Credere e rifletterci

  • In Articoli
  • 23-07-2012
  • di Sylvie Coyaud
L’uso del pensiero analitico diminuisce le credenze religiose, afferma una ricerca uscita su Science che fa parecchio discutere[1]. Su Cognition, un’altra ricerca ne contraddice l’ipotesi di partenza sebbene usi esperimenti simili e ottenga risultati analoghi[2]. Che ci sia sotto qualche problema teorico?
Nella vita quotidiana ci affidiamo a un insieme di pre-giudizi per interpretare il mondo che ci circonda. Tra questi strumenti mentali, storicamente il più diffuso è quello trasmesso dalle religioni che postulano l’intervento di agenti sovrannaturali. Gli psicologi Will Gervais e Ara Norenzayan hanno fatto cinque esperimenti con quattro gruppi di studenti reclutati all’Università della British Columbia, a Vancouver, e uno reclutato online. Sulla base delle loro dichiarazioni, li hanno divisi in poco, mediamente e molto credenti (per i particolari e le statistiche, si vedano i materiali supplementari), per verificare l’ipotesi che «il cervello ricorre a un procedimento duale per elaborare le informazioni, il Sistema 1 dall’euristica semplice, intuitiva, il Sistema 2 per l’analisi deliberata... Le credenze religiose hanno le caratteristiche del Sistema 1».
I volontari dovevano dire se erano vere o false frasi su eventi biblici; riordinare parole di altre frasi per renderle sensate; rispondere a domande trabocchetto. Metà ricevevano “suggerimenti”.
Per esempio, se nelle frasi da rendere sensate c’era “riflettere” o “ponderare”, erano più bravi del gruppo di controllo che si ritrovava “chiodo” e “marrone”. Dopo aver visto un’immagine suggestiva come il Pensatore di Rodin, risultavano credere in Dio al 41 per cento, mentre quelli del gruppo di controllo che avevano visto il Discobolo dicevano di crederci al 61 per cento. Se valutavano credenze scritte in un corsivo arzigogolato, si ritenevano meno credenti che se il testo era scritto con caratteri più leggibili.
Ipotesi confermata, quindi. Lo studio non dice se la religione - giudeo-cristiana in questo caso - è un bene o un male, precisano gli autori, mostra solo che con poche modifiche al contorno è possibile superarne l’interferenza con il pensiero analitico.
Nell’articolo di Cognition, “Lo stile cognitivo analitico consente di prevedere la credenza religiosa e nel paranormale”, Gordon Pennycook e altri psicologi dell’Università di Waterloo (sembra quasi una specialità canadese, ma è solo una coincidenza temporale!) hanno ribaltato la procedura sperimentale. Dopo due test cognitivi non analitici, i volontari hanno risposto a due serie di domande trabocchetto, con una riposta intuitiva sbagliata e una corretta, analitica.
In base alle risposte, i ricercatori hanno classificato i volontari in “credenti in un dio personale”, “panteisti”, “deisti”, “agnostici rispetto al dio personale”, “agnostici in assoluto”, e “atei”. In un questionario a posteriori, hanno chiesto ai volontari di descrivere le proprie credenze religiose e/o nel paranormale. Anche queste ultime erano correlate con un maggior numero di risposte sbagliate, una volta controllato fattori come età, sesso, educazione e quoziente d’intelligenza.
La capacità di rispondere correttamente sta nello “stile” di pensiero, non nelle facoltà intellettuali, scrivono: «I nostri dati coincidono con l’idea che due persone che condividono una stessa abilità cognitiva, educazione, ideologia, sesso, età e livello d’impegno religioso possono acquisire insiemi di credenze molto diverse sul mondo se è diversa la loro propensione a pensare analiticamente».
A differenza di Gervais e Norenzayan però, ritengono «poco probabile che credenze in angeli, demoni, magia nera o lettura del pensiero siano rafforzate dal pensiero analitico, perché sono controintuitive, cioè sono violazioni del punto di vista naturalistico...».
Come negli esperimenti precedenti, la credenza in Dio non variava, diventava semmai «meno convenzionale e più astratta».
Ma quello che non si capisce è cosa faccia il Sistema 1, di preciso. E l’intuizione nasce dall’esperienza della natura fisica o da credenze metafisiche? In questo periodo[3] la psicologia è accusata di scarso rigore sperimentale[4]. Nel caso degli studi sulle credenze, sembra un po’ scarso il rigore concettuale.

Note

1) Gervais, W.M., Norenzayan, A. 2012. “Analytic thinking promotes religious disbelief”. Science (6080) 336, pp. 493-496, doi:10.1126/science.1215647; Villarica, H. 2012. “Study of the day: even the religious lose faith when they think critically”. The Atlantic, 27.4.12, disponibile all’url http://www.theatlantic.com/health/archive/2012/04/study-of-the-day-even-the-religious-l... e Brooks, R. 2012. “Analytic thinking erodes religious belief”. The Conversation, 27.4.12, disponibile all’url http://theconversation.edu.au/analytic-thinking-erodes-religious-belief-6709
2) Pennycook, G. et al. 2012. “Analytic cognitive style predicts religious and paranormal belief”. Cognition, (3) 123, pp. 335-346, doi:10.1016/j.cognition.2012.03.003
3) Mitchell, G. 2012. “Revisiting truth or triviality. The external validity of research in the psychological laboratory”. Perspectives on Psychological Science, (2) 7, pp. 109-117, doi: 10.1177/1745691611432343
4) V8uSkHewsfD4/wiki/index (originariamente pubblicato sul blog Oggiscienza il 4 maggio 2012; ripreso e adattato con l’autorizzazione dell’autrice che Query ringrazia).
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