Le idee sbagliate sul ruolo della disinformazione online

  • In Articoli
  • 16-09-2024
  • di Emanuele Romeo
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© charles taylor/iStock
«È noto che i social media amplificano la disinformazione e altri contenuti dannosi». Questo incipit di un articolo pubblicato sul New York Times nel 2022 riflette la percezione diffusa che i social media siano determinanti nella diffusione di notizie poco accurate o false. Inoltre, si pensa che gli algoritmi delle piattaforme, non del tutto trasparenti, aumenterebbero l’esposizione a questi contenuti, incentivando comportamenti violenti e la polarizzazione degli utenti. Tuttavia, in un lavoro pubblicato su Nature[1], Ceren Budak, dell’Università del Michigan, e colleghi, sostengono che nessuna di queste affermazioni è supportata da evidenze scientifiche.

I ricercatori hanno analizzato tre degli argomenti ricorrenti nel dibattito pubblico e li hanno confrontati con i risultati delle ricerche sociologiche, focalizzandosi esclusivamente sui potenziali effetti dell’esposizione a contenuti falsi o fortemente polarizzati.

In primo luogo, è così risultato che la frequenza dell’esposizione a contenuti falsi viene sovrastimata enormemente rispetto alle evidenze della letteratura scientifica di settore. Un piccolo numero di utenti, che in alcune ricerche arriva fino al 10% del campione, è responsabile del 98% della copertura totale per questi contenuti: in pratica, pochi utenti consumano la maggior parte del materiale inattendibile che viene prodotto.

Allo stesso modo, gli algoritmi vengono considerati lo strumento con cui i social media diffondono questi contenuti. In questo caso, i risultati di ricerche precedenti mostrerebbero che gli algoritmi tendono, in media, ad ammortizzare la diffusione di contenuti non accurati, che al contrario devono essere attivamente cercati, mentre l’opinione diffusa è che i contenuti polarizzanti siano più interessanti e coinvolgenti dei contenuti moderati, per cui si reputa che gli algoritmi puntino su di essi per aumentare il tempo di permanenza sulla piattaforma.

Infine, mentre i media e i politici attribuiscono una relazione di causa-effetto tra l’utilizzo delle piattaforme social e i comportamenti polarizzati o estremi, le ricerche sociali dipingono un quadro più variegato e dai contorni meno netti. Dai risultati di alcune indagini, infatti, risulta che sarebbero gli atteggiamenti estremisti e polarizzati a predire l’uso dei social media e non il contrario.

Tirando le somme, dalle ricerche sociologiche si evince che l’esposizione a contenuti online falsi o imprecisi non è frequente e riguarda principalmente utenti che ricercano attivamente questo tipo di notizie. Inoltre, nel discorso pubblico si sovrastima il ruolo degli algoritmi, così come si dà per scontata una relazione causale tra l’uso diffuso dei social media e comportamenti polarizzati o estremisti.

A conclusione del loro lavoro, i ricercatori hanno sottolineato che ignorare i risultati della ricerca sociale può distrarre dalle vere cause per cui determinati comportamenti sociali si sviluppano e si diffondono. I social media possono comunque avere effetti dannosi sugli utenti ma per studiare a fondo l’argomento è necessario intraprendere alcune azioni in diversi campi. Anzitutto, sarà necessario estendere la disponibilità dei dati oltre l’Europa e gli Stati Uniti, su cui si basa la maggior parte delle ricerche, allargando il campione di studio al di fuori del mondo occidentale. Inoltre, gli studi futuri dovranno concentrarsi maggiormente su ciò che accade nelle frange estremiste, maggiormente esposte ai contenuti violenti. Infine, sarà necessario chiedere alle piattaforme social di mobilitarsi per prevenire la diffusione di questi contenuti e per consentire ai ricercatori un maggiore accesso ai loro dati.

Note

1) Budac, C. et al., 2024. “Misunderstanding the harms of online misinformation”, in Nature, n. 630

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