Una legge contro le fake news?

Non c’è dubbio che la diffusione di notizie false abbia un impatto negativo sulla società, ma servirebbe davvero regolamentarle o addirittura renderle illegali?

  • In Articoli
  • 06-04-2023
  • di Massimo Pigliucci
img
© Matthew de Lange/iStock
Abbiamo tutti sentito parlare di fake news, ma in sostanza di cosa si tratta? Allcott e Gentzkow definiscono le notizie false come articoli “intenzionalmente e verificabilmente falsi”, per esempio come la “notizia” circolata nel 2016 che papa Francesco avesse appoggiato l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Benché venga naturale dubitare che qualcuno possa prendere sul serio una “notizia” del genere, in realtà sono stati in molti a farlo. Di conseguenza, almeno alcuni di loro hanno rafforzato la loro convinzione che votare per Trump fosse proprio una buona idea, dato che lo diceva il papa!

Poiché le notizie false sono una realtà, è spontaneo chiedersi cosa fare al riguardo. Secondo molti esponenti del mondo scettico, bisogna insegnare il pensiero critico. Parallelamente, alcuni filosofi hanno suggerito di porre maggiore enfasi sulle “virtù epistemiche”, vale a dire coltivare il rispetto delle persone per la verità e i comportamenti relativi.

Megan Fritts e Frank Cabrera, rispettivamente dell’Università dell’Arkansas a Little Rock, e dell’Università del Wisconsin a Madison, la pensano diversamente. In un articolo pubblicato sul Journal of the American Philosophical Association hanno sostenuto che l’approccio basato su pensiero critico ed epistemologia della virtù non funziona, e che le fake news dovrebbero invece essere trattate come si fa con i cosiddetti “mercati nocivi” (noxious markets), che vanno quindi pesantemente regolamentati o proibiti del tutto.

Un mercato è “nocivo” se (1) causa danni individuali; (2) causa danni sociali; (3) coinvolge o richiede una scarsa autonomia da parte dei partecipanti; e/o (4) gioca sulle profonde vulnerabilità dei partecipanti. Secondo la filosofa Debra Satz, un mercato di questo tipo dovrebbe essere regolamentato quando impedisce ai cittadini di avere un rapporto paritario tra loro e il problema non può essere risolto senza l’imposizione di restrizioni.

Esempi di “mercati nocivi” sono quelli che coinvolgono [la vendita di, N.d.R.] parti del corpo umano, lavoro minorile, rifiuti tossici, sesso e farmaci salvavita, anche se naturalmente non c’è unanimità sul fatto che tutti o solo alcuni di questi scambi commerciali vadano considerati dannosi e limitati o proibiti. Suppongo che pochi dubitino che il lavoro minorile si qualifichi come dannoso e che non dovrebbe essere permesso, ma alcuni libertari sostengono che la vendita consensuale di parti del corpo umano è ammissibile in base al principio che i miei reni sono miei e posso disporne come voglio. E alcune femministe non vedono alcun problema nel sesso a pagamento finché vengono salvaguardati i diritti e la sicurezza dei lavoratori.

Le fake news sono un mercato perché chi le crea ottiene denaro dalla pubblicità generata nel traffico online, soprattutto sui social media. Inoltre, i grandi imprenditori dei social media traggono profitto dalle informazioni che raccolgono (e vendono) su chi consuma notizie false. E il loro mercato, secondo Fritts e Cabrera, è dannoso almeno rispetto alle prime due dimensioni identificate da Satz e quindi si qualifica come mercato nocivo.

image
La falsa notizia che il papa caldeggiasse l’elezione di Trump alla presidenza USA, per quanto improbabile, è stata creduta da molti. © uzhursky/iStock


L’articolo di Fritts e Cabrera è cruciale per il mondo scettico, perché solleva diverse domande su cui dovremmo riflettere attentamente. Primo: è vero, come affermano gli autori, che insegnare il pensiero critico e inquadrare la questione in termini di epistemologia della virtù non funziona ed è inutile? Secondo: è vero che le fake news costituiscono una forma di mercato nocivo? Terzo: dovremmo cercare di proibire, o almeno regolamentare pesantemente, il mercato delle fake news?

Partiamo dall’idea che dovremmo insegnare alle persone il pensiero critico allo scopo di renderle epistemicamente più virtuose o almeno di far sì che cadano in un minor numero di vizi epistemici. Il pensiero critico ha a che fare con la ricerca della verità, la corretta verifica delle prove, la valutazione delle tesi, il fare ricerca onestamente e molti altri tratti caratteriali che rientrano nella categoria generale delle virtù epistemiche.

Ma Fritts e Cabrera dubitano che la causa dell’epidemia di fake news sia un diffuso vizio epistemico. Infatti, pensano che i consumatori di fake news possano essere considerati come soggetti che rispettano le regole dell’inferenza induttiva e deduttiva.

Forse in alcuni casi è così. Per esempio, può darsi che un teorico della cospirazione deduca legittimamente e logicamente la conclusione che le elezioni statunitensi del 2020 sono state rubate da Joe Biden partendo da certe premesse sulla meccanica delle elezioni, le motivazioni dei membri del Partito Democratico, il funzionamento delle macchine per votare e così via. Vale a dire che è concepibile - anche se non lo credo probabile - che date certe premesse, un teorico della cospirazione utilizzi correttamente le regole dell’inferenza.

Il problema, in quel caso, starebbe nelle premesse. Partendo da premesse errate, si può “logicamente” arrivare a ogni genere di conclusione sbagliata attraverso un ragionamento valido. Garbage in, garbage out (se entra spazzatura, esce spazzatura), come dicono i programmatori di computer. E non valutare criticamente le proprie premesse, non controllare correttamente le prove che le sostengono, è un vizio epistemico molto grave. Quindi, non credo che i consumatori di notizie false siano agenti epistemici virtuosi.

Fritts e Cabrera proseguono sottolineando che anche “l’altra parte” si è data all’insegnamento del “pensiero critico”, e citano l’esempio di una chiesa fondamentalista che offre un corso del genere. Ma sostenere che il pensiero critico non va bene solo perché qualcuno che chiaramente non lo pratica tenta di scimmiottarlo non è affatto convincente. Secondo questa logica, dovremmo smettere di sostenere la scienza perché alcune persone praticano la “scienza creazionista”, il che è senz’altro irrilevante.

Inoltre, Fritts e Cabrera affermano che una persona epistemicamente viziosa ha meno probabilità di rispondere all’insegnamento della virtù, per cui gli scettici si troverebbero rapidamente a predicare a chi la pensa già come loro. A parte il fatto che, come sa ogni buon parroco, predicare ai convertiti in realtà è una pratica molto efficace, in base a questo criterio perché dovremmo prenderci la briga di insegnare qualcosa a chi non è già interessato? Lo facciamo perché cerchiamo di stimolare l’interesse dove prima non c’era o dove c’era persino ostilità basata su ignoranza e paura.

Un’obiezione valida sollevata da Fritts e Cabrera è che le prove empiriche della reale efficacia dell’insegnamento del pensiero critico sono discordanti. Questo è vero, ma basta una rapida ricerca su Google Scholar per capire perché: “pensiero critico” è un termine generico, molto ampio e un po’ vago, il che significa che viene insegnato in una varietà di modi, alcuni efficaci e altri no. Inoltre, ci sono molte variabili che influenzano l’efficacia dell’insegnamento del pensiero critico, tra cui l’età degli studenti, il contesto accademico, l’approccio usato dall’insegnante, i fattori socioeconomici di base degli studenti e così via. Tutto ciò non significa che dobbiamo rinunciare all’idea, ma solo che non dobbiamo aspettarci miracoli e che dobbiamo continuare a valutare, su basi empiriche, cosa funziona e cosa no.

Per quanto riguarda la seconda domanda - se le fake news sono veramente un esempio di mercato nocivo - penso che il punto sia opinabile. Anche mercati che rientrano nella definizione di nocività espressa da Satz possono ragionevolmente essere considerati come non abbastanza problematici da giustificare un intervento. Il mercato delle notizie false è più simile a quello del lavoro sessuale o a quello del lavoro minorile? Al momento, mi sento abbastanza agnostico sulla questione, e penso che sarebbe opportuno discutere ulteriormente questo punto sulla base di dati concreti.

Infine, dovremmo regolamentare in modo aggressivo o addirittura proibire il mercato delle notizie false? Un modo per valutare questa ipotesi è esaminare come si comporterebbero Fritts e Cabrera. I due studiosi auspicano l’eliminazione dell’articolo 230 del Communications Decency Act, definito dalla Electronic Frontier Foundation “il più importante provvedimento di legge a protezione della libertà di parola su Internet”. L’articolo 230 afferma che “nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi”. Vale la pena di osservare che l’ex presidente Trump è favorevole all’abrogazione dell’articolo 230 in modo che lui e i suoi accoliti possano citare in giudizio vari siti web per presunte censure e diffamazione.

Naturalmente, solo perché Trump sostiene un’idea non significa che l’idea è cattiva, ma dovremmo almeno fermarci e riflettere con più attenzione. Ogni volta che invochiamo limitazioni legali alla libertà di parola, ci avviamo su un sentiero insidioso. Mi auguro che siamo tutti d’accordo sul fatto che limitare la libertà di parola dovrebbe essere un provvedimento estremo, la cui efficacia deve essere vagliata con lo stesso rigore, o in effetti con maggior rigore, di qualsiasi altra alternativa sul tavolo.

L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Skeptical Inquirer, Volume 47, n. 1, 2023. Traduzione di Paolo Ripamonti. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.

Bibliografia

  • Allcott, H. e M. Gentzkow. 2017. “Social media and fake news in the 2016 election”. Journal of Economic Perspectives 3(2).
  • Fritts, M. e Cabrera, F. 2022. “Fake news and epistemic vice: Combating a uniquely noxious market”. Journal of the American Philosophical Association 3.
  • Pigliucci, M. 2021. “Virtue epistemology, anyone? Philosophy as a way of life” https://tinyurl.com/yc3bmkpc .
  • Satz, D. 2010. Why Some Things Should Not Be for Sale: The Moral Limits of Markets. Oxford, UK: Oxford University Press.
accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',