Il 4 marzo scorso ci ha lasciato Joe Nickell, scettico e investigatore del paranormale tra i più noti e stimati del mondo. Protagonista di centinaia di indagini, è stato a lungo ricercatore capo del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e ha scritto vari libri, su temi che vanno dall’analisi forense di antichi documenti (suoi, per esempio, gli esami che hanno smontato i falsi diari di Jack lo Squartatore) fino allo studio delle impronte di un presunto Yeti, passando per i trucchi dei fachiri e dei maghi da baraccone di luna park.
L’ho incontrato l’ultima volta un paio d'anni fa a Las Vegas in occasione dell'abituale conferenza del CSI, ma oltre che un caro amico e collega, Joe per me è stato spesso un’ispirazione. Nel mio libro Enigmi e misteri della storia (Piemme, 2013) gli avevo infatti dedicato il capitolo finale, con una lunga intervista, di cui vi ripropongo in sintesi alcuni passaggi.
Perché indagare un mistero è importante?
Nel corso degli anni ho capito che nei confronti del paranormale le persone tendono a dividersi in due fazioni opposte: chi ci crede e chi no. Due poli opposti che, in realtà, hanno più cose in comune di quanto credano. La prima di queste affinità sta nella tendenza a partire sempre dalla risposta preferita per poi risalire alla tesi scegliendo di volta in volta le prove e gli argomenti che meglio giustifichino le conclusioni. Personalmente, non amo questo tipo di approccio perché, come Sherlock Holmes, sono convinto che i misteri non debbano essere attaccati o difesi, ma indagati in maniera approfondita e infine risolti.
Che cosa succede quando inizia l’indagine di un nuovo mistero?
Anzitutto, si scopre immancabilmente che manca qualche pezzo del puzzle. Come un detective che indaga su un omicidio, allora, occorre cercare indizi che possano portare alla soluzione del mistero. A guidarmi è naturalmente l’approccio scientifico e la consapevolezza che l’onere della prova spetta a chi fa l’affermazione. Inoltre, affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie: vale a dire che se una persona dice di avere fatto un viaggio in Spagna può bastare la sua parola, ma se dice di essere stata su Marte a bordo di un UFO allora la sua parola non basta più, servono prove più convincenti. Infine, mi affido al principio noto come rasoio di Occam: di fronte a due ipotesi contrastanti per spiegare un mistero è molto probabile che la più semplice sia quella corretta.
Come ci si muove in concreto?
Che ci si trovi a investigare su un presunto rapimento alieno oppure su un caso di poltergeist, occorre prima di tutto determinare che cosa si ritiene sia successo; quindi chi è la persona che sta facendo l’affermazione, il protagonista della vicenda; dove e quando l’evento avrebbe avuto luogo; come si sarebbe manifestato e, se è veramente successo, perché è accaduto. In qualche caso, come nella famosa vicenda della casa stregata di Amityville, si può addirittura scoprire che nessuno dei fenomeni raccontati si è mai realmente verificato.
Che cosa si è scoperto ad Amityville?
La storia della casa stregata di Amityville, che ha ispirato tanti film e libri, prende spunto dal racconto terrificante che i componenti della famiglia Lutz fecero nel 1975 dopo aver abbandonato la casa al numero 112 di Ocean Avenue, nella cittadina di Amityville, a Long Island, dove erano rimasti appena 28 giorni e dove dissero di avere vissuto ogni tipo di spaventosa esperienza paranormale. Ma per un investigatore di misteri è essenziale andare sul posto. Ed è stato così, visitando la casa e parlando con i suoi successivi proprietari e altre persone del luogo, che ho scovato numerose falle nella storia dei Lutz. Avevano detto, per esempio, di avere trovato impronte di zoccoli diabolici nella neve in una data ben precisa, ma, quando ho controllato i bollettini meteorologici locali di quel periodo, ho scoperto che non aveva nevicato affatto. Nel libro dei Lutz poi si raccontano in dettaglio danni importanti alle porte e alle maniglie della casa; invece, esaminando gli infissi uno per uno, ho scoperto che erano ancora quelli originali ed erano perfettamente in ordine. O ancora, nel libro i Lutz sostengono di avere chiamato la polizia, mentre controllando i registri della polizia locale ho scoperto che non aveva mai ricevuto una sola chiamata da quella famiglia. E così via. A un’attenta indagine, quelli che sembravano dettagli molto precisi si rivelarono solo fantasie, probabilmente elaborate per rendere più credibile una storia del tutto inventata.
Quali sono le caratteristiche dell’investigatore ideale?
Dev’essere in grado di pensare chiaramente e valutare un’affermazione, formare e mettere alla prova un’ipotesi, trarre giudizi e arrivare a conclusioni. Inoltre, deve avere uno spirito scientifico: non è necessario che abbia un dottorato in fisica o che insegni all’università, ma deve conoscere bene il metodo scientifico e saperlo applicare. Inoltre, deve essere preciso nella raccolta dei dati, deve riportare correttamente e onestamente le informazioni raccolte anche se sembrano andare contro l’ipotesi preferita e dev’essere pronto a cambiare idea se nuovi dati lo impongono. Inoltre, l’investigatore ideale non usa il sarcasmo o il ridicolo per denigrare chi fa affermazioni che sembrano assurde, né si prende gioco delle credenze degli altri. Naturalmente, deve avere studiato molto bene il suo campo di indagine, perché tante volte quello che sembra un nuovo mistero è magari già stato risolto anni prima da altri studiosi; infine sono utili buone conoscenze di illusionismo.
Dopo tanti anni di indagini, restano ancora misteri da svelare?
Personalmente, amo indagare ogni tipo di fenomeno: cerchi nel grano, misteri archeologici, veggenti detective, fantasmi, case stregate, mostri… mi interesso davvero di tutto. Ma ciò che credo mi intrighi di più sono quelli che chiamerei “casi freddi”. È un termine usato dalla polizia quando indaga su omicidi o delitti avvenuti nel passato e mai risolti. Alcuni dicono: “Ma chi se ne importa dei casi vecchi? Ci sono episodi recenti più pressanti e più interessanti che richiedono attenzione”. Ma in realtà questi casi “freddi” sono tantissimi e, quando meno te l’aspetti riemergono dal passato e tornano a rinfacciarci di essere rimasti irrisolti.
C’è un mistero che Joe Nickell non è riuscito a risolvere?
L’identità dell’assassino di Mary Rogers, l’omicidio da cui Edgar Allan Poe prese spunto per il racconto Il mistero di Marie Roget del 1842. Con le mie indagini sono stato in grado di dimostrare, penso in modo definitivo, che non fu un caso di annegamento o suicidio, come si era ipotizzato, e sono riuscito a scagionare il fidanzato e gli altri sospettati. Per il resto, ho solo potuto dimostrare che Mary fu violentata e uccisa dall’uomo con cui era stata vista poco prima di sparire e la cui identità ormai è pressoché impossibile scoprire. Dopo tanti anni passati su questo caso, rendermi conto che non avrebbe avuto una soluzione è stata un’amara delusione.
Ma ha senso dedicare tanto tempo a indagare su un mistero?
Sono ormai più di quarant’anni che indago misteri e presunti fenomeni paranormali e confesso che mi infastidisce chi sostiene che ho sprecato il mio tempo. Tra i momenti più felici della mia vita ci sono quelli in cui ritengo di avere risolto un caso e avere così soddisfatto non solo la mia curiosità ma anche quella degli altri e, spero, di avere aggiunto qualcosa, per quanto piccolo, alle conoscenze dell’umanità. È una soddisfazione che chi crede a tutto, così come chi nega tutto a priori, non potrà mai provare.
L’ho incontrato l’ultima volta un paio d'anni fa a Las Vegas in occasione dell'abituale conferenza del CSI, ma oltre che un caro amico e collega, Joe per me è stato spesso un’ispirazione. Nel mio libro Enigmi e misteri della storia (Piemme, 2013) gli avevo infatti dedicato il capitolo finale, con una lunga intervista, di cui vi ripropongo in sintesi alcuni passaggi.
Perché indagare un mistero è importante?
Nel corso degli anni ho capito che nei confronti del paranormale le persone tendono a dividersi in due fazioni opposte: chi ci crede e chi no. Due poli opposti che, in realtà, hanno più cose in comune di quanto credano. La prima di queste affinità sta nella tendenza a partire sempre dalla risposta preferita per poi risalire alla tesi scegliendo di volta in volta le prove e gli argomenti che meglio giustifichino le conclusioni. Personalmente, non amo questo tipo di approccio perché, come Sherlock Holmes, sono convinto che i misteri non debbano essere attaccati o difesi, ma indagati in maniera approfondita e infine risolti.
Che cosa succede quando inizia l’indagine di un nuovo mistero?
Anzitutto, si scopre immancabilmente che manca qualche pezzo del puzzle. Come un detective che indaga su un omicidio, allora, occorre cercare indizi che possano portare alla soluzione del mistero. A guidarmi è naturalmente l’approccio scientifico e la consapevolezza che l’onere della prova spetta a chi fa l’affermazione. Inoltre, affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie: vale a dire che se una persona dice di avere fatto un viaggio in Spagna può bastare la sua parola, ma se dice di essere stata su Marte a bordo di un UFO allora la sua parola non basta più, servono prove più convincenti. Infine, mi affido al principio noto come rasoio di Occam: di fronte a due ipotesi contrastanti per spiegare un mistero è molto probabile che la più semplice sia quella corretta.
Come ci si muove in concreto?
Che ci si trovi a investigare su un presunto rapimento alieno oppure su un caso di poltergeist, occorre prima di tutto determinare che cosa si ritiene sia successo; quindi chi è la persona che sta facendo l’affermazione, il protagonista della vicenda; dove e quando l’evento avrebbe avuto luogo; come si sarebbe manifestato e, se è veramente successo, perché è accaduto. In qualche caso, come nella famosa vicenda della casa stregata di Amityville, si può addirittura scoprire che nessuno dei fenomeni raccontati si è mai realmente verificato.
Che cosa si è scoperto ad Amityville?
La storia della casa stregata di Amityville, che ha ispirato tanti film e libri, prende spunto dal racconto terrificante che i componenti della famiglia Lutz fecero nel 1975 dopo aver abbandonato la casa al numero 112 di Ocean Avenue, nella cittadina di Amityville, a Long Island, dove erano rimasti appena 28 giorni e dove dissero di avere vissuto ogni tipo di spaventosa esperienza paranormale. Ma per un investigatore di misteri è essenziale andare sul posto. Ed è stato così, visitando la casa e parlando con i suoi successivi proprietari e altre persone del luogo, che ho scovato numerose falle nella storia dei Lutz. Avevano detto, per esempio, di avere trovato impronte di zoccoli diabolici nella neve in una data ben precisa, ma, quando ho controllato i bollettini meteorologici locali di quel periodo, ho scoperto che non aveva nevicato affatto. Nel libro dei Lutz poi si raccontano in dettaglio danni importanti alle porte e alle maniglie della casa; invece, esaminando gli infissi uno per uno, ho scoperto che erano ancora quelli originali ed erano perfettamente in ordine. O ancora, nel libro i Lutz sostengono di avere chiamato la polizia, mentre controllando i registri della polizia locale ho scoperto che non aveva mai ricevuto una sola chiamata da quella famiglia. E così via. A un’attenta indagine, quelli che sembravano dettagli molto precisi si rivelarono solo fantasie, probabilmente elaborate per rendere più credibile una storia del tutto inventata.
Quali sono le caratteristiche dell’investigatore ideale?
Dev’essere in grado di pensare chiaramente e valutare un’affermazione, formare e mettere alla prova un’ipotesi, trarre giudizi e arrivare a conclusioni. Inoltre, deve avere uno spirito scientifico: non è necessario che abbia un dottorato in fisica o che insegni all’università, ma deve conoscere bene il metodo scientifico e saperlo applicare. Inoltre, deve essere preciso nella raccolta dei dati, deve riportare correttamente e onestamente le informazioni raccolte anche se sembrano andare contro l’ipotesi preferita e dev’essere pronto a cambiare idea se nuovi dati lo impongono. Inoltre, l’investigatore ideale non usa il sarcasmo o il ridicolo per denigrare chi fa affermazioni che sembrano assurde, né si prende gioco delle credenze degli altri. Naturalmente, deve avere studiato molto bene il suo campo di indagine, perché tante volte quello che sembra un nuovo mistero è magari già stato risolto anni prima da altri studiosi; infine sono utili buone conoscenze di illusionismo.
Dopo tanti anni di indagini, restano ancora misteri da svelare?
Personalmente, amo indagare ogni tipo di fenomeno: cerchi nel grano, misteri archeologici, veggenti detective, fantasmi, case stregate, mostri… mi interesso davvero di tutto. Ma ciò che credo mi intrighi di più sono quelli che chiamerei “casi freddi”. È un termine usato dalla polizia quando indaga su omicidi o delitti avvenuti nel passato e mai risolti. Alcuni dicono: “Ma chi se ne importa dei casi vecchi? Ci sono episodi recenti più pressanti e più interessanti che richiedono attenzione”. Ma in realtà questi casi “freddi” sono tantissimi e, quando meno te l’aspetti riemergono dal passato e tornano a rinfacciarci di essere rimasti irrisolti.
C’è un mistero che Joe Nickell non è riuscito a risolvere?
L’identità dell’assassino di Mary Rogers, l’omicidio da cui Edgar Allan Poe prese spunto per il racconto Il mistero di Marie Roget del 1842. Con le mie indagini sono stato in grado di dimostrare, penso in modo definitivo, che non fu un caso di annegamento o suicidio, come si era ipotizzato, e sono riuscito a scagionare il fidanzato e gli altri sospettati. Per il resto, ho solo potuto dimostrare che Mary fu violentata e uccisa dall’uomo con cui era stata vista poco prima di sparire e la cui identità ormai è pressoché impossibile scoprire. Dopo tanti anni passati su questo caso, rendermi conto che non avrebbe avuto una soluzione è stata un’amara delusione.
Ma ha senso dedicare tanto tempo a indagare su un mistero?
Sono ormai più di quarant’anni che indago misteri e presunti fenomeni paranormali e confesso che mi infastidisce chi sostiene che ho sprecato il mio tempo. Tra i momenti più felici della mia vita ci sono quelli in cui ritengo di avere risolto un caso e avere così soddisfatto non solo la mia curiosità ma anche quella degli altri e, spero, di avere aggiunto qualcosa, per quanto piccolo, alle conoscenze dell’umanità. È una soddisfazione che chi crede a tutto, così come chi nega tutto a priori, non potrà mai provare.