Come le catene di sant'Antonio conquistarono l'Italia

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  • 27-01-2020
  • di Floriana Giuganino e Giuseppe Stilo
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Un esempio inglese di “lettera dal cielo”, probabilmente collocabile al XVIII secolo (immagine di pubblico dominio).
Anche se da qualche decennio non le troviamo più nella cassetta della posta, almeno come lettere anonime dalla prosa più o meno improbabile, la gran parte degli italiani ha sentito parlare delle “catene di sant’Antonio”. Sono state famosissime nei decenni scorsi, ma, in forme diverse dal passato, esistono tuttora. Grazie alla telematica sono più vive che mai, anche se si sono trasformate.

Nonostante questa enorme popolarità e diffusione, fino a poco tempo fa non c’era stato un tentativo sistematico di capire come le catene (e in particolare quelle che contengono vari tipi di “preghiere”, di cui noi due ci siamo occupati di più) sono nate in Italia, quando e dove sono comparse, chi cominciò a diffonderle, da dove arrivarono e come son riuscite a sopravvivere a diversi cambiamenti sociali.

Eppure, questi foglietti manoscritti, dattiloscritti, fotocopiati o stampati ci aiutano a capire molte cose dal punto di vista della storia delle idee, della storia sociale, del folklore.

Tempo fa, sulla rivista Quaderni di semantica è uscito un nostro lavoro[1] che si occupa dell’arrivo in Italia delle catene di sant’Antonio e delle ipotesi sulla nascita di questo diffusissimo tipo di pensiero magico. Ora proviamo, sia pure in sintesi, ad allargare un po’ lo sguardo e, per i lettori di Query, ad arrivare sino ai giorni nostri e alle trasformazioni che quelle originarie lettere scritte a mano hanno subito.

Agli inizi: le “lettere dal cielo”


Un folklorista dilettante californiano, il matematico Daniel W. VanArsdale, da decenni raccoglie e cataloga quelle che in Italia vengono chiamate “catene di sant’Antonio”, ma che si definiscono, più in generale, lettere a catena; con il suo lavoro, ha dato un contributo fondamentale allo studio della nascita e delle tipologie di missive. È stato proprio VanArsdale uno dei primi a sostenere con chiarezza che le catene “moderne” costituiscono il frutto di una lenta evoluzione, avvenuta tra la metà del XIX e l’inizio del XX secolo, di un altro tipo di testo: le cosiddette lettere dal cielo[2].

Le “lettere dal cielo” rappresentano un vero e proprio genere letterario, caratterizzato da contenuti e modalità espressive specifiche, che è sopravvissuto sino a Novecento inoltrato e che trova la sua origine nella letteratura cristiana non-canonica dei primi secoli. Queste lettere si autoattribuiscono un’origine divina e a volte si presentano come scritte “di proprio pugno” da Gesù, da Dio padre o da altri personaggi della tradizione cristiana. Spesso si dilungano su episodi non riportati nei vangeli: particolare successo ebbero, ad esempio, quelle che descrivevano il numero esatto delle ferite patite da Gesù prima della crocifissione. Soprattutto, sovente chiedono a chi le possiede di recitare una certa preghiera, garantiscono protezione, annunciano disastri, chiedono al ricevente di farle circolare a stampa o comunque tramite l’impiego di forme grafiche elaborate.

In questi tratti sta l’analogia con le catene di sant’Antonio del XIX e XX secolo. Con qualsiasi tecnica fossero prodotte, le lettere dal cielo si presentavano sempre come documenti molto sofisticati dal punto di vista estetico, con immagini, capilettera istoriati, ecc.

Altri studiosi, come i sociologi francesi della religione Serge Bonnet e Antoine Delestre[3] in un loro lavoro hanno esposto idee un po’ diverse sulla nascita del fenomeno nel loro Paese. Secondo loro, le catene comparvero in continuità con preghiere tradizionali rivolte ai santi, risalenti all’età medievale, da ripetere e trasmettere in più copie.

Un altro studio francese più recente, quello di Eymerich Manzinali[4], considera invece anch’esso le catene come un’evoluzione delle lettere dal cielo e, anzi, rafforza la posizione di vanArsdale individuandone alcuni esempi “ibridi” già negli anni ‘60 dell’Ottocento. Pure l’antropologo Jean-Loïc Le Quellec[5] ha adottato il modello della derivazione e trasformazione dalle lettere dal cielo.

Una tappa fondamentale di questo processo di trasformazione dalle lettere dal cielo alle catene moderne potrebbe aver avuto per scena l’Europa orientale. La folklorista russa Daria Radchenko ha dimostrato[6] che già negli anni ‘30 del XIX secolo in Russia era apparsa una “preghiera di Gerusalemme” attribuita al popolare arcivescovo e mistico ortodosso Antonio II di Voronezh (1773-1846) che per certi versi si collega ancora alla tipologia delle lettere dal cielo. Per Radchenko, dunque, le lettere a catena di contenuto religioso sarebbero nate nel suo Paese forse addirittura in epoca napoleonica, o poco dopo.

Quali elementi caratterizzano una catena di sant’Antonio?


Sappiamo che i testi da trasmettere in catene, che in teoria dovrebbero avere diffusione infinita, presentano una serie di elementi comuni. Di quelli che elenchiamo di seguito, nei singoli casi concreti se ne può rinvenire un numero più o meno grande. Difficile ci siano sempre tutti. In realtà, si può dire che le catene nacquero con un numero limitato di elementi costitutivi che poi andarono aumentando e che oggi, con le catene telematiche del XXI secolo, sono andati di nuovo diminuendo. Descriviamo dunque insieme le caratteristiche che hanno considerato David VanArsdale e il folklorista americano Alan Dundes[7].

Le catene contengono preghiere brevi; si presentano subito come anelli di una catena in corso; chiedono a chi le riceve di farne a sua volta un numero di copie modesto; tali copie vanno prodotte in tempi rapidi; i tempi sono di norma indicati con precisione; vengono minacciate conseguenze gravi se non le si rispedisce (cosa meno presente nelle catene recenti) e promesse realizzazioni fantastiche se lo si fa; possono contenere elenchi di testimonial che hanno subito conseguenze buone o cattive a seconda che abbiano ottemperato o meno alla domanda di proseguire la catena; sono scarsamente curate dal punto di vista grafico.

Le prime preghiere a catena italiane


L’esempio più remoto di catena di Sant’Antonio in lingua italiana di cui disponiamo è documentato dal quotidiano torinese Gazzetta del Popolo del 9 gennaio 1849. L’articolo racconta della diffusione a Chieri, nel 1848, di una preghiera che era necessario far girare in nove copie.

Vale la pena riportare il testo completo:
Una infame società dirama per Chieri la seguente preghiera stampata:

Nel tempo che si celebrava la Santa Messa nel Santo Sepolcro in Gerusalemme si udì una voce che disse: Grandi disgrazie e terribili disastri colpiranno in breve il genere umano: a chi però dirà la seguente preghiera, Iddio gli verrà in soccorso nelle calamità che lo minaccia.

PREGHIERA

Signor Gesù Cristo, noi innalziamo le nostre voci a Te, Dio Immortale, Dio Santo, Dio Onnipotente; abbi pietà di noi in questi momenti d’imminenti rovine. Lavaci da tutti i nostri peccati pel merito del TUO SANGUE SACROSANTO adesso, in tutti i tempi e per tutta l’eternità.

Questa preghiera fu mandata al Vescovo monsignor Pironici di Gerusalemme, acciò la distribuisse a nove persone, ciascuna delle quali ha l’obbligo di parteciparla a nove altre, e così di seguito.

Il “vescovo Pironici” non esisteva, ma sappiamo che alla fine dell’ottobre 1848 il poeta e scrittore Silvio Pellico (1789-1854) in una sua lettera accennava a qualcosa di assai simile ma scritto in francese. Si tratta di un documento che si colloca a metà strada fra le catene moderne e i loro progenitori, le lettere dal cielo.

Manca però ancora l’elemento che diventerà fondamentale. Si dice assai poco su quello che succederà in caso di mancata diffusione della preghiera: la sua recitazione protegge dalle calamità imminenti, ma non si aggiunge altro. Il lettore può pensare che se non la si recita, i guai che attendono l’umanità non la risparmieranno, ma non ci sono affermazioni esplicite al riguardo. In seguito, all’inizio del nuovo secolo, l’elenco delle conseguenze per la rottura della catena diventerà un aspetto preponderante del fenomeno - a volte, come vedremo, così esagerato da risultare ridicolo.

Potremmo fornire parecchi altri esempi di questa fase di transizione, che durò probabilmente per tutta la metà del XIX secolo, e non solo in Italia: il fenomeno dava segni di comparsa in altre parti del mondo. Nel gennaio del 1899, a Milwaukee (Wisconsin), un pastore protestante lanciò l’idea di una serie di preghiere da farsi a catena, via lettera, con lo scopo di rivolgere a Dio la richiesta che in quelle chiese si sviluppasse un “Risveglio” della fede. Si auspicava, in pratica, uno di quei fenomeni che nel Protestantesimo possono definirsi come periodi “espansivi”, in cui il fervore aumenta, si manifestano supposti carismi religiosi, crescono la frequentazione di culti e servizi e l’autopercezione di un rinnovato vigore spirituale.

La vera e propria esplosione delle catene di sant’Antonio si ebbe, però, solo nel 1905.

La prima che vediamo fare capolino in Italia somiglia molto alla “preghiera di Gerusalemme” (chiamiamo così quella apparsa a Chieri alla fine del 1848), ma in essa compare anche il racconto di conseguenze terribili che aspettano chi non diffonderà la preghiera, con una serie di esempi. Presentata da La civiltà cattolica, rivista dei gesuiti, esprimeva per la prima volta notevole preoccupazione per il fenomeno. Sarà solo l’inizio di una lunghissima sequela di interventi di esponenti di ogni confessione, da noi e nel mondo, volti a contrastare - con scarsissimo successo - la diffusione del fenomeno.

Questa prece è stata mandata dal Vescovo Verange Antonio, raccomandando di recitarla e spedirla a nove persone, ma colui che non lo farà sarà oppresso dalla sventura. Infatti, si mandò questa prece a Noraloff, ma esso non la fece perché non vi prestò fede e fu punito perdendo l’unica sua figlia, assassinata tre giorni dopo ricevuta questa preghiera. (La civiltà cattolica, 8 luglio 1905)

A parte l’inesistente “vescovo Verange Antonio” proprio qui si presenta per la prima volta la sfilza dei testimonial, ossia i puniti e i premiati.

Una catena anche per l’alta borghesia italiana


Sarebbe un’ingenuità pensare che all’inizio di tutto ciò vi sia stato un testo unico, cioè un solo tipo di catena di sant’Antonio. Da quello che è possibile ricostruire, quasi subito si presentò un’intera costellazione di testi che miravano a essere letti da persone diverse e che rispecchiavano i differenti côté sociali in cui gli scritti erano sorti.

Per essere più chiari, portiamo l’esempio di una forma assai antica della catena che si potrebbe definire “variante alto-borghese”. Ne abbiamo notizia dalle cronache milanesi del Corriere della Sera del 6 aprile 1914. Stando all’articolo, in quel periodo le “famiglie benestanti” della capitale lombarda ricevevano sovente, indirizzate alla “signora o signorina” di casa, delle lettere dalla “scrittura alterata” (non sono fornite precisazioni su ciò che si voleva intendere con questa espressione), che chiedevano di ripetere per diversi giorni un’orazione e poi di farne nove copie, senza firma, da inviare a un certo numero di altre persone che avrebbero dovuto a loro volta ripetere l’operazione, e così ad libitum.

A quanto riferisce il Corriere, una signora in gravi condizioni di salute aveva ricevuto la missiva che minacciava un serio e imminente pericolo per “l’unico figlio maschio” in caso di interruzione della catena. La cosa interessante è che la donna si sarebbe rivolta per un parere all’arcivescovo di Milano, il quale le avrebbe consigliato di cestinarla. Ma ecco la cosa che colpisce: per il quotidiano milanese questa “ultima forma” (si direbbe dunque che quel tipo fosse una novità) della catena si presentava come una preghiera in inglese, mentre il commento contenente le minacce in caso di mancata trascrizione e diffusione era in tedesco. Concludeva perciò il Corriere della Sera: “destinatarie sono quindi signorine di buona famiglia che studiano lingue straniere” (e c’è da domandarsi quante donne, nell’Italia del 1914, studiassero l’inglese, invece che il francese o il tedesco, ben più comuni all’epoca). Dunque, una lettera a catena pensata apposta per donne di alta estrazione sociale.

Un attacco “matematico” alla catena


A cominciare dall’esempio qui sopra, l’impressione che abbiamo ricavato dalla nostra raccolta è che la catena di sant’Antonio sia stata, per quasi tutto il XX secolo, appannaggio maggioritario delle donne.

La Gazzetta di Fossano del 31 ottobre 1914 racconta di una lettera arrivata a parecchie donne della cittadina cuneese, e che imponeva di mandare la breve preghiera che conteneva a “nove persone amiche”, pena “grave disgrazia”, mentre “chi la trascrive secondo i regolamenti ne avrà sicura e certa grazia”. L’autrice dell’articolo stigmatizzava in modo diretto il comportamento delle sue concittadine: per quanto ne sapeva, ad esserne interessate erano in prevalenza donne. In effetti, chi commentava la lettera era con tutta probabilità lei stessa una donna, che si firmava “La Fata Bleu”. L’Autrice non si appellava alla “vera religione” o alla morale, come avevano fatto tanti suoi predecessori. Assumeva le vesti di una scettica di tipo razionalista, perché usava argomentazioni logiche per irridere alla lettera.

Supponiamo, osservava “La Fata”, che “la pia anima” avesse spedito le nove lettere. Obbligate dalla paura, le persone che le avessero ricevute ne avrebbero spedite 81, quelle 729 e le 729, inviandole a nove persone ciascuna, 6561. Il terrore per la guerra appena iniziata (siamo nell’autunno 1914) avrebbe rapidamente portato questo numero a 59049. Visto che la lettera prometteva “sicura e certa grazia”, nel giro di poche settimane il mondo sarebbe stato sommerso da eventi miracolosi... Insomma, la lettera, seguendo la logica, negava da se stessa la sua validità.

Questo è il primo esempio che abbiamo trovato della classica argomentazione razionale per dimostrare l’impossibilità di una progressione geometrica. Molti anni dopo, sotto la dittatura mussoliniana, Il Regime Fascista di Cremona del 3 settembre 1930 riprenderà l’argomento per provare a stroncare il fenomeno, che sembra fosse endemico in quel periodo sotto forma di copie dattilografate; il ragionamento era speculare a quello della “Fata Bleu” cuneese. La catena era una fesseria, ma se avesse funzionato e se non avesse circolato con il ritmo di crescita dei multipli del nove, in poco tempo avrebbe assicurato disgrazie di ogni tipo a innumerevoli compatrioti innocenti!

Ancora più curioso: l’anno precedente (1929) un pastore protestante, Giovanni Meille, scrivendo contro una catena di sant’Antonio sulla rivista delle chiese battiste Il Testimonio, non solo proponeva una speciale “contro-catena” antisuperstiziosa che sarebbe stata anche occasione per polemizzare contro una possibile origine “cattolica” delle missive, ma usava l’identica argomentazione che abbiamo visto nel 1914 sulla Gazzetta di Fossano ad opera dell’ignota “Fata Bleu”, e lo faceva anch’egli senza argomenti “religiosi” o moralistici.

Queste tre queste persone erano spinte di sicuro da motivazioni molto diverse, ma furono unite da una comune metodologia da debunkers...

Data la tipologia di casi citati finora, si potrebbe pensare che il fenomeno delle catene religiose in Italia riguardasse un ambito esclusivamente cattolico. Non è così. Sappiamo di un’estensione degli scambi di lettere a gruppi di altro orientamento religioso già in tempi remoti. Vi offriamo i due esempi principali che abbiamo reperito.

Nel numero del 10-11 febbraio 1938, nella sua cronaca torinese, Stampa Sera rivelava la presenza in città di una “lettera a catena” stampata, contro la quale un ignoto redattore si scagliava con veemenza. Il 1938, diceva il testo incriminato, doveva diventare “un anno di pace” e per questo nella lettera si chiedeva di inviarne tre copie manoscritte ad altrettanti destinatari. A fine anno si sarebbe ottenuto un attestato di benemerenza per aver contribuito “alla pace nel mondo”. In questa versione non erano presenti minacce contro chi non aderiva alla richiesta di diffusione della lettera.

Il contesto era quello del pensiero teosofico: la preghiera era un “mantra della pace” che, recitato per tutto il 1938, avrebbe generato “potenti forme-pensiero” se letto a voce alta o mentalmente, per tre volte, con calma e serenità, al mattino e alla sera. Il 25 dicembre 1938 sarebbe stata proclamata la pace mondiale. La circolare non era anonima. Risultava provenire dall’architetto Luigi Bellotti, un occultista veneziano. Apparteneva quindi a un ambiente del tutto diverso da quelli che abbiamo considerato finora.

Tale differenza, insieme all’incomprensione per ciò che la lettera propugnava, provocò l’ira del redattore di Stampa Sera, che bollò la circolare come una “nuova, poco chiara forma di attività” i cui toni messianici ne denunciavano “l’evidente origine... di marca puritana”. Insomma, il giornalista pensava si trattasse di un qualcosa di protestante, di “democratico”, di “americano”.

Un adattamento a un contesto religioso italiano di minoranza si ebbe invece nell’Italia postbellica. Sulla rivista Gioventù evangelica del giugno-luglio 1956, una protestante valdese dichiarava la sua pena per coloro che davano credito a un testo come quello che aveva ricevuto. Si trattava di una lettera che, nell’elenco dei Paesi di origine della catena, agli Stati Uniti, Paese di tradizionale insediamento di chiese protestanti, aggiungeva l’Olanda, una delle patrie del Cristianesimo riformato. Invece del riferimento a santi, madonne e prelati, nel testo compariva un versetto biblico. Soprattutto, la presenza di cognomi valdesi quali destinatari degli invii era la prova della penetrazione delle catene in quel contesto religioso. La sua comparsa in quell’ambito confessionale suscitò una reazione infastidita nell’autrice dell’articolo che sperava che quelle “superstizioni” albergassero solo nei cattolici, ed appariva quindi disorientata.

Questi esempi indicano che, sebbene la struttura delle catene moderne si sia con ogni probabilità sviluppata in contesti cattolici (o, se corrisponde a verità l’ipotesi di Nadia Radchenko, in quello ortodosso russo), le diversità confessionali o di religione non costituirono impedimento alla circolazione di versioni opportunamente modificate delle catene.

E così, per concludere su questo aspetto, il 28 aprile 1916, in piena Prima guerra mondiale, la rivista ebraica parigina L’Univers Israélite, in un articolo dedicato alle Superstitions de guerre lamentava che le preghiere a catena, adattate al linguaggio e alla pietà ebraica fossero diffuse tra i militari di quell’appartenenza.
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Le preoccupazioni per gli effetti psicosociali delle “catene” furono intense fin dalla loro comparsa. Nel giugno 1918 il “Journal of Education” statunitense lanciò una campagna rivolta a tutto il settore dell’istruzione.


Le catene durante la Prima Guerra Mondiale: disfattismo pacifista?


Uno degli aspetti più interessanti del fenomeno delle catene di sant’Antonio è che in certi periodi della storia italiana furono sottoposte a censura postale da parte delle autorità.

Disponiamo di un buon numero di articoli di stampa fra il 1916 e il 1917, oltre a fonti archivistiche, in particolare lettere di soldati o di loro familiari, oppure appunti e scambi di note, che, insieme all’ampia circolazione di parecchie versioni delle lettere, attestano l’attenzione preoccupata di varie autorità per ciò che quei testi potevano significare; e questo sino alla vigilia della vittoria, ad ottobre 1918 inoltrato.

Il timore è che, in modo più o meno pianificato, le catene veicolassero idee pacifiste (previsioni sulla fine della guerra, orazioni perché tornasse la pace fra i popoli...). Le si considerava comunque opera di propaganda volta “all’avvilimento collettivo”, a colpire il morale e lo sforzo bellico. Nessun Paese in guerra ne fu indenne.

Di questi timori sono, ad esempio, testimonianza il Corriere della Sera del 16 marzo 1916 e La Stampa del 31 ottobre dello stesso anno, che denunciavano con forza il contenuto delle lettere: il terrore che i testi volevano ispirare elencando le disgrazie subite da chi non aveva continuato la catena, era il senso del ragionamento, mirava a colpire il morale della nazione in guerra. Nella catena pubblicata da La Stampa, in particolare, l’elenco dei testimonial raggiungeva un numero che forse mai più sarebbe stato toccato.

Tra questi compariva addirittura l’arciduca ereditario Francesco Ferdinando, che secondo la lettera era stato ucciso a Sarajevo... nove giorni dopo aver ricevuto e buttato via la preghiera. Dunque, in ultima analisi, la Prima Guerra Mondiale sarebbe scoppiata per un’interruzione di una catena di sant’Antonio!

Della diffusione di queste lettere nelle trincee si occuparono studiosi come il prete e psicologo Agostino Gemelli (1878-1959)[8], oppure etnomusicologi come Cesare Caravaglios (1890-1937)[9], che fu tra i primi a comprendere la potenzialità di critica sociale insita nell’uso delle catene di sant’Antonio negli anni della Grande Guerra. Negli auspici di chi le inviava dalle città, sovente le preghiere dovevano raggiungere “tutti i soldati” al fronte. In sé il testo non presentava nulla di sovversivo, ma si trattava di un’iniziativa unidirezionale la cui natura - all’esame della censura e degli organi di polizia militare - risultava ambigua, e dunque sinistra, giacché di norma auspicava la pace senza legarla in modo stretto alla vittoria delle armi italiane. Fra l’altro, seppur in maniera imprecisa, Caravaglios mostrava di aver già intuito il rapporto fra diffusione delle catene moderne e precedenti preghiere “del Santo Sepolcro”, ossia di un tipo di “lettere dal cielo”.

Malgrado alcune delle catene diffuse durante la guerra fra i militari potessero diffondere un generico sentimento pacifista, negli archivi esiste un buon numero di lettere di soldati e di loro familiari che le considerano strumenti per ottenere la protezione divina dalle calamità del conflitto e che, più di una volta, esprimono fiducia nella vittoria e volontà di continuare la lotta. Nonostante ciò, le paure per un utilizzo “politico” delle catene si ripresentarono con forza anche nella conflagrazione globale del 1939-45. Non sorprende quindi che ad un certo punto (si direbbe nell’estate del 1942), la censura postale abbia ricevuto disposizioni perché fossero intercettate.

Lo storico Mimmo Franzinelli ha documentato le preoccupazioni e l’azione del corpo dei Cappellani militari nei confronti delle lettere a catena, e ha sostenuto che queste lettere si diffusero come alternativa ai cartoncini e santini di tipo devozionale destinati a sostenere la motivazione dei combattenti al fronte. L’idea che le lettere a catena sottendessero pensieri disfattisti, dunque, si confuse, in questo contesto, con l’antiamericanismo culturale proprio del fascismo[10].

Tuttavia, la cosa più sorprendente è che nell’ideare l’invasione dell’Italia da parte degli Alleati, a fine inverno 1943, qualche ufficiale dei servizi segreti statunitensi, l’OSS (Office of Strategic Services), propose di inviare false catene di sant’Antonio agli italiani che venivano ritenute una possibile, potente arma psicologica, per contribuire alla rovina definitiva della dittatura. Ne abbiamo prova da un documento d’archivio statunitense, ma non sappiamo se l’operazione sia stata messa in atto in qualche forma.

Un’ultima notazione sulla Seconda Guerra Mondiale. A quanto pare, nemmeno l’isolamento del centro-nord, che era sotto il controllo della Repubblica Sociale, dal resto della penisola riuscì a impedire la circolazione delle lettere a catena.

Ne abbiamo un solo esempio, ma degno di nota: ne parla Il Resto del Carlino del 25 maggio 1944 nella cronaca di Bologna. La lettera era quella, assai diffusa negli anni ‘30, del “colonnello di fanteria”: si diceva fosse stata iniziata da quest’ultimo e andava spedita per tredici giorni, con recitazione dei consueti 13 Pater, Ave e Gloria; in tal modo si sarebbe ottenuta la consueta grazia.

In continuità col fascismo del Ventennio, e anzi inasprendone i toni, il Carlino commentava trattarsi di “una delle consuete, nefande idiozie, inventate da qualche disoccupato mentale intinto di disfattismo”. Anche per qualche redattore della stampa repubblichina, dunque, le catene di sant’Antonio erano una minaccia per il fronte interno.
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Il 12 aprile 1940 il principale quotidiano cattolico francese, “La Croix” dedicò mezza pagina per invitare i suoi lettori a “spezzare la catena”.


Usi “politici” della catena


Gli utilizzi delle catene durante le due guerre mondiali ci danno l’occasione per notare che il possibile uso politico delle “preghiere”, e in particolare il fatto che potessero suscitare sentimenti pacifisti o di opposizione al governo, fu sentito da molti come un pericolo.

In realtà, l’evidenza ci dice che quei testi esprimevano un generico malessere per le “cose del mondo”, ma non un pensiero politicamente organizzato. Un discorso diverso vale per le “vere” catene con scopi esplicitamente politici.

Ve ne presentiamo due. La prima è particolarmente interessante, perché prende di mira addirittura un presidente degli Stati Uniti e perché circola agli inizi del XX secolo, cioè nel momento in cui stavano per fare la loro apparizione le catene “moderne”, come le abbiamo chiamate in apertura. I dettagli li potete trovare nel box dedicato a questo documento.

La seconda è più recente. Lorenzo Bocchi, corrispondente del Corriere della Sera da Parigi, il 19 novembre 1965 spiega che in vista delle elezioni presidenziali francesi del 5 dicembre, un non meglio precisato “Sindacato di donne golliste” aveva fatto pervenire a un gran numero di elettrici una “catena dell’avvenire” che chiedeva di votare per il generale de Gaulle per consentirgli un secondo mandato, e di trasmettere la lettera ad altre cinque persone. Interrompendo la catena, numerose “disgrazie” si sarebbero abbattute sul Paese. Come in alcuni casi che vedremo a proposito dell’Italia post-bellica, nella laica Francia Dio non c’entrava.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nell’Italia “moderna”


La ricomparsa delle catene dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale fu immediata. Se ne parla su La Gazzetta del Mezzogiorno del 9 agosto 1945 in riferimento a una lettera che contiene una nuova invettiva della curia arcivescovile contro chi faceva girare le catene. La prima fonte è costituita dal Corriere d’Informazione del 12-13 giugno 1947, che ne segnala la diffusione a Milano e a Modena. La catena, che si dichiara proveniente “da un colonnello di fanteria”, racconta di un uomo di Padova che aveva riso della richiesta di contribuire alla diffusione della catena e la cui moglie aveva poco dopo dato alla luce un bimbo cieco; viene anche citata la storia di una donna che non l’aveva fatta girare ed “ebbe distrutta tutta la famiglia”.

La stessa versione, ma inquadrata nelle contrapposizioni politiche del tempo fra cattolici e comunisti, viene pubblicata il 3 aprile 1949 nella “Posta del direttore” de L’Unità. Nel testo, spedito da un lettore romano compare l’indicazione dei “premi” ricevuti da coloro che avevano contribuito a diffondere la catena, per esempio tredicimila lire che una donna aveva inaspettatamente ricevuto da un conoscente, e si avanza la richiesta di declamare tredici Pater, Ave e Gloria più un Salve Regina alla Madre delle grazie - tutto sotto l’egida del santo di Padova.

Una citazione degna di nota è rappresentata dall’articolo comparso su La Provincia di Cremona del 24 aprile 1949. Oltre ad affermare che dopo la fine della guerra la catena aveva avuto “uno sviluppo impressionante”, si spiega che parecchi ex militari avevano ricevuto a Cremona lettere del genere, che sarebbero state spedite da un parroco di un paesino dell’Abruzzo.

In realtà la cosa più plausibile è che queste versioni “abruzzesi” attribuissero l’avvio delle lettere a un sacerdote, proprio come all’inizio del XX secolo avveniva per vescovi di varie confessioni. Purtroppo, del fraseggio esatto di queste missive non sappiamo altro e dunque è impossibile suffragare in via definitiva questa ipotesi. Invece, La Provincia si dilungava nello spiegare che un po’ dappertutto circolavano “catene della buona fortuna” scritte “in un inglese fasullo che tradisce la educazione italiana di chi le scrive”. Si sarebbe trattato dunque di imitazioni nostrane volte a mimare le catene della buona fortuna di provenienza americana.

La Provincia spiega infatti che il testo inglese voleva far credere che la catena fosse stata iniziata da un ufficiale gollista in Africa e che tra i testimonial compariva anche il presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt. Secondo il compilatore della lettera, la sua elezione derivava dal fatto che il politico americano aveva ricevuto - e poi diffuso - una copia della catena!

Di rilievo anche il testo del tipo good luck, cioè della “buona fortuna”, di cui era in possesso un uomo di Milano che lo trasmise al Corriere d’Informazione, che lo pubblicò il 30 novembre-1° dicembre 1949.

Buona fortuna. Questa catena è stata inventata da un aviatore americano. Chi la rompe non avrà fortuna. Prego copiare questo foglio e guardare cosa succede entro quattro giorni. Manda questo e altre 14 copie a persone cui vuoi augurare buona fortuna. Grace Allen ha avuto 4000 sterline dopo aver copiato questo biglietto. F. G. Conet ne ha avute 24000 ma le ha perdute tutte perché la catena è stata spezzata da lui. Questo non è un gioco. Manda questo biglietto e altre 14 copie se non vuoi che la sventura ti colpisca.

Si trattava, dunque, di una versione “laica” , priva di riferimenti alla preghiera e a Dio, che sembra proprio la mediocre parafrasi di un testo anglosassone, con il riferimento alle sterline e l’invenzione di “un aviatore americano” dall’appeal simbolico maggiore dei nostri colonnelli di dieci anni prima.

La stampa cattolica, invece, continuava a preoccuparsi soprattutto delle versioni che, per com’erano scritte, lambivano l’ambito della competenza “religiosa”. Il 9 dicembre 1950 La Guida, espressione della diocesi di Cuneo, dedicava intere colonne alle lamentazioni contro la “fede-carta-velina” e contro la superstizione, vista come uno “spettro grottesco” della volontà di liberarsi della “fede autentica in nome della civiltà, della scienza, della libertà di pensiero”. Oltre alle proprie preferenze religiose, l’autore trasmetteva anche il testo che aveva davanti agli occhi.

Si sta facendo una novena alla SS. Vergine di Fatima allo scopo di estendere il suo culto. Essa consiste nel recitare un Pater ed un’Ave per nove sere consecutive. Spero che tu non romperai la catena che è stata approvata dai Minori Francescani ed è la quarta volta che si effettua nel mondo. Affinché continui invia copia di questo biglietto a nove persone prima del quarto giorno da quando lo hai ricevuto. A me lo ha mandato X; anche tu devi indicare chi te lo ha mandato. Questa è una devozione e ti prego di non romperla. Se non vuoi o non puoi ritorna questo biglietto ai Minori Francescani di Boston.

Nel quarto giorno riceverai una grazia.

Questa versione tendeva a “normalizzare” la catena in senso confessionale (cattolico) e, al tempo stesso, cominciava a ridurre le conseguenze che si sarebbero patite in caso di rottura della trasmissione (assai burocraticamente, bisognava rispedire il biglietto al presunto mittente!). Si direbbe quasi una variante “colta”, destinata a farsi accettare da persone di buona estrazione sociale. Si noti che il testo indicava il mittente, dunque chi lo spediva non aveva particolare timore di conseguenze sociali o di essere ritenuto uno jettatore.

Il 19 giugno 1951, il Corriere della Sera racconta con disgusto che, per fatalità, l’anno prima una donna di Milano aveva perso il marito in un incidente stradale lo stesso giorno in cui aveva ricevuto la catena spedita da un ufficio postale della sua città e che, dopo di allora, lo strazio si era ripetuto perché la catena le era arrivata altre due volte, gettandola nella prostrazione psichica. Poco dopo, il 1° luglio, il giornalista Sam Carcano sull’Avanti!, a fronte del rinnovato moltiplicarsi delle lettere a Milano (una l’aveva ricevuta anche lui) considera gli autori “o degli sciocchi, o dei filibustieri”.

A inizio luglio, interi quartieri di Torino saranno sommersi da migliaia di copie di una catena (Stampa Sera, 10-11 luglio) in una versione palesemente tradotta - in modo terribile - dall’inglese. Eccone il testo integrale, che, spiegava il quotidiano, era ricopiato a macchina, non più a mano.

Transport Comanden. AX Pon. Waschinton. - Questa manda a te fortuna. Ha fatto il giro del mondo ed è stato cominciato da un aviere americano. Chi rompe questo foglio non avrà fortuna. Non mandare denaro e mantieni questa copia. Prego conservare questa copia per quattro giorni e controllare quello che avverrà. Manda questo foglio ad altre quattordici persone alle quali vuoi augurare buona fortuna. Smit Albert ha guadagnato quattromila sterline dopo aver copiato questo testo, ed il Principe di Svezia due anni fa perì nella sciagura aerea perché la collana è stata da lui spezzata. Avrai fortuna in quattro giorni dopo aver ricevuto questa copia. Non è un gioco. Manda questo ad altre quattordici persone entro quattro giorni se non vorrai che la sciagura più grave ti colpisca anche nella salute.

Era una variante più estesa di quella del Corriere d’Informazione del 30 novembre-1° dicembre 1949 che abbiamo già visto e – questo è il punto – si trattava di qualcosa di diverso dalle “novene di Fatima” o dalle richieste di esercitare la devozione. Per la loro evidente derivazione anglosassone, si direbbero davvero importazioni rivolte ad un uditorio diverso da quello delle altre, quasi sempre preoccupate di essere “italiane” e attentissime al contesto del folklore religioso nazionale.

Un nuovo intervento del cardinale vicario del Papa


Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 12 dicembre 1953 apprendiamo che il cardinale vicario per la diocesi di Roma, Clemente Micara (1879-1965), aveva messo in guardia pubblicamente i cattolici dall’aderire alla pratica delle lettere a catena, un’esortazione che seguiva quella del 1905. Il rinnovarsi della preoccupazione era dovuto al fatto che Roma era inondata dalle catene di sant’Antonio.

Il timore era tale che il vicariato aveva disposto accertamenti per capire quali potessero essere le fonti delle missive. L’ansia per quella che era ritenuta una minaccia alla fede religiosa era dunque di nuovo altissima.
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Una variante statunitense, risalente agli anni ‘50 del XX secolo, della cosiddetta “catena sudamericana”, che fu a lungo tra le più diffuse in Italia.


La variante sudamericana


Vi raccontiamo in maniera più ampia una delle versioni più diffuse delle catene di sant’Antonio in Italia, che si può chiamare la variante sudamericana. La Gazzetta del Mezzogiorno del 12 dicembre 1953, che abbiamo appena ricordato, riferiva che “attualmente Roma è inondata da lettere-circolari di una pretesa ‘catena’ di S. Antonio, nella quale si accenna a un venezuelano miracolato”.

Questo articolo de La Gazzetta del Mezzogiorno è il primo a testimoniare l’arrivo in Italia di una versione della catena che avrà enorme diffusione per diversi decenni. Si tratta di una delle varianti “sudamericane” delle catene, menzionate più volte nei suoi lavori anche dallo studioso americano Daniel VanArsdale, ma non in date così antiche come da noi. La conosciamo in dettaglio grazie a Il Biellese del 2 marzo 1954: il numero di copie da fare saliva addirittura 24 e i testimonial diventavano cittadini di Paesi di quella parte del mondo. Un “certo Duaz”, soldato venezuelano, dopo nove giorni aveva ricevuto “in premio” un milione di dollari, mentre il signor Nuna, di Batarulla (Colombia), che non aveva ubbidito, aveva avuto la casa bruciata “con dentro alcuni parenti”, e il signor Peruec, anche lui venezuelano, per lo stesso motivo si era ammalato gravemente.

Gli errori di trascrizione di cognomi stranieri e di nomi di località sono sempre fonte di divertimento, ma insieme sono la prova della grande circolazione delle copie, ancora manoscritte o dattiloscritte, giacché indicano, nelle numerosissime storpiature, il numero elevato dei passaggi.

Lo schema delle nove copie da fare e dei nove giorni entro cui farle si ripresenterà in un’altra variante circolante a Torino pochi mesi dopo (La Stampa, 11 luglio 1954). Stavolta i nomi dei cattivi, che a volte paiono tratti dai racconti fantozziani di Paolo Villaggio, erano quelli del “generale Barmas” (di cui si dice che si ammalò mortalmente) e del “signor Scali” (che perse l’impiego). L’estate successiva (1955), nel Torinese una catena chiederà il rinvio “ad almeno sette persone”, altrimenti “i fulmini del cielo si abbatteranno su di te”, come accadde al “generale Ramas”, che perse la vita (di nuovo il cognome è ispanofono) o all’impiegato Fante (di Scali), rimasto senza lavoro (La Stampa, 11 agosto 1955).

Il 23 dicembre 1954 Il Popolo di Novi (Novi Ligure, Alessandria) uscirà in prima pagina con l’editoriale “La catena dell’ignoranza”, firmato dallo scrittore e studioso locale Egidio Mascherini (1928-1995). L’articolo denunciava l’azione delle “beghine” che inviavano nel Novese lettere senza francobolli, tassate. Anche stavolta, si sosteneva con nettezza, mittenti e destinatari erano in maggioranza donne. I testimonial richiamano la nostra variante latinoamericana. Il numero di copie era alto: occorreva farne ventiquattro escludendo i parenti. Era dunque una richiesta fra le più esigenti: di solito il numero di copie da fare non superava le tredici. Sebbene in origine la fatica per trascriverle fosse rilevante, a differenza delle originarie “lettere dal cielo” le catene di sant’Antonio si caratterizzano proprio per la loro semplicità formale e per la crescente perdita d’importanza del lavoro necessario per adempiere alla richiesta: il problema maggiore, naturalmente, stava nel costo dell’affrancatura (ma le catene erano spesso a carico dei destinatari...).

Comunque, per Il Popolo di Novi un signore venezuelano ricevette un milione di dollari dopo nove giorni, il colombiano Aurelio Nuem fece spallucce e perse parte dei parenti in una sciagura che colpì la casa, e lui diventò pazzo, il signor Sella ignorò la catena e morì in “un tragico incidente”...

Il 21 ottobre 1958, per chiudere il discorso sulla variante “venezuelana”, su Il Biellese un altro lettore che aveva ricevuto la catena in questa versione se ne faceva beffe e menzionava divertito uno dei testimonial, “Costantino Graz, dell’esercito venezuelano, che fece le 24 copie e dopo otto giorni ricevette un premio di 200.000 dollari”.

Negli anni ‘60 la diffusione delle lettere doveva essere talmente capillare che i maggiori quotidiani nazionali dedicavano lunghi articoli alla loro circolazione. La cronaca milanese del Corriere della Sera del 4 luglio 1965, per esempio, sotto la sigla “D. B.” parlava di Una catena da spezzare, si chiedeva chi potesse averla iniziata (si trattava dell’ormai consueta variante venezuelana, con altri testimonial come “Ivan Tissino”), e tirava in ballo qualche “psicologo che voleva collaudare un test sulla stupidità umana”. Sempre la catena venezuelana, l’anno seguente, ma stavolta sul Corriere della Sera dell’8 maggio 1966 menzionava san Giovanni invece del consueto santo padovano.

Molto bello anche il nome dell’iniziatore della catena sudamericana di cui parla il Corriere della Sera del 2 settembre 1967: un simpatico “Badone da Lodi”, che suona - certo in modo involontario - come il nome di qualche severo monaco medievale.

L’edizione di Lecce della Gazzetta del Mezzogiorno del 25 settembre 1979, racconta di una catena che circolava in città e che chiedeva di spedirne 48 copie, un numero record! Una richiesta talmente alta da far pensare che chi l’aveva ideata non avesse ben digerito le nozioni più elementari del marketing pubblicitario, dato che l’impegno necessario era del tutto eccessivo rispetto al solito. Si può comunque constatare che dagli anni ‘60 il modello diffusissimo delle nove copie, modellato sulla pratica della novena cattolica, lasciò spazio alla richiesta di un numero più alto di esemplari da riprodurre. Sovente si trattava di 24 copie. La cosa è un probabile riflesso della generale disponibilità di macchine da scrivere e, in modo progressivo, della diminuzione dei costi delle fotocopie.

Assolutamente coerente nel suo uso dei numeri era la “catena del 13” che nello stesso periodo inondava la Puglia: se dirai 13 pater, ave gloria a S. Antonio per 13 giorni di seguito, se entro 13 giorni spedirai 13 lettere come queste a 13 persone, riceverai dal santo 13 grazie. Se non lo farai, 13 disgrazie si abbatteranno sulla tua casa. I toni viravano verso il surreale grazie alla passione per il numero tredici, il più classico dei portajella (in realtà la struttura di base è quella di una catena diffusa in quei decenni, in cui le richieste sono in numero di tre) ma, si badi bene, il tredici è anche il giorno del mese in cui, in giugno, si festeggia il santo padovano.

Per l’intero arco degli anni ‘70 e ‘80 parecchie fonti ci testimoniano che la catena restò vivissima. Una copia ricevuta a Casale Monferrato (Alessandria) ai primi del 1982 fu pubblicata dal settimanale locale Il Monferrato il 23 gennaio di quell’anno. Si tratta ancora della variante venezuelana, la più popolare in Italia da quando fece capolino nel 1953, anche se i nomi dei testimonial stavolta sono tutti italiani, compreso quello del supposto starter dell’iniziativa.

Nell’estate di due anni dopo, sul Corriere della Sera del 7 agosto 1984, è il turno di una lettera imbucata a Firenze, che, come quella dell’estate del 1900 contro il presidente Usa McKinley, si poneva sotto l’egida di un versetto del vangelo di Matteo sulla potenza della preghiera (anche se non lo stesso di quello usato contro McKinley). Pur usando nomi diversi, anche questa sembrava imparentata con la versione sudamericana, ma in questa occasione si aggiunge all’elenco il povero “generale Vech”, morto sei giorni dopo aver ignorato la richiesta di far partire venti copie entro 96 ore dalla ricezione!

Un’iniziativa di altri tempi era stata avviata a inizio 1984 da un pretore di Padova, che aveva aperto un fascicolo ipotizzando il reato di abuso della credulità popolare per le catene che imperversavano in città (24 copie da fare in otto giorni); sembra che la cosa fosse all’attenzione della Pretura almeno da cinque anni (Stampa Sera, 16 gennaio 1984)!

Su La Gazzetta del Mezzogiorno del 22 novembre 1987 compare un intervento interessante di Stefano Tatullo. Si è detto prima che molte volte le lettere con le catene arrivavano con affrancatura a carico del destinatario. Tatullo, un po’ per gioco, un po’ sul serio, spiegava di averne ricevuta una anche lui. Alcuni rapidi calcoli gli avevano permesso di scoprire che per le 20 copie richieste avrebbe speso 17.000 lire, e che per farsi fare le fotocopie avrebbe dovuto mostrare al cartolaio che cosa stava facendo. Per questo, spiegava, aveva preferito passare la notte a battere le copie a macchina per poi spedirle agli amici senza francobollo…

In quel periodo si possono anche osservare alcuni lenti segnali della trasformazione del fenomeno in senso post-cristiano, quali la comparsa sempre più frequente di richiami alle religioni orientali, o la presenza di toni a tratti irriverenti verso la religione istituzionale. La stessa preoccupazione dei religiosi cattolici, un tempo vivissima, stava diventando meno intensa. Il francescano Nazareno Fabbretti su La Stampa del 19 gennaio 1987 se la prendeva con la “multinazionale dell’ignoranza”, ironizzando sugli errori di sintassi della variante venezuelana che aveva ricevuto. Contro la stessa catena, ancora agli inizi degli anni ‘70, lanciava invece invettive tutte interne a una logica confessionale (l’Ave Maria si rivolge alla Madonna, non a sant’Antonio!) un prete cuneese sul settimanale diocesano La Guida nel numero del 21 luglio 1972. Si tratta di tentativi diversi di contrastare la diffusione delle catene via via venuti meno sulla stampa cattolica mainstream, ma che riemergeranno in tempi più recenti sul web grazie ai segmenti più tradizionalisti del mondo cattolico.

Il 19 settembre 1986 sul Corriere della Sera Luciano Visintin annunciava la comparsa di quella che diventerà una delle catene più diffuse prima del passaggio all’era telematica, la catena del bacio. Non si trattava più di ingraziarsi un santo, ma di baciare qualcuno cui si voleva bene non appena ricevuta la lettera. Venti copie da spedire ad altrettanti destinatari e i nomi dei testimonial sempre più improbabili: “Arla Dadbet”, “Alla Pianchild”... Come farà L’Unione Monregalese un anno e mezzo dopo (il 14 settembre 1988), Visintin si chiedeva, scherzosamente ma non troppo, se non corrispondesse a verità l’ipotesi che si trattava di un’invenzione delle Poste o del governo per guadagnare dalle affrancature.
Cambiavano, cosa che poi diventerà più evidente nell’era telematica, i supporti usati per le catene. A metà anni ‘80 si diffonde infatti l’usanza di scrivere qualcosa (insulti, poesie, nonsense, disegni, simboli) negli spazi bianchi delle banconote da mille lire, quelle in cui era rappresentato Marco Polo. Vale la pena riportare per intero la formuletta citata dal Corriere della Sera del 14 ottobre 1986:
Chi è in possesso di queste 1000 L. dovrà a sua volta scriverne altri tre e se non lo farà senza soldi tutta la vita resterà, se invece lo farà S. Antonio lo proteggerà e miliardario diventerà. Auguri!!

Le catene nell’era telematica


Un episodio dei primi anni ‘90 dà l’idea di quanto le cose stessero cambiando. Su La Stampa del 14 gennaio 1991, Luigi Sugliano svela l’esistenza di una catena di sant’Antonio per VIP. Si trattava di uno scambio di mail benauguranti o vagamente scaramantiche, a quanto pare in origine in inglese, che individui con posizioni sociali elevate si scambiavano fra loro, talvolta usando logo ed intestazioni delle loro imprese. Si andava da Pininfarina, a Persol, a Rizzoli...

La logica era la solita: cinque copie da mandare a cinque conoscenti, pena la sfortuna. Ma a fare le copie erano le segreterie personali dei capi, i quali non disdegnavano di firmarle o di infiorettarle di proverbi cinesi. Non solo: diversi fra i mittenti erano ritratti, sorridenti e divertiti, nell’articolo di Sugliano. Si trattava dunque di un gioco e di un modesto espediente scaramantico, in cui la paura della punizione - o la minaccia “religiosa” - era scomparsa. Il contesto in cui era nata la catena dei VIP era quello della secolarizzazione e della presa di distanza dalla lingua e dai timori presenti nelle catene diffuse nella popolazione generale.

Su Il Piccolo di Alessandria, lo scrittore Danilo Arona, appassionato di leggende metropolitane, il 23 gennaio 1993 ricostruì la storia della catena per VIP, giunta in Italia a fine 1990 dalla Gran Bretagna, dove pare fosse stata iniziata in giugno dal giornalista Pierre Salinger, corrispondente della rete televisiva ABC Newsstatunitense.

Nella stessa scia, la primatologa e studiosa di scienze della cognizione Elisabetta Visalberghi su Tuttoscienze del 16 dicembre 1992 si stupiva del fatto che “un famoso collega inglese” le avesse inviato una catena che aveva avuto “origine in Olanda” e che doveva fare il giro del mondo venti volte. Indagando, aveva appreso che giravano lettere analoghe di antropologi, paleontologi, psicologi e primatologi, con intestazioni come quelle del King’s College di Londra. Molte erano scherzose, o flebilmente coperte dalla giustificazione di “esperimenti in corso” o da richieste di fondi che la circolazione delle catene avrebbe potuto garantire, scuse a fronte delle quali valeva la pena stare al gioco.

Quello stesso anno, sul Corriere della Sera del 22 gennaio Marisa Fumagalli sosteneva, senza purtroppo indicare la fonte dei suoi dati, che “negli ultimi tempi” almeno tre milioni di italiani avevano ricevuto una catena e che questo meccanismo produceva ogni anno “oltre 95 milioni di fotocopie”. Senza soffermarci sull’attendibilità delle cifre, forse derivanti da stime dell’Unione Nazionale Consumatori, è possibile che proprio in quel periodo, grazie alla diffusione dell’utilizzo delle fotocopiatrici, la quantità di esemplari in circolazione fosse davvero elevata.

Non sappiamo quando in Italia si cominciò ad usare la posta elettronica per le catene. Di solito si considera il 1995 come l’anno in cui il numero di collegamenti al web nel nostro Paese diventò rilevante. Si può supporre che, prima di diventare testi di e-mail, le catene siano circolate attraverso la tecnologia dei fax, che tuttavia passa attraverso la rete telefonica e dunque comporta costi e limitazioni notevoli. Il 19 febbraio 1999, la cronaca genovese de La Stampa lamentava la comparsa in città di e-mail con la catena di sant’Antonio. Questa volta, la fortuna, a quanto pare, sarebbe stata più grande al crescere del numero di inoltri fatti. Il 4 settembre dello stesso anno, lo scrittore Nico Orengo direttore di Tuttolibri commenta le nuove forme assunte dalle catene. Catene via e-mail, catene che invece di citare figure rappresentative del cattolicesimo si arricchivano di riferimenti esotici come “Nepal Good Look [probabile errore per “Luck”, N.d.A.] Tantra” ed erano costellate di consigli salutisti: mangia molto riso integrale, sorridi prima di rispondere al telefono, non ridere dei sogni altrui. E infatti Orengo sottolinea che erano certamente meno minacciose di quelle di un tempo.

L’Oriente si prendeva così la sua rivincita. E il 22 dicembre 2007 il Corriere di Novara riferiva della diffusione di e-mail che veicolavano la catena “del precetto cinese” attribuita ad un monaco missionario, mentre un numero infinito di messaggi virali si sovrapponeva e si confondeva con le catene dal contenuto più o meno religioso.

Tutto ciò non toglie che un prete di Mondovì (Cuneo), su L’Unione Monregalese del 15 giugno 2010, lamentasse il dilagare via sms di una catena che gli ricordava quella “vecchia” di sant’Antonio. Si trattava di un breve testo che era inviato a nome della “Madonnina”, suscitando le ire del sacerdote, visto che attribuiva parole e atti di Gesù a Maria... In questa nuova versione, si chiedeva di diffonderne cinque copie per ricevere quattro minuti dopo gli invii “un miracolo”.

Insomma, per dirla col più classico adagio delle teorie della comunicazione, quello di Marshall McLuhan, davvero, qui, il mezzo è il messaggio. Con gli sms la “grazia” non arriva più, come per le lettere cartacee, dopo giorni e giorni, ma... dopo quattro minuti!

Le catene di sant’Antonio: mutate ma sempre più virali


Tre delle sei catene che vi presentiamo nei box che accompagnano questo articolo sono state concepite per circolare su Internet, attraverso i social network e soprattutto tramite i servizi di messaggistica che ognuno di noi impiega quotidianamente. Sono gli esemplari recenti della mutazione del fenomeno delle catene che abbiamo ricostruito in questo articolo.

Come abbiamo visto in questo viaggio, alle origini vi sono le “lettere dal cielo”, che erano un sistema per diffondere credenze di tipo magico che costava soldi e fatica: gli elaborati erano bellissimi, complicati, costruiti in pochissime, preziose copie. Per renderli desiderabili, chi li creava attribuiva loro una origine divina. Con le catene di sant’Antonio “classiche” le cose si semplificano. Si fa sempre fatica a scriverle, ma ora contengono testi brevi, senza abbellimenti. Certo, bisogna affrancarle, ma i costi complessivi sono modesti. Macchine da scrivere e carta carbone prima, fotocopie poi, accelerano il compito.

Con l’arrivo della telematica le varianti si moltiplicano, e in moltissimi casi è impossibile capire se chi fa circolare le catene odierne ne sia il creatore.

Al contempo, il sogno della viralità delle catene di sant’Antonio è realizzato. Spedirle, riprodurle (e cestinarle) non costa niente, tranne un po’ di tempo. Sotto forma di filastrocche, catene per la meditazione o per la Madonna di turno, per Buddha, per ottenere soldi, sesso o altro, le catene di sant’Antonio sono sullo smartphone di gran parte di noi, lettori di Query compresi.

In questo quadro, non mancano le sorprese. Forse per scarsa dimestichezza con i social, forse pensando di interessare uno specifico target, di recente qualcuno ha provato a rinverdire i fasti delle vecchie catene cartacee.

Pochi mesi fa, riferisce il 14 settembre scorso l’edizione locale de La Nazione, nel duomo di Castelnuovo Garfagnana (Lucca) sono stati ripetutamente lasciati dei fogli fotocopiati che invitavano a dire una certa preghiera per sei giorni consecutivi, per ottenere la guarigione di una persona, oppure a declamarne una diversa per un mese, per rendere la famiglia di chi la recitava indenne dalle malattie. I sacerdoti contattati dal giornalista ritenevano che quel comportamento fosse volto “ad angosciare” i frequentatori della chiesa e che l’autore aveva ricevuto il testo via mail o via social, e ne aveva poi fatto una copia cartacea. Un curioso ibrido fra vecchio e nuovo, che però testimonia il motivo antropologico antichissimo che sta al fondo di questo genere di catene: la trasmissione fiduciosa di un oggetto, di una formula, o di entrambi, che attiva una potenza di tipo magico dalle notevoli capacità protettive.

Terminiamo questo excursus sulla storia delle catene con un appello: se qualcuno tra chi ci legge conosce qualche esempio di catena antica o moderna, gli chiediamo di trasmettercela, per aiutarci a seguire l’evoluzione di questo articolato fenomeno. Ci rendiamo conto che si tratta di una richiesta quasi paradossale trattandosi di catene: ma invece che allungarle, mandarcele contribuirebbe ad arricchire la nostra analisi e in questo senso anche a depotenziarle.

Note

1) Giuganino, Floriana; Stilo, Giuseppe. “Le origini e la prima diffusione delle ‘catene di sant’Antonio’ in Italia”, Quaderni di semantica. Rivista internazionale di semantica teorica e applicata, n. s., vol. 5, 2019, pp. 307-368.
2) VanArsdale, Daniel W. “Chain letter evolution”, 1998-2016. Disponibile all’url: http://www.silcom.com/~barnowl/chain-letter/evolution.html
3) Bonnet, Serge; Delestre, Antoine. “Les chaînes magiques”, Revue des Sciences Sociales, n. 13bis, 1984, pp. 383-402.
4) Manzinali, Eymerich. “Foi et superstitions pendant la Première Guerre mondiale”, 2017-2018, disponibile all’url: http://spokus.eu/foi-superstitions-premiere-guerre-mondiale-chaines-de-prieres/
5) Le Quellec, Jean-Loïc. “Des lettres célestes au “copy-lore” et au “screen-lore”: des textes bons à copier”, Réseaux, 13 (74), 1995, pp. 145–190.
6) Radchenko, Daria. “Dealing with Danger: The Practices of Keeping and Discarding Magical Letters”, Incantatio, 2017, 6, pp. 24–36.
7) Dundes, Alan. “Chain Letter: A Folk Geometric Progression”, in: Dundes, Alan; Bronner, Simon J. The Meaning of Folklore: The analytical essays of Alan Dundes, 2007, Logan, Utah State University Press, pp. 422-424.
8) Gemelli, Agostino. Saggi di psicologia militare, 1917, Milano, Treves.
9) Caravaglios, Carlo. L’anima religiosa della guerra, 1935, Milano, Mondadori.
10) Cappelletti, Ugo. Firenze in guerra. Cronache degli anni 1940-1945, 1984, Prato, Edizioni del Palazzo.


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William McKinley (1843-1901), venticinquesimo presidente degli Stati Uniti, fu vittima di una proto-catena di sant’Antonio nell’estate del 1900.

Una catena contro un presidente americano!


Le catene “religiose” moderne, nella loro forma compiuta (con testi da trasmettere, testimonial, ecc.) compaiono intorno al 1905, ma furono anticipate da varianti come questa curiosa campagna politica. Si poteva infatti pregare in catena, via lettera, affinché un presidente degli Stati Uniti, non fosse rieletto, visto che a giudizio di alcune chiese protestanti non si era impegnato abbastanza nella lotta all’alcolismo e al “vizio”. Ecco allora la catena avviata da un’organizzazione femminile protestante, la Woman's Christian Temperance Union.

Considerato che il presidente McKinley ha dimostrato di preferire i favori dei liquoristi di questa nazione a quello dei milioni di cristiani che gli avevano rivolto una petizione affinché espellesse dall’Esercito la vergogna delle cantine, mi impegno a quanto segue:

1. Prometto solennemente che sino al giorno delle elezioni sarà oggetto di preghiera al mio Padre Celeste che per i prossimi quattro anni Egli dia agli Stati Uniti un Presidente migliore - qualcuno che terrà il vino lontano dalla tavola della Casa Bianca, che se ne asterrà lui stesso completamente e che farà tutto ciò che è in suo potere per far cessare il traffico dei liquori.

2. Prometto inoltre che farò almeno due copie di questa lettera, e ne spedirò una copia a qualche sorella nello Stato in cui vivo e l’altra copia a qualche sorella in un altro Stato.

Matteo XVIII, 19
(Stati Uniti, agosto 1900)


La “catena sudamericana"


Una delle caratteristiche fondamentali delle catene “classiche” di Sant’Antonio è la presenza di elenchi di testimonial, cioè di persone che hanno avuto benefici o subìto catastrofi, se hanno seguito o trascurato le istruzioni per la diffusione della catena. Questi elenchi ad un certo punto diventarono quasi preponderanti rispetto all’insieme della lettera e le minacce per la mancata trasmissione della lettera crebbero sino a raggiungere caratteristiche ridicole, per esempio nella “variante sudamericana”, che di solito asseriva di provenire dal Venezuela. Sotto forme diverse fu massicciamente presente in Italia per più di trent’anni a partire almeno dal 1953. Eccone un esemplare.

Questa catena proviene dal Venezuela. E’ sorta a S. Leone Dimingo. Ne faccia 24 copie e le mandi ai suoi amici ma non parenti anche se lontani: prima che passino i 9 giorni avrà una grandissima sorpresa. Anche se non superstizioso tenga presente i fatti che seguono e che hanno dimostrato quanto scritto: Rachele Diaz, dell’esercito venezuelano ricevette la lettera, fece le copie e le distribuì agli amici, dopo solo 9 giorni, ricevette un premio di un milione di dollari. Aurelio Kelluce Barquillo (Columbia) la ricevette e la buttò via ma la sua casa sofferse una gravissima sciagura, nella quale perse la vita la gran parte dei familiari. Agustin Deveun, generale dell’esercito venezuelano, ricevette la lettera ma non si curò di fare subito le copie. Soffrì una grande malattia, più tardi si ricordò delle lettere ed ordinò al suo segretario di fare le copie e di mandarle. La reazione fu rapida le sue condizioni di salute eccellenti. Un impiegato ricevette la lettera e fece le copie, però si dimenticò di spedirle e perdette il posto. Ricordandosi e mandate le copie, ottenne subito un impiego migliore del precedente.

Tale Sollaro la scrivette ma non ebbe cura di inviarle, ebbe un impiego e morì. Per nessuna ragione al mondo la catena di S. Antonio si deve interrompere. Faccia le copie e le distribuisca, prima che passino i nove giorni avrà una grandissima sorpresa.

(Lombardia, febbraio 1955)


La catena del pensiero positivo e della “fortuna”


Questa è una delle catene che mostrano il passaggio dal quadro della religiosità tradizionale a quella new age, che esplose anche in Italia nella seconda metà degli anni ‘80 del secolo scorso e che fu caratterizzata dalla presenza di molti suggerimenti mirati alla “crescita personale”. A quegli anni risale probabilmente il testo che leggete sotto. Ancora diffuso in fotocopia, non contiene più riferimenti a “preghiere” e prevede che sia possibile non subire le solite pene previste per chi trascura o dimentica di rispedire la lettera: è infatti sufficiente farlo, anche se in ritardo rispetto ai tempi indicati. Nell’era telematica, infatti, diventeranno preponderanti proprio quelle catene in cui la minaccia è limitata e non si va più incontro a conseguenze personali terribili.

Pensiero positivo

Bacia qualcuno, a chi vuoi bene quando riceverai questa lettera, anche perché è arrivata per portarvi fortuna. L’originale di questo messaggio è conservato in una chiesa in Inghilterra e gira il mondo da 9 anni. La fortuna ti è stata inviata avrai fortuna nei prossimi giorni. LEGGI CON ATTENZIONE, questo non è uno scherzo. Dopo averla ricevuta avrai molta fortuna. AUGURI. Non inviare denaro poiché la fortuna-felicità non ha prezzo. Invia questo messaggio alle persone che pensi abbiano bisogno di molta fortuna. Non conservare questa, perché questa lettera non può restare ferma più di 4 giorni.

Un ufficiale dell’esercito americano ha ricevuto 70mila dollari inaspettatamente. Norma Elliote ha ricevuto 243mila dollari. Philipe Geven ha ricevuto la lettera, non gli ha fatto caso e ha perso la moglie in 6 giorni. Questa corrente è stata iniziata in Venezuela e deve circolare in tutto il mondo.

Non è un gioco né una superstizione, è una corrente che porterà una sorpresa nei prossimi giorni (4). Inviala a 20 persone. In Brasile, Cesar Diaz ha ricevuto la lettera nel 1983 ha ordinato alla segretaria di fare 20 copie e dopo qualche giorno ha vinto milioni alla lotteria. Carlos Moeira ha ricevuto la lettera e l’ha conservata, ha perso il lavoro. Quando si è ricordato, ha distribuito 20 copie, e dopo 13 giorni ha trovato un nuovo lavoro. Non inviare denaro e non ignorare il contenuto di questa lettera. Per amore di te stesso, credici, il PENSIERO POSITIVO fa miracoli!!!! RICORDATI!!! Questo messaggio forma una corrente molto forte. La lettera funziona veramente, inviala con molto amore. Non ti costa niente.


“Ho scelto bene i miei quindici amati”


Con questo testo recente si torna ad un classico contesto cristiano, ma con molte novità. Si tratta di una “preghiera di guarigione” e, se si decide di non inviarla, si richiede solo di informarne il mittente. Tutto diventa più morbido e piacevole. La cosa è ancora più evidente se si presta attenzione al fatto che chi scrive è fiducioso nel fatto che la catena proseguirà. Non perché si ostenta autorità o perché si suscita paura, ma perché chi l’ha redatta pensa di aver scelto bene “i 15 amati” cui assegna il privilegio di adempiere alla richiesta, che è fatta “col cuore” e attraverso la rete, non più inviata nella buca delle lettere o via fax.

Dì questa bella preghiera di guarigione e cerca di non romperla. Se non puoi inviarla, fammi sapere, anche se penso di aver scelto bene i miei 15 amati. Mandalo a chiunque pensi ne abbia bisogno: Padre Nostro, entra nella mia casa e porta via tutte le mie preoccupazioni, malattie, paure e, per favore, proteggi i miei fratelli, i miei figli, i miei amici e tutta la mia famiglia, nel Nome di Gesù, Amen. Smetti di fare quello che stai facendo e mandalo.

Non la bloccare, te lo chiedo col cuore.

(presente sul web in anni recenti)


La “catena delle 1000 Ave Maria”


Questa catena dei nostri giorni è esemplificativa di un’altra evoluzione. Le prime “lettere dal cielo” contenevano testi “lunghi”. Le catene moderne sono spesso brevi o brevissime, in particolare quelle via web. Anche in questo caso si chiede a chi non intende proseguire la catena di avvertire il mittente. Malgrado il testo parli di grande “potere” della “preghiere delle 1000 Ave Maria”, la struttura della catena sembra poco capace di suscitare emotività o specifici comportamenti “superstiziosi”.

Sto partecipando alla preghiera delle 1.000 Ave Maria. Si recita un’Ave Maria con l’intenzione di Luce all'umanità... poi si chiede a 10 persone di fare altrettanto, inoltrando il messaggio. Non interromperla x favore... ha molto potere e in questi tempi serve così tanto... accetti? Se no, avvisami. Grazie!

(presente sul web in anni recenti)


La “preghiera di san Cipriano”


San Cipriano di Antiochia o san Cipriano il mago (cui si attribuisce questa orazione-catena) probabilmente non è mai esistito, tanto che la stessa chiesa cattolica lo depennò dal calendario liturgico nella riforma del 1969. La venerazione per san Cipriano sorse nel V secolo grazie alla promozione della sua figura fatta in un poemetto dell’imperatrice bizantina Elia Eudocia e nelle agiografie di Simeone Metafraste, due opere che non avevano un intento di resoconto storico e che furono pensate come “esempi” per i credenti. Vi si racconta che Cipriano era un potente mago di Antiochia, che avrebbe tentato un incantesimo d’amore su santa Giustina di Antiochia per conto di un uomo innamorato di lei. Tale incantesimo fallì perché Giustina era cristiana e dunque protetta da Dio, cui si era votata. Colpito da questo accadimento, Cipriano si sarebbe convertito al Cristianesimo rinnegando il suo passato da mago e sarebbe diventato vescovo di Antiochia e poi martire.

Dal Medioevo in poi, la leggenda di san Cipriano ebbe grande successo. Tra il Cinquecento e l’Ottocento si contano diversi “Cipriani”, libri di magia che si rifacevano alla leggenda del santo e che venivano spacciati per suoi scritti. Queste opere sono in genere elenchi di incantesimi o di rituali magici. Se anche la preghiera contenuta nella catena risaliva a uno di questi manuali di magia antichi, detti anche grimori (e vi sono ragioni per dubitarne), si tratta comunque di un'opera da leggere nel contesto del tempo, oggi reinquadrata per usi più adatti a quelli dei nostri giorni, fra i quali, naturalmente, la trasmissione virale.

L’esortazione finale a divulgare il testo è di certo aggiunta successivamente al racconto agiografico sulla conversione, ed è proprio l’indizio che la “preghiera di san Cipriano” ha molto più a che fare con le catene di sant’Antonio che non con i “grimori”, che contenevano spesso raccomandazioni a tenere segreto quanto veniva rivelato.

Questa Orazione va recitata con estrema fede e convinzione, senza tentennare, per 3 giorni di seguito. Negli spazi liberi, ovviamente, va detto il nome della persona amata. Va recitata una volta al giorno e al terzo giorno, dopo averla recitata per l’ultima volta, bisogna divulgarla in 3 posti diversi come siti, forum, blog, volantini etc.

Nel momento in cui si recita questa orazione non bisogna mettersi in contatto con la persona che volete che ritorni, ma dovete avere pazienza e aspettare che san Cipriano faccia tutto Lui per voi. Se gli dimostrerete fede, esaudirà i vostri desideri...

Pregare per tre giorni e divulgare in tre posti diversi. Dovete avere fede!

Per il potere di S. Cipriano e delle 3 anime che lo affiancano, _____ venga adesso in me.
Fa arrivare _____ a me strisciando, innamorato, pieno d’amore, di desiderio e fa che mi chieda perdono se mi ha mentito, fa che mi chieda in fidanzamento e dopo in matrimonio, il più rapidamente possibile.

San Cipriano tu che hai il potere fa che dimentichi e lasci in un colpo solo qualunque moglie o donna o ragazza che abbia in testa e si dichiari a me in modo che tutti lo sappiano. San Cipriano allontana da _____ qualunque donna o ragazza e che io possa averlo in ogni momento da oggi e ora, che lui desideri stare al mio fianco, che abbia la sicurezza che io sia la donna perfetta per lui. Che _____ non possa vivere né stare tranquillo senza di me e che _____ abbia sempre sempre sempre la mia immagine nella sua mente nel suo cuore nella sua anima.

Ovunque esso sia e con chiunque il suo pensiero sarà per me. e coricandosi mi dovrà sognare e al risveglio pensi a me, non dovrà mangiare ma pensare a me, dovrà pensarmi in tutti i momenti della sua vita.

Che mi possa amare veramente, sentire il mio odore, toccarmi con amore, che _____ voglia abbracciarmi, baciarmi, affiancarmi, proteggermi, amarmi 24 ore al giorno ogni giorno, in modo che anche io possa amarlo e che lui senta piacere anche solo sentendo la mia voce. San Cipriano fa che _____ senta un desiderio di me fuori dal normale, come mai per nessun’altra persona donna ragazza sente e sentirà.

Che voglia giacere solo con me e che abbia solo desiderio per me, che il suo corpo la sua mente i suoi pensieri il suo cuore il suo amore la sua anima tutti i suoi sentimenti appartengano solo a me soltanto a me e che abbia pace pace solo con me.

Ti ringrazio San Cipriano per questo lavoro che farai per me e ti offro la divulgazione del tuo nome come ricompensa per aver addomesticato completamente in tutti i suoi sentimenti _ e averlo fatto innamorare di me, facendolo diventare carino, fedele e pieno di desiderio per me. Così è così sarà così sia.

(presente sul web in anni recenti)

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