Alle radici del fenomeno: capire la percezione degli UFO

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  • 25-05-2022
  • di Paolo Toselli
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©Ilaria, 9 anni.
Sempre più sovente ci viene suggerito di non fidarci della testimonianza umana. D’altra parte, ogni giorno noi accettiamo quasi incondizionatamente non solo quello che riteniamo di aver visto coi nostri occhi, ma anche quello che ci viene raccontato dagli altri, più o meno a noi vicini.

Di fatto, da quasi ottant’anni, la maggior parte dei fenomeni UFO è da ricondursi alla testimonianza e ai ricordi di una multiforme quantità di osservatori, di solito casuali, che, proprio per la loro natura umana, sono soggetti a distorsioni di percezione e di memoria. Gran parte degli avvistamenti UFO si può spiegare con incomprensioni di stimoli alquanto prosaici. Tra i soliti sospetti ci sono meteore e rientri atmosferici, corpi celesti (stelle e pianeti), aerei, elicotteri, satelliti artificiali, lanterne cinesi, palloni meteorologici, e così via. Ma proprio la numerosità di questi episodi (circa il 90% delle osservazioni raccolte) conferma, a sua volta, il fatto che i racconti dei testimoni sono abbastanza “precisi” da permettere a posteriori l’identificazione di quello che era stato etichettato come “UFO”. In un’indagine condotta nel maggio 2007 tra i lettori del mensile Focus, alla domanda «Hai mai visto in cielo un UFO o qualcosa di simile?» il 38,5% ha risposto affermativamente. In un sondaggio di opinione commissionato dal CISU (Centro Italiano Studi Ufologici) nel 1987 alla Doxa, alla stessa domanda aveva risposto sì il 6,5% degli intervistati, pari a circa tre milioni di italiani. Se applichiamo queste proporzioni alla popolazione terrestre, è inevitabile chiedersi: che cosa conduce alcune centinaia di milioni di esseri umani a vedere nel corso della propria vita quello che comunemente è definito come UFO, che secondo il vocabolario Treccani è un «oggetto volante di natura non accertabile, ritenuto, secondo ipotesi più o meno fantasiose, un mezzo di navigazione o di osservazione spaziale di esseri extraterrestri»? Già nel 1979, il sociologo statunitense Ron Westrum sottolineava come vi fossero «molti individui che possono avere una forte inclinazione psicologica a percepire degli stimoli ambigui come degli UFO»[1]. Uno stimolo ambiguo è, ad esempio, una fonte luminosa vista brevemente di notte, dove l’ambiguità è data dalla modestia e dalla staticità di informazioni fornite, ma anche dall’avere a disposizione molte potenziali interpretazioni.

Se poi consideriamo, come sottolineato dal neuroscienziato americano Beau Lotto, che tutti gli stimoli sono di per sé privi di significato perché le informazioni che toccano i sensi, o anche quelle create dai sensi stessi, possono non dire assolutamente nulla, una possibile risposta alla domanda che ci siamo fatti forse inizia a delinearsi. Lotto aggiunge: «Tutto ciò che passa attraverso le finestre della nostra percezione è aperto a infinite interpretazioni perché le fonti delle informazioni sono moltiplicativi: vale a dire che le informazioni provenienti dalle molteplici fonti del mondo esterno vengono di fatto moltiplicate fra loro, dando origine a informazioni ambigue»[2].

Lo psicologo Manuel Jiménez sin dai primi Anni 80 del secolo scorso ha lavorato per l’ex GEPAN (ora GEIPAN), gruppo di indagine sui fenomeni UFO nato nel 1977 in seno all’agenzia spaziale francese CNES. Nel 1994 ha conseguito il dottorato con una tesi sulle testimonianze UFO[3], e nel 1997 ha pubblicato presso l’editore Flammarion il volume La psychologie de la perception in cui aderisce a un approccio funzionalista della percezione attraverso un costruttivismo radicale: in termini più piani, ciò che noi percepiamo è conseguenza di una costruzione che utilizza conoscenze da noi in precedenza acquisite. Per questa posizione non sarebbe più necessario differenziare tra percezione errata e percezione veritiera. Quelli che abitualmente definiamo errori percettivi sono il risultato dell’applicazione di uno schema inadeguato o particolare. In quest’ottica, molte testimonianze riferite ai fenomeni UFO non sono da considerare come errori percettivi o come deliri, bensì come il risultato dell’applicazione di uno schema cognitivo, ovvero l’insieme delle caratteristiche prototipiche di un oggetto o di una classe di oggetti, intese come gruppo di costanti percettive e di conoscenze associate. Per Jiménez è quindi necessario studiare, assieme alle testimonianze, ruolo e origine di questi particolari schemi.

Sempre secondo Jiménez, «uno stimolo rapido o evanescente può favorire il nascere o la persistenza di percezioni singolari. Di fatto, la rapida scomparsa dello stimolo impedisce, in concreto, d’invalidare un’identità non adeguata.»

Partendo dall’analisi delle relazioni sugli avvistamenti raccolti dalla Gendarmeria francese (1383 rapporti di osservazione), lo psicologo riscontrò che la maggior parte delle testimonianze, dopo adeguata analisi, poteva essere ricondotta a fenomeni fisici noti. I rientri atmosferici in alta quota di frammenti di satelliti o razzi e il passaggio di meteore rappresentavano nel campione analizzato addirittura il 60% circa delle osservazioni. Nel caso delle meteore e dei rientri, era netta la presenza di testimonianze riferite a uno stesso evento che, tuttavia, differivano notevolmente tra loro. Le differenze tra il fenomeno noto e le descrizioni che i testimoni ne fanno e tra le molteplici descrizioni dello stesso evento pongono ancor oggi parecchi interrogativi, non sempre di ovvia soluzione.

Quali sono i processi percettivi, mnemonici e sociali capaci di render conto di queste differenze?

L’attenzione di Jiménez si concentrò sia sul momento che precede il rilascio della testimonianza, sia su ciò che accade nel corso della stessa osservazione a causa dell’incomprensione del testimone nei confronti del fenomeno osservato.

Così, nel caso di rientri atmosferici o di osservazioni di bolidi molto luminosi, la velocità con cui si verifica il fenomeno conferisce ambiguità alle caratteristiche dello stesso. Tale circostanza favorisce l’applicazione di più schemi cognitivi, che conducono a identificazioni percettive differenti. A causa dello scarso contenuto informativo che arriva dallo stimolo, è lo schema prescelto che contribuisce alla definizione delle caratteristiche strutturali percepite e - di conseguenza - descritte nel corso del racconto fatto in un secondo momento ai media, ai parenti, agli ufologi...

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©Raffaella, 9 anni.
Jiménez ha elaborato un altro concetto importante. Si tratta di quello che nel suo lavoro ha definito «specificità dell’identificazione percettiva». Si tratta di questo: un’identificazione ampia e poco specifica sottende l’uso di termini generici, quali “luce” o “fenomeno”. Al contrario, l’utilizzo di termini più specifici, quali “UFO” o “disco volante”, comporta una maggiore specificità della identificazione percettiva.

Partendo dalle testimonianze dei casi per i quali era stato possibile risalire a una spiegazione, estratte dai dossier della Gendarmeria francese, l’autore ha dunque catalogato e sottoposto ad analisi fattoriale i termini utilizzati dai testimoni per definire il fenomeno osservato, mettendoli a confronto con alcune caratteristiche riferite (distanza, altezza, dimensioni, velocità, dettagli accessori). Il risultato dell’analisi è che i particolari riferiti dai testimoni aumentavano con la specificità linguistica dei termini impiegati.

Ma, dunque, da dove arrivano gli schemi cognitivi delle testimonianze UFO?

Più o meno nel periodo nel quale Jiménez iniziava la sua collaborazione col GEPAN, chi scrive diede vita a una piccola ricerca, denominata “Avvistamento indotto”, che dapprima, nel dicembre del 1979, ebbe per scena una scuola elementare di Alessandria (classi dalla 3° alla 5°) e poi, nel marzo 1980, una scuola media inferiore della provincia.

Il test era diviso in tre parti: un foglio in cui era richiesto, dati anagrafici a parte, di immaginare, scegliendo il luogo e l’ora, di essere protagonista di un avvistamento UFO, e di raccontare e disegnare quanto fantasticato. Conclusa questa prima parte era consegnato ai soggetti un altro foglio con alcune domande volte a verificare le conoscenze e l’interesse per l’argomento UFO da parte del rispondente.

Considerando i 128 questionari compilati nelle classi della scuola media, ben il 39% si riferiva a racconti di quelli che in gergo ufologico sono detti incontri ravvicinati del terzo tipo (ossia all’osservazione di “esseri” insieme all’UFO) e il 15% a “rapimenti” (quelli nei quali il soggetto è condotto forzatamente a bordo dell’UFO). Queste tipologie erano riferite da maschi e femmine in egual misura. I soggetti risultarono poco influenzati sia dal film di Steven Spielberg Incontri ravvicinati del terzo tipo, allora di recente uscito (lo aveva visto il 43% dei rispondenti), sia dalla serie televisiva americana Project UFO, allora ampiamente programmata dalle reti tv locali (era stata vista da oltre il 70% dei partecipanti).

Lungi da me qualsiasi generalizzazione, riscontrai, invece, somiglianze spesso sorprendenti tra i casi “inventati” dai partecipanti e quelli “reali” – dove per “reali” intendo i resoconti testimoniali presenti negli archivi casistici del CISU.

Ad esempio, il campione utilizzato ha immaginato che la maggior parte (84%) degli incontri ravvicinati con presenza di entità animate accadesse di sera o di notte, in un luogo isolato (campagna, bosco, strada, ecc.) o in una zona nelle vicinanze della propria abitazione. La corrispondenza con le caratteristiche della casistica italiana raccolta dal CISU[4] è risultata rimarchevole. I testimoni erano quasi sempre soli (circa 85%). Una sola entità animata era stata osservata nel 39% dei casi, mentre il resto si riferiva a più creature. L’ingresso in scena dell’UFO è una delle costanti più significative nella descrizione degli incontri ravvicinati: una luce forte o un suono bizzarro e intenso precede l’apparizione dell’UFO, che si manifesta solo dopo questi segnali premonitori. Simili particolari si riscontrano anche negli incontri con altre creature magiche del folklore classico. L’aspetto umanoide degli extraterrestri è descritto in oltre il 50% dei casi, seguito a distanza dal tipo robot.

Nel 1982, insieme al matematico Philippe Besse, Jiménez condusse, sempre in Francia, una nuova ricerca[5] alla quale parteciparono stavolta 1195 soggetti.

Fu loro domandato di immaginare l’avvistamento di un UFO e di descrivere le circostanze dell’osservazione. Analogamente a quanto riscontrato nell’esperimento nostrano, Jiménez sottolineò che il contesto dell’osservazione (orari, condizioni meteorologiche, ambiente) presentava numerose similitudini con le inchieste della Gendarmeria sui casi che era stato possibile identificare. Un’eccezione è costituita dalla stagionalità, che nell’insieme immaginato è fortemente concentrata in estate (che gli UFO siano visti di più nella bella stagione è un classico luogo comune ufologico) rispetto a una distribuzione mensile assai più diversificata per i casi “reali”.

Si può pertanto ritenere che conoscenze non di tipo percettivo, trasmesse socialmente, predispongano alla creazione di schemi percettivi particolari, e tra questi, anche di quello degli UFO. La cultura può proporci schemi nuovi che ne sostituiscono altri e che possono diventare più plausibili in certe occasioni. Pare pertanto che la maggioranza della popolazione abbia acquisito ormai da molto lo schema soggiacente all’incontro con l’UFO. Questo meccanismo può dar ragione di quel 90% degli avvistamenti di presunti UFO, ossia di quelli che si riesce a ricondurre a cause convenzionali e che contribuiscono alla costruzione sociale del fenomeno.

E per il resto, ovvero per i casi che, anche dopo adeguate indagini, rimangono non identificati? Escludendo mistificazioni e possibili disturbi clinici, si può supporre che quegli stessi processi, sommati all’influenza sociale e alle interferenze cognitive di solito introdotte durante la richiesta di rievocazione di un’esperienza, possano spiegare anche parte dei “veri” UFO.

Insomma, come sottolineava quasi agli inizi dell’era ufologica moderna Karl Popper, «ciò di cui abbiamo bisogno non è, forse, la spiegazione dei dischi volanti, ma quella dei resoconti delle apparizioni dei dischi volanti; tuttavia, se i dischi volanti esistessero davvero, non ci sarebbe più bisogno di altre spiegazioni di tali resoconti»[6].

Nel fenomeno UFO esiste un notevole rumore di fondo che non è mai stato del tutto eliminato, e che, anzi, sembra crescere sempre più, rendendo anche impossibile avere un’idea chiara del “segnale” (cioè dei “veri UFO”) che dovrebbe esistere in mezzo a tutto ciò. Sempre che la causa del presunto segnale non sia quello stesso rumore di fondo. Una cosa a me pare assodata: il fenomeno UFO continua ad essere un problema che non è razionale ignorare, o ancor peggio ridicolizzare. Ormai da tempo, infatti, si è trasformato in un elemento delle dinamiche sociali della nostra epoca.

Note

1) Ronald Westrum, Witnesses of UFOs and Other Anomalies, in Richard F. Haines (a cura di), UFO and the Behavioral Scientist, The Scarecrow Press, Metuchen, N.J. ,1979, pp. 89-112.
2) Beau Lotto, Percezioni. Come il cervello costruisce il mondo, Bollati Boringhieri, Torino, 2017, p. 66.
3) Manuel Jiménez, Témoignage d'OVNI et psychologie de la perception, Université Paul Valéry, Montpellier, 1994.
4) Paolo Fiorino, Il Progetto Italia 3. Uno studio sugli incontri ravvicinati del terzo tipo in Italia, in UFO - Rivista di informazione ufologica, anno I, n. 1, giugno 1986, pp. 24-29. Disponibile all’url: https://tinyurl.com/ynvw89b2 (ultimo accesso 15 marzo 2022).
5) Philippe Besse, Manuel Jimenez, Recherche de stéréotypes: dessine-moi un OVNI, Note Technique n. 15, CNES/GEPAN, Tolosa, 1983. Disponibile all’url: https://tinyurl.com/bddda25d (ultimo accesso 15 marzo 2022).
6) Karl R. Popper, Scienza e filosofia, Einaudi, Torino, 1969, p. 51; in originale: The Aim of Science, in Ratio, vol. 1, n. 1, dicembre 1957, pp. 24-35).
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