Non si tratta di un problema da poco: molte delle ricerche per trovare un nuovo farmaco iniziano infatti con una fase di screening, per controllare se la sostanza chimica studiata si attacca al sito di legame di una proteina “bersaglio”. Ad esempio, se si scopre che nell’Alzheimer è coinvolta una specifica proteina, per trovare una cura si andrà a cercare un composto chimico che si leghi a questa particolare biomolecola, in modo da interferire con il suo funzionamento.
Ma cosa succederebbe se ci fosse una sostanza in grado di “simulare” questo comportamento? È quello che accade con i PAINS, molecole che nei test di laboratorio appaiono legarsi alle proteine, ma in realtà non lo fanno. La ragione può variare: in alcuni casi si tratta di sostanze che sviluppano naturalmente una fluorescenza (e che quindi, nei test che usano la fluorescenza per indicare l’avvenuto legame sembrano sempre attive). In altri casi si tratta di molecole che interferiscono con le membrane delle cellule, o che si degradano in altre sostanze nello svolgimento dei test di laboratorio: tutti fattori che possono portare a falsi positivi, portando a credere che la sostanza sia promettente e che sia necessario spenderci tempo e finanziamenti. Per poi scoprire, trial clinici alla mano, che la sua presunta efficacia si basava su un’illusione.
Tra queste sostanze ingannevoli, quella più studiata è forse la curcumina, il principale costituente della comune curcuma: tipica della cucina indiana, questa spezia è stata testata in migliaia di ricerche farmacologiche, volte a scoprire i suoi effetti contro ogni tipo di malattia. Nelle pubblicazioni scientifiche, la curcumina è stata proposta contro ogni tipo di disturbo, dal tumore al morbo di Alzheimer, dalla calvizie all’irsutismo. Il tutto, senza mai portare a una terapia valida. Nel gennaio di quest’anno, un team guidato da Kathryn Nelson e, ancora, Michael A. Walters ha pubblicato sul Journal of Medicinal Chemistry una delle più complete rassegne critiche sugli effetti della curcuma: nessun beneficio per nessuna delle malattie studiate, nonostante le migliaia di articoli sul tema e gli oltre 120 trial clinici su pazienti[2].
La curcuma non è l’unica sostanza che manifesta questo comportamento: nel 2015 un gruppo di cinquanta scienziati ha messo in piedi un intero sito web (The Chemical Probes Portal[3]) dedicato ai PAINS, per mettere in guardia i colleghi dalle conclusioni frettolose. Fra i “composti problematici” figurano ad esempio la toxoflavina (una tossina prodotta da alcuni batteri), la genisteina (un flavonoide isolato nella ginestra) e il resveratolo (che si trova nelle bucce degli acini d’uva e che è stato spesso presentato come la panacea per tutti i mali)[4].
Nonostante l’insidiosità della curcuma sia nota da alcuni anni, è difficile far passare il messaggio che i normali screening usati per le altre sostanze non siano adatti: dal 2009 almeno 15 articoli sui suoi effetti sono stati ritirati, decine sono stati corretti. Gunda I. Georg, co-redattore capo del Journal of Medicinal Chemistry, racconta che la sua rivista continua a ricevere costantemente articoli sulla curcumina; mentre Michael Walters ha definito questo caso un “monito” per tutti quelli che si occupano di farmacologia[5]. E tutto sommato può essere un monito anche per noi: non sempre le “cure promettenti” che compaiono nella sezione Salute&Benessere dei giornali risultano poi confermate. Soprattutto se c’è di mezzo la curcuma.