Intervista a Luca Masali

Scienza e fantascienza: due mondi diversi, ma spesso simili

  • In Articoli
  • 06-01-2001
  • di Emiliano Farinella e Roberto Vanzetto
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Luca Masali
Luca Masali, torinese, vive e lavora a Milano. Ha esordito nel 1996 con
I biplani di D’Annunzio, pubblicato da Mondadori con cui ha vinto il Premio Urania e il premio Bob Morane del festival del libro e del cinema fantastico di Bruxelles, come miglior romanzo straniero tradotto in francese. Il romanzo più recente La perla alla fine del mondo, edito da Mondadori.


Ritieni che la letteratura di fantascienza abbia o possa avere un ruolo nel fare apprezzare gli orizzonti della scienza, aiutando le persone a svincolarsi dalle superstizioni?

La fantascienza l’esplorazione letteraria del divenire. Non vuole predire il futuro o fare divulgazione scientifica. é una letteratura curiosa, abituata a occuparsi di grandi temi, che ha profonde radici nel suo tempo e uno spiccato interesse per esplorare, con le armi dell’immaginazione, ciò che succede oggi. Una letteratura che trae la sua linfa dal fantastico e dall’immaginario: mai cercherà di “dimostrare scientificamente” che i marziani non esistono, piuttosto li userà se possono diventare metafora di qualcosa: i dischi volanti di cui scrivevamo negli anni ’50 erano incarnazione del diverso in un mondo che si scopriva paese, e la tecnologia gli dava una veste paradossalmente credibile, visto che la scienza il più importante riferimento culturale dell’uomo di oggi.

La fantascienza si presta bene al duplice obiettivo di intrattenere e preparare l'avvenire?

Ricordo una serata da incubo in un “salotto culturale” milanese, dove vari intellettuali si interrogavano sull’Uomo del Nuovo Millennio, quando biotecnologie e cibernetica potranno infrangere le barriere percettive e fisiche del corpo e si chiedevano come i nostri nipoti potranno gestire una umanità dinamica e “componibile”.
Ebbene, sono vent’anni che una branca della fantascienza, il Cyberpunk, si occupa di esplorare le contaminazioni tra il corpo e la tecnologia. Nessuno di questi signori ne aveva mai sentito parlare, e stavano faticosamente girando in tondo su temi ampiamente dibattuti ma per loro assolutamente alieni. Una serata che mi ha convinto una volta di più che il risultato più alto della fantascienza la capacità di ragionare su ciò che sta succedendo e trovare le risposte alle domande di domani.

Nell'"era dell'informazione" sembra debbano esserci risposte semplici a ogni cosa. Invece dobbiamo dire "non so" o faticare molto. Si diffonde un'aria di sfiducia verso la scienza e di complotto. Da dove nasce la sfiducia? Cosa cerca chi non si fida più del mondo scientifico, e a cosa va incontro?


Secondo me la scienza che ha perso il contatto col pubblico. Oggi la ricerca talmente specialistica da non essere più comprensibile. Per fare un esempio, i progressi della genetica, che ci ha consentito proprio in questi giorni di mappare parte del genoma umano, sono solo parole incomprensibili per gran parte della gente. Almeno finché a qualcuno non viene in mente di clonare una pecora, e allora sìche la ricerca acquista di colpo concretezza e scatta la paura di non capire e diventare marionette in mano a qualcuno.
E in questo la scienza ha problemi simili a quelli della fantascienza: entrambe devono imparare a dialogare, a farsi capire, a non perdere il contatto con le persone per evitare il rischio di ridursi a mondi chiusi, incomprensibili, avanguardie che non sanno più integrarsi con il resto del tessuto culturale.


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