Vedete l’immagine qui sotto? La maggior parte delle persone, guardandola, ha l’impressione che la macchia al centro si stia espandendo. Si tratta di un’illusione ottica, ovviamente: la figura è statica, l’area scura non cambia di dimensioni. Ma allora, perché il nostro cervello sembra convinto del contrario?
Queste illusioni ottiche non sono semplici curiosità: i ricercatori le studiano per capire meglio come funziona la nostra percezione e come possiamo “ingannarla”. L’illusione della macchia in espansione, ad esempio, è stata oggetto di una ricerca pubblicata a maggio su Frontiers in Human Neuroscience[1] dagli psicologi Bruno Laeng e Shoaib Nabil (Università di Oslo) e dal giapponese Akiyoshi Kitaoka (Università Ritsumeikan).
I ricercatori hanno mostrato l’illusione ottica della “macchia” a 50 uomini e donne senza problemi alla vista, misurando al tempo stesso i loro movimenti degli occhi e della pupilla tramite appositi strumenti. Hanno così potuto scoprire che 43 volontari (l’86% del campione) percepiva effettivamente la macchia in espansione, mentre i restanti 7 (il 14%) vedeva la macchia per ciò che era, cioè un’immagine statica. La percentuale cambiava sostituendo il colore di sfondo: quando la macchia era in campo magenta, ad esempio, l’effetto espansione sembrava percepito di più.
Ma non è tutto: i ricercatori hanno osservato che negli appartenenti al primo gruppo (quelli “ingannati” dall’illusione) si verifica un’espansione della pupilla quando i volontari guardano l’immagine. Perché questo avvenga non è ancora del tutto chiaro, ma i ricercatori fanno comunque alcune ipotesi nel loro studio.
Le nostre pupille si dilatano e si contraggono in continuazione, per adattarsi alla quantità di luce che abbiamo intorno. Negli ambienti bui, le pupille si espandono per far entrare più luce, mentre se entriamo in un ambiente molto luminoso le pupille si restringono, in modo da diminuire la quantità di luce che arriva ai nostri occhi. L’illusione ottica riproduce, con il suo effetto sfumato che diventa più scuro man mano che ci si sposta verso il centro, la sensazione che si prova passando da un ambiente più luminoso a uno più buio – ad esempio, quando si entra all’interno di un tunnel o di una grotta.
È quindi possibile che il nostro cervello interpreti l’immagine così e si prepari in anticipo a rispondere alla mancanza di luce dell’inesistente “galleria”, restringendo di conseguenza le nostre pupille. Tra la percezione dell’immagine e la nostra risposta passano, infatti, alcune frazioni di secondo, durante le quali il nostro cervello elabora l’informazione e cerca di capire come rispondere al meglio. Per compensare questo ritardo, allora, cerca anche di “prevedere il futuro”, facendo ipotesi su quello che accadrà e agendo in anticipo (e poi correggendosi immediatamente, se capisce di aver preso un abbaglio).
Questa caratteristica della nostra percezione potrebbe fornirci alcuni vantaggi evolutivi, consentendoci di rispondere prontamente a eventuali pericoli: non sappiamo cosa potrebbe attenderci nel buio di una grotta, ma è meglio tenere gli occhi ben aperti (e pronti a percepire possibili predatori). Rimane da capire la soggettività dell’esperienza – o, in altri termini, perché alcune persone non sembrano percepire l’effetto espansione. Per capire meglio questo aspetto, sono in programma ulteriori ricerche.
Lo studio di Laeng, Nabil e Kitaoka, comunque, dimostra ancora una volta che i nostri occhi non sono una macchina fotografica: il nostro cervello non si limita a registrare asetticamente quello che ci accade intorno, ma raccoglie le informazioni e le elabora sulla base delle nostre aspettative, di quello che potrebbe accadere e delle situazioni che abbiamo già vissuto in passato. La nostra percezione, insomma, è un elemento molto più soggettivo di quanto non immaginiamo: illusioni ottiche come quella della “macchia in espansione” sembrano confermarlo.
Queste illusioni ottiche non sono semplici curiosità: i ricercatori le studiano per capire meglio come funziona la nostra percezione e come possiamo “ingannarla”. L’illusione della macchia in espansione, ad esempio, è stata oggetto di una ricerca pubblicata a maggio su Frontiers in Human Neuroscience[1] dagli psicologi Bruno Laeng e Shoaib Nabil (Università di Oslo) e dal giapponese Akiyoshi Kitaoka (Università Ritsumeikan).
I ricercatori hanno mostrato l’illusione ottica della “macchia” a 50 uomini e donne senza problemi alla vista, misurando al tempo stesso i loro movimenti degli occhi e della pupilla tramite appositi strumenti. Hanno così potuto scoprire che 43 volontari (l’86% del campione) percepiva effettivamente la macchia in espansione, mentre i restanti 7 (il 14%) vedeva la macchia per ciò che era, cioè un’immagine statica. La percentuale cambiava sostituendo il colore di sfondo: quando la macchia era in campo magenta, ad esempio, l’effetto espansione sembrava percepito di più.
Ma non è tutto: i ricercatori hanno osservato che negli appartenenti al primo gruppo (quelli “ingannati” dall’illusione) si verifica un’espansione della pupilla quando i volontari guardano l’immagine. Perché questo avvenga non è ancora del tutto chiaro, ma i ricercatori fanno comunque alcune ipotesi nel loro studio.
Le nostre pupille si dilatano e si contraggono in continuazione, per adattarsi alla quantità di luce che abbiamo intorno. Negli ambienti bui, le pupille si espandono per far entrare più luce, mentre se entriamo in un ambiente molto luminoso le pupille si restringono, in modo da diminuire la quantità di luce che arriva ai nostri occhi. L’illusione ottica riproduce, con il suo effetto sfumato che diventa più scuro man mano che ci si sposta verso il centro, la sensazione che si prova passando da un ambiente più luminoso a uno più buio – ad esempio, quando si entra all’interno di un tunnel o di una grotta.
È quindi possibile che il nostro cervello interpreti l’immagine così e si prepari in anticipo a rispondere alla mancanza di luce dell’inesistente “galleria”, restringendo di conseguenza le nostre pupille. Tra la percezione dell’immagine e la nostra risposta passano, infatti, alcune frazioni di secondo, durante le quali il nostro cervello elabora l’informazione e cerca di capire come rispondere al meglio. Per compensare questo ritardo, allora, cerca anche di “prevedere il futuro”, facendo ipotesi su quello che accadrà e agendo in anticipo (e poi correggendosi immediatamente, se capisce di aver preso un abbaglio).
Questa caratteristica della nostra percezione potrebbe fornirci alcuni vantaggi evolutivi, consentendoci di rispondere prontamente a eventuali pericoli: non sappiamo cosa potrebbe attenderci nel buio di una grotta, ma è meglio tenere gli occhi ben aperti (e pronti a percepire possibili predatori). Rimane da capire la soggettività dell’esperienza – o, in altri termini, perché alcune persone non sembrano percepire l’effetto espansione. Per capire meglio questo aspetto, sono in programma ulteriori ricerche.
Lo studio di Laeng, Nabil e Kitaoka, comunque, dimostra ancora una volta che i nostri occhi non sono una macchina fotografica: il nostro cervello non si limita a registrare asetticamente quello che ci accade intorno, ma raccoglie le informazioni e le elabora sulla base delle nostre aspettative, di quello che potrebbe accadere e delle situazioni che abbiamo già vissuto in passato. La nostra percezione, insomma, è un elemento molto più soggettivo di quanto non immaginiamo: illusioni ottiche come quella della “macchia in espansione” sembrano confermarlo.
Note
1) “The Eye Pupil Adjusts to Illusorily Expanding Holes”, Bruno Laeng, Shoaib Nabil e Aki