uomini “somiglianti a giapponesi”. Il 2 maggio, l’Houston Daily Post scrisse che 35 anni prima una nave era naufragata nell’Oceano Indiano, e che i superstiti si erano salvati mangiando i cibi super nutrienti di… una nave aerea proveniente da un altro mondo, al cui interno c’erano i cadaveri di giganti barbuti alti tre metri e mezzo! L’immaginario oscillava quindi tra i miti antichi (il gigantismo), il dibattito sulla natura dei fossili legato all’evoluzionismo (i marziani nelle meteoriti) e l’esotismo (i “giapponesi” nel dirigibile), ma l’era dei dischi volanti era alle porte.
Dischi volanti con morto incluso
I dischi volanti apparvero negli Stati Uniti nell'estate 1947. Le storie furono migliaia, ma all’inizio non c'erano piloti morti; il disco volante era pensato come un missile o comunque un velivolo automatico senza equipaggio.
Fra gli storici dell’ufologia c’è un ampio consenso su come comparve il motivo narrativo del disco volante caduto e dei cadaveri marziani recuperati. Fu nell’estate del 1949, quando Silas Newton e Leo GeBauer, due maneggioni che cercavano di fare affari nell’ambiente del cinema, fecero girare la voce che l’anno prima nel New Mexico era caduta un’astronave con dentro i nanetti morti che la pilotavano: presto sarebbe stato prodotto un film che avrebbe rivelato come stavano le cose! Newton e GeBauer finirono nei guai con la legge a causa di altre truffe, ma ormai la storia aveva preso a circolare. Si diffuse nell’ovest degli Stati Uniti e, da lì, per motivi di prossimità culturale e geografica, in varie parti dell’America Latina.
È poco noto che la nascita del mito ebbe un contributo italiano. Uno dei primi racconti sui marziani morti giunse infatti dallo scenografo e costumista Piero Zuffi (1919-2006), che da giovane aveva vissuto in Perù. Nel giugno del 1950, Zuffi raccontò che tempo prima, mentre era impegnato con alcuni archeologi a recuperare reperti non lontano da Cuzco, aveva visto un disco volante precipitare su una montagna mentre veniva inseguito da aerei militari peruviani. Seppe poi da uno dei piloti militari, incontrato per caso in un museo (!), che si trattava di un’astronave in cui erano morti degli alieni dotati di quattro mani e due piedi, con la testa a birillo e grandi occhi luminosi! Inoltre, avevano il cervello piccolo, ma capacità telepatiche e vista agli infrarossi. Zuffi, che mostrava anche analisi fatte in Perù sui metalli del disco, aveva un frammento dell’astronave donatogli dall’ufficiale e annunciava un libro sull’argomento, metà romanzo e metà verità.
I marziani periti sulle Ande fanno il paio con un’altra storia sudamericana dell’epoca, anch’essa legata a un italiano. Uscì a Caracas su El Universal, il 14 maggio 1955: un ingegnere di origini nostrane, Enrique Carotenuto Bossa, cinque anni prima aveva visto nella pampa argentina un’astronave precipitata con quattro piccoli piloti morti ancora ai comandi! Spaventato, era corso via, ma il giorno dopo, tornato sul posto con due amici, aveva scoperto che il velivolo era ridotto in cenere, e con esso i cadaveri. In cielo però erano apparse altre quattro astronavi, due a forma di disco e due di sigaro, probabilmente incaricate di impedire il recupero dei caduti e della nave spaziale. Bossa raccontò di averle anche fotografate, ma anche questa storia finì nel nulla e delle foto e del narratore non si è più saputo niente.
In realtà, italiani a parte, il Sud America era stato ancora più precoce nelle storie di cadaveri alieni. Una delle prime era apparsa il 12 febbraio 1950 su La Hora di Quito, capitale dell’Ecuador, ma la vicenda era stata collocata a Laredo, in Texas. Un piccolo disco volante era caduto presso l’aeroporto. Al pilota, gravemente ferito, era stato dato dell’ossigeno. Quello di colpo si era ripreso, aveva aggredito un soldato, ma, dopo un altro collasso e un’altra scazzottata, era morto. Malgrado fosse piccolino, pesava 135 chili!
Fu però dal Messico che, poco dopo, agli inizi di marzo 1950, iniziò una vera pioggia di storie di ET morti in maniera più o meno violenta. Il 9 marzo, per esempio, l’Herald Express di Los Angeles pubblicò un’intervista con Ray L. Dimmick, un uomo d’affari che lavorava a Città del Messico. Disse dapprima di aver visto un disco caduto tre mesi prima su una montagna a est della città, poi si corresse: ne aveva visto solo i rottami, ma aveva saputo da testimoni che era stato ritrovato un nano alto 58 centimetri. Poi erano arrivati i militari statunitensi, che lo avevano sottratto ai messicani, studiato in mille modi e imbalsamato.
Ricomparve, aggiornato, anche il motivo della scoperta degli scritti dei marziani morti. Il 18 marzo, sempre nella capitale messicana, dentro un grande oggetto volante precipitato, sarebbe stata ritrovata presso il corpo di un marzianino una capsula con un lungo foglio in una scrittura sconosciuta. Si pensava fosse un messaggio inviato alla Terra, ma il dilemma era se recasse un annuncio di pace o un presagio di guerra.
In questa fase le linee narrative principali erano tre: l’incertezza del governo sull’opportunità di rivelare al mondo che il recupero dei piloti dei dischi era stata la chiave per capirne l’origine aliena; la molteplicità di racconti su nani dalla natura ambigua, ma potenzialmente violenta; la presenza di storie in cui il corpo dell’alieno viene sottratto dai militari, interlocutori privilegiati dei viaggiatori degli altri mondi.
Non è comunque un caso che nel film La cosa da un altro mondo, diretto nel 1951 da Christian Nyby, un’astronave che precipita tra i ghiacci dell’Artico contenga il corpo di un extraterrestre in apparenza defunto e congelato, che, però non è morto affatto. Si risveglierà e ingaggerà una lotta tremenda all’interno della base statunitense in cui è stato portato: è assetato di ciò che lo tiene in vita, cioè il plasma umano. Così, il cadavere dell’alieno non-morto si imparenta alla tradizione europea dei vampiri.
In questa versione del mito, probabilmente sorta dall’incontro fra le culture del sud ovest degli Stati Uniti e quelle di alcuni paesi dell’America Latina, l’alieno non è dunque disposto a morire completamente e a giacere su un tavolo anatomico o in un refrigeratore: vuole vivere ancora e creare dei bei grattacapi. In un altro incredibile polpettone cinematografico USA del 1968, La cortina di bambù, contadini cinesi bruceranno i corpi di due presunti alieni trovati fra i rottami di un disco volante. Solo dopo, alcuni militari statunitensi scopriranno che si trattava di piloti cinesi particolarmente bassi – una variante davvero bizzarra del recupero dei cadaveri alieni!
Con Roswell, verso il patatrac
Sfatiamo un luogo comune. Anche chi non s’interessa di UFO conosce la storia di Roswell, la cittadina del New Mexico dove ai primi di luglio del 1947 sarebbe caduto un disco volante da cui sarebbero stati recuperati degli alieni defunti. Ebbene, nella storia originale di Roswell, i cadaveri non ci sono, ma c'è soltanto il ritrovamento dei resti del disco volante.
Sappiamo con un buon grado di fiducia che la storia nacque a causa di un cortocircuito informativo dell’unità dell’aviazione USA che aveva trovato quei resti, che verosimilmente appartenevano a un pallone stratosferico top secret. La storia di Roswell rimase sottotraccia per trent’anni, cioè sino a quando, nel 1979, due ufologi, Stanton Friedman e William Moore, si convinsero, in base al ricordo di uno dei militari che aveva partecipato al recupero dei resti, che a essere caduto non era un pallone, ma un’astronave. Intanto, un altro veterano dell’ufologia, Leonard Stringfield, aveva cominciato a compilare un vero e proprio catalogo delle voci su presunti ritrovamenti di UFO caduti e di cadaveri.
Gli anni '80 furono determinanti per la formazione di questo folklore. Nel 1989, un presunto testimone dell’episodio di Roswell non solo raccontò che fra i rottami erano stati trovati dei corpi, ma introdusse un altro motivo che negli anni seguenti dispiegherà tutto il suo potenziale: l’autopsia sui corpi degli alieni, con annesse storie sulla loro bizzarra fisiologia (quella dei cosiddetti “grigi”, che si affermano sempre di più tra gli appassionati) e le motivazioni dei loro viaggi interstellari.
L’interesse spasmodico degli ufologi degli anni '80-’90 per queste storie fu determinante per arrivare al quadro attuale, quello del trionfo del complottismo. Fu proprio nella comunità ufologica infatti che nel 1984 comparvero falsi documenti attribuiti al governo statunitense relativi a un presunto gruppo segretissimo, il “Majestic-12”, formato nel 1947 dal presidente Truman per studiare cadaveri alieni e relative astronavi subito dopo il mitico evento di Roswell. L’FBI concluse rapidamente che i documenti sul “Majestic-12” erano dei falsi, ma ormai la smania di molti ufologi aveva preso a dare i suoi frutti. Nel 1989 un piccolo imprenditore, Bob Lazar, si inventò di essere un fisico e di aver lavorato in un’area segreta fra le più sacre dell’ufologia, la cosiddetta Area 51, in Nevada, dove non solo si studiavano cadaveri e UFO, ma anche il sistema di propulsione delle astronavi aliene. Ecco la spiegazione dei rapimenti di esseri umani a bordo degli UFO! Il governo di Washington e gli alieni hanno stretto un patto scellerato: in cambio dei nostri corpi da studiare, gli ET ci permettono di accedere alle loro tecnologie.
La storia di Lazar è fondamentale: è una delle vie attraverso cui l’ufologia è diventata in larga parte una religione apocalittica secondo cui i governi sono composti da malvagi satanisti, e si è trasformata in un groviglio di fantasie promosse da fondamentalisti protestanti e da ambienti della destra radicale USA.
Il famoso falso filmato dell’autopsia dell’alieno di Roswell, comparso nel 1994-95, fu il primo vero esito commerciale della rinascita della storia di Roswell. Promosso in particolare in Italia, però, non rimase senza oppositori proprio in ambito ufologico; il Centro Italiano Studi Ufologici (CISU) fin dall’inizio assunse su quella sciocchezza una linea che non lasciava adito a fraintendimenti. Non tutti gli ufologi sono uguali.
Grossi calibri per alieni morti
Una delle caratteristiche della fase recente della storia del mito UFO è la sua crescente diffusione negli ambienti politici e militari degli Stati Uniti. Militari che in certi casi avevano avuto incarichi di rilievo si sono trasformati in testimonial d’eccellenza di quel genere di racconti. In questo senso, la vicenda di riferimento è quella dell’ex tenente colonnello Philip J. Corso (1915-1998).
Corso non era un personaggio di secondo piano. Ebbe importanti incarichi di intelligence durante la guerra di Corea; nel 1961, fu per due anni a capo del Settore tecnologie estere del comando R&S del Pentagono. Poi lasciò le forze armate, e nel 1997 pubblicò The Day After Roswell, un libro nel quale sosteneva che a Roswell nel 1947 erano davvero morti degli alieni, ma che, oltre ai cadaveri, i resti dell’UFO contenevano una miriade di tecnologie avanzate. Corso sarebbe stato assegnato a un programma di retroingegneria destinato a distribuire quelle tecnologie alle industrie di vari paesi. L’ex ufficiale non aveva problemi a sostenere che circuiti integrati e fibre ottiche ci erano arrivati dagli alieni, ma si spingeva oltre: raccontava che c’era stata una guerra contro gli extraterrestri, che era stata vinta dagli esseri umani grazie alla Strategic Defense Initiative - più nota come “scudo spaziale” o programma “guerre stellari” - promossa dal presidente Reagan nel 1983 per studiare una rete spaziale di difesa antimissile che non fu mai realizzata.
Corso morì un anno dopo l’uscita del libro e non si è mai capito cosa l'abbia spinto a firmare quella storia. Certo è che con lui la figura del grande rivelatore di storie di alieni morti sulla Terra prese a brillare nel cosmo ufologico. Testimoni casuali e pseudo documenti sbiaditi adesso non bastano più; in primo piano ci sono personaggi di rilievo che diventano parte centrale della collaborazione fra media e ufologi. Oggi questa partnership occupa gran parte dell’immaginario ufologico mondiale.
Uno degli ultimi arrivati della “linea Corso”, è David C. Grusch, un ex ufficiale dell'aviazione militare USA che ha lavorato per varie agenzie di intelligence statunitensi. Dal giugno 2023, anche stavolta grazie a giornalisti e ufologi (fra tutti, Leslie Kean, una delle sostenitrici più fervide di ogni mito cospiratorio sugli UFO e di molte altre credenze) e poi in un’audizione al Congresso, Grusch ha sostenuto davvero di tutto. Quasi sempre afferma di aver parlato con ufficiali vari che gli hanno detto che il governo ha un programma segreto per il recupero degli UFO e che detiene una serie di “resti biologici” di alieni; ma più che offrire varianti nuove del mito, spesso Grusch sembra rielaborare motivi narrativi già diffusi. Semmai, testimoniando davanti alla Camera ha contribuito in maniera decisiva a mettere in luce un aspetto importante delle storie degli alieni caduti: gli UFO precipitano con preoccupante frequenza e altrettanto sovente i governi fanno incetta di quanto rimane dei loro equipaggi. Il mito oggi non si struttura più intorno a un unico, preteso evento decisivo (Roswell, magari), ma intorno all’idea di una presenza costante sulla Terra dei corpi degli alieni, ognuno con una sua morfologia, una sua provenienza e una sua sorte diversa.
Nella passione esagerata per gli alieni morti ci sono aspetti preoccupanti. Ufologi e stampa sensazionalistica hanno trasformato questo folklore in storie redditizie destinate a un pubblico globale, ma per gli ufologi oggi questi racconti costituiscono elementi centrali della loro neo-religione. Il recupero dei corpi di esseri superiori è un evento trasformativo per l’intera vicenda umana, e il “dopo Roswell” è una fase nuova della storia della nostra specie, al cui confronto qualsiasi evento storico sbiadisce. Per sostenere queste fantasie, ufologi e media a loro connessi in alcuni casi compiono un vero parassitaggio della ricerca storica. Ne succhiano la sostanza, violentandola e trasformandola in un fantoccio.
Due esempi: nel 2021, l’ufologo Jacques Vallee e la giornalista Paola Harris, già autrice di parecchi “scoop” sugli UFO, hanno pubblicato Trinity: the Best Kept Secret, libro secondo il quale nel 1945 un UFO con relativi alieni sarebbe precipitato vicino a White Sands, dove poco tempo dopo sarebbe esplosa la prima bomba atomica sperimentale. Ebbene, quest’anno, con il successo del biopic su Oppenheimer, la Harris ha cominciato a promuovere una versione della storia secondo cui il “padre dell’atomica” sarebbe stato in qualche misura al corrente della vicenda dell'UFO precipitato. In Perù, invece, grazie alle “mummie aliene” citate all’inizio, è emersa una vera e propria mini industria di ritrovamenti di presunti resti di entità anomale, spesso legati in modo fantasioso alle culture precolombiane: una tradizione non nuova, ma oggi potenziata dal boom mediatico innescato da Jaime Maussan.
La ricostruzione della “autopsia dell’alieno” nel Museo di Roswell © Jirka Matousek/Wikimedia/CCby2.0
Corpi inquieti
Questo articolo è solo uno sguardo veloce alla storia del corpo dell’alieno. Sono state delineate alcune varianti della storia, nelle quali i corpi degli alieni fanno una fine diversa a seconda dei casi. Soprattutto, si è provato a far vedere come l’introduzione dei cadaveri degli extraterrestri nella mitologia UFO sia stata fondamentale sia per il suo successo iniziale sia per la sua evoluzione. Il “disco volante”, la supermacchina, non bastava da sola a far sopravvivere a lungo il mito. Occorreva che gli UFO mostrassero dei piloti ai comandi, degli equipaggi, delle entità responsabili della loro creazione. Esseri che finiscono per morire in maniera più o meno tragica nel nostro mondo, e i cui corpi, come abbiamo visto, possono avere destini differenti, generando un’incredibile gamma di racconti e di “testimonianze”.
Ata, un alieno dal Cile
Lo "scheletro di Atacama" - anche noto come Ata - fu trovato nel 2003 da un "cacciatore di tesori" che stava cercando oggetti di valore nei pressi di una chiesa abbandonata a La Noria, in Cile. Lungo poco più di 15 centimetri, era avvolto in un panno e presentava un cranio più grande del normale, con un'evidente protuberanza, e altre anomalie del sistema scheletrico. I resti vennero venduti a un collezionista e del caso si interessò la Aion, un'associazione cilena di ufologia; da allora Ata è comparso in show televisivi e riviste, spesso presentato come un genuino cadavere alieno. Analisi effettuate nel 2018 dal genetista Garry P. Nolan (Stanford University) hanno però confermato che si tratta di un essere umano: probabilmente un feto abortito affetto da oxicefalia, una deformità del cranio. È inoltre molto meno antico di quanto si era pensato inizialmente: datato intorno al 1970, presenta un DNA mitocondriale compatibile con le popolazioni indigene della zona. (Sofia Lincos)
Starchild, un essere ibrido?
La fama del teschio di "Starchild" è dovuta allo scrittore statunitense Lloyd Pye, che ne entrò in possesso nel 1999; secondo la sua ricostruzione, venne trovato intorno al 1930 da una ragazzina che stava giocando in una miniera abbandonata a circa 160 chilometri dalla città di Chihuahua, in Messico, e poi affidato a una coppia di El Paso (Texas), Ray e Melanie Young. Il cranio apparteneva probabilmente a un bambino di 4-5 anni, di sesso maschile, trovato vicino allo scheletro di una donna. Da un test al radiocarbonio effettuato nel 2000, sembra che sia vissuto circa 900 anni fa. Come Ata, Starchild presenta diverse deformità: un volume cerebrale di 1600 centimetri cubi (superiori a quelli di un uomo adulto medio), un'attaccatura del collo in posizione anomala, orbite ovali e cavità oculari meno profonde rispetto alla norma. Sulla base di queste differenze, Pye ipotizzò che il bambino fosse un ibrido umano-alieno, figlio di una donna terrestre e di un extraterrestre "grigio". L'esame del DNA in realtà ha evidenziato la presenza di cromosomi X e Y, come quelli di un normale bambino terrestre. Secondo il neurologo Steven Novella (Yale University Medical School), Starchild potrebbe essere stato affetto da un idrocefalo non curato, che avrebbe portato col tempo a uno sviluppo anomalo del cranio.
(Sofia Lincos)
Bibliografia
- Paletti, L. 2021. La prova. Autopsia di un alieno, ebook autoprodotto
- Lincos, S., Stilo, G. 2022. “Aurora, Texas, provincia marziana”, QueryOnline, https://www.queryonline.it/2022/05/25/aurora-texas-provincia-marziana/
- Stilo, G. 2023. “Mummie aliene al parlamento messicano? Vediamoci chiaro!”, QueryOnline, https://www.queryonline.it/2023/09/14/cadaveri-alieni-al-parlamento-messicano-vediamoci...