“La profezia del pianeta Clarion avvisa la città: salvatevi dal diluvio!”. Così titolava un giornale locale americano nel lontano settembre del 1954. L’allarme era stato lanciato da Dorothy Martin, una casalinga del Michigan a capo di una setta millenaristica (The Seekers, “I cercatori”), che sosteneva di essere in contatto con una congregazione di extraterrestri, con cui comunicava per mezzo della scrittura automatica. L’imminente catastrofe avrebbe devastato la Terra, risparmiando tuttavia coloro che avessero creduto davvero in quel messaggio. Ai più, la strana notizia fece ridere, ma non a Leon Festinger, all’epoca ricercatore presso l’università del Minnesota, che vi scorse un’opportunità irripetibile per studiare a fondo quello che poi divenne uno dei concetti fondamentali della psicologia sociale: la dissonanza cognitiva.
L’ambiziosa idea dello studioso fu di infiltrarsi tra i proseliti di Martin, persone che avevano fatto in nome della setta alcune scelte drastiche, quali l’abbandono della famiglia, del lavoro e la cessione di tutti i propri beni. Persone il cui passato tormentato ricorda quello di Joaquin Phoenix nel film The Master, nel quale un veterano di guerra diviene discepolo di una organizzazione religiosa capitanata da una figura carismatica, parzialmente ispirata dal personaggio di Ron Hubbard, fondatore di Scientology. Confondendosi nel gruppo, Festinger intendeva osservarne il comportamento a mano a mano che l’apocalisse si avvicinava, per vedere come avrebbe reagito una volta che la profezia si fosse rivelata sbagliata. Quando arrivò l’ora X, che era stata prevista per la mezzanotte del 21 dicembre 1954, nessun cataclisma si infranse rovinosamente, né si vide l’ombra di alcuna astronave scendere dal cielo per prelevare la profetessa e i suoi adepti. Tuttavia, davanti alla moltitudine di persone deluse e sconcertate riunitasi nella sua casa, Martin non si scompose e affermò solennemente che gli alieni le avevano comunicato che il pianeta Terra era stato salvato dalla distruzione grazie alle sue preghiere e a quelle dei suoi proseliti. Di fronte a questo fallimento annunciato, Festinger aveva ipotizzato una reazione ben precisa tra i discepoli di Martin: invece di abbandonare le loro false credenze sui poteri sovrannaturali della profetessa, avrebbero preferito ignorare la realtà dei fatti, cercando in qualche modo di “ridefinire”, di razionalizzare, quanto accaduto. Fu proprio quello che accadde: dopo un iniziale smarrimento, avendo troppo da perdere nel riconoscere l’errore, le persone si convinsero di aver salvato il mondo con la loro fede e, invece di abbandonare la setta, rinforzarono le loro convinzioni e incominciarono a fare proselitismo.
Questa storia dimostra non solo alcune dinamiche psicologiche e sociali che motivano le ferventi convinzioni che si riscontrano nelle sette, ma rivela qualcosa di tutti noi, esemplifica un processo psicologico inconsapevole ed automatico che, per quanto estremo, si osserva in svariate situazioni. La dissonanza cognitiva permette di spiegare perché nulla, nemmeno una smentita inequivocabile, può far capitolare chi abbia fortemente investito nella propria convinzione. In qualche modo, questo meccanismo ricorda il monito di Nietzsche nell’opera Al di là del bene e del male: «Io ho fatto questo - dice la mia memoria - Io non posso aver fatto questo - dice il mio orgoglio e resta irremovibile. Alla fine, è la memoria ad arrendersi». Quando ci scontriamo con eventi o evidenze che sono in contrasto con le nostre credenze più profonde, siamo difatti più inclini a manipolarli, anche generando idee bizzarre, piuttosto che arrenderci alla verità dei fatti e cambiare opinione. È un po’ come nel celebre racconto La volpe e l’uva, tratto dalle Favole di Esopo, in cui la volpe che non riesce ad arrivare all’uva finisce per convincersi che in fondo questa è acerba, pur di non intaccare la sua “autostima” ed ammettere che non riesce a raggiungerla. Perché questo accade?
L’uomo è un “ricercatore di coerenza”, ovvero tende in linea generale ad essere coerente con sé stesso nel modo di pensare e di agire. La presenza di due o più idee o azioni contraddittorie o incompatibili crea invece uno stato di ansia o tensione, che siamo determinati a ridurre per ritornare all’equilibrio iniziale. Consideriamo un esempio frequente nella realtà quotidiana: ammiriamo un politico o una persona famosa, ne parliamo bene con gli amici, stimiamo il suo operato. Poi veniamo a sapere che questa persona ha commesso atti riprovevoli, entriamo in uno stato di dissonanza: dobbiamo ammettere a noi stessi che ci siamo sbagliati, e facciamo molta fatica. Allora proveremo a giustificare questa persona, a diminuire l’impatto delle sue malefatte. I vari espedienti cui ricorriamo per risolvere la dissonanza cognitiva hanno tutti il medesimo scopo: giustificare i nostri comportamenti. Ad esempio, pensiamo a uno studente che ha investito notevoli sforzi per frequentare l’università, per poi scoprire che studiare non è la sua passione. Pur di giustificare a se stesso tutto l’impegno profuso, potrà convincersi che studiare era proprio la sua strada. Oppure, uno studente sotto esame, pur consapevole di doversi applicare allo studio, sceglie di guardare la televisione e si persuade che un altro episodio della sua amata serie tv possa permettergli poi di focalizzare meglio l’attenzione sui libri.
Un altro valido esempio nel campo della salute deriva da un comportamento assai diffuso e contraddittorio: fumare. Il fumatore, pur essendo consapevole degli effetti dannosi del fumo sulla salute, può convincersi che i rischi non sono in realtà così preoccupanti come gli altri vorrebbero fargli credere, che non fuma abbastanza per essere a rischio, o che fumare la pipa sia meno pericoloso, o ricorre ad aneddoti rassicuranti, come ricordare il vicino di casa, accanito fumatore, con una salute di ferro. Simili giustificazioni, negazioni e distorsioni possono anche essere operate da persone che tentano di dimagrire, che praticano sesso senza precauzioni o che hanno appena ricevuto spiacevoli notizie sulla loro salute.
Esistono diverse modalità per risolvere la dissonanza cognitiva. È possibile, ad esempio, produrre un cambiamento nell’ambiente circostante (il che presuppone un grado di sufficiente controllo sul proprio ambiente), modificare il proprio comportamento dissonante (qualora le difficoltà che si oppongono al cambiamento non siano troppo grandi) o modificare il proprio mondo cognitivo (cambiando opinione, aggiungendo nuove informazioni, sfuggendo ad altre informazioni, ecc.). Un classico esperimento che risale al 1959 esemplifica quest’ultima strategia. Festinger e il suo collaboratore James Carlsmith chiesero ad alcuni studenti di svolgere dei compiti particolarmente noiosi e monotoni per un’ora. Al termine dell’esperimento, si chiese loro di fare un favore allo sperimentatore comunicando al partecipante successivo (il quale in realtà era un complice) che la partecipazione all’esperimento era stata estremamente piacevole e interessante. In cambio della loro “bugia”, i soggetti potevano ricevere una ricompensa bassa (un dollaro) oppure piuttosto generosa (venti dollari). Come previsto dagli studiosi, coloro che ricevettero solo un dollaro sostennero che i compiti erano stati più divertenti rispetto a coloro che erano stati pagati venti dollari. Questi ultimi, infatti, avendo ricevuto una maggiore giustificazione esterna, sperimentarono una minore dissonanza e dissero la bugia senza crederci realmente. Del resto, se avevano ingannato il prossimo, lo avevano fatto solo per ricevere venti dollari. Invece, gli studenti che erano stati pagati di meno, non potendo sfruttare come alibi un compenso appetibile, si ritrovarono con una maggiore conflittualità interna che richiedeva di essere risolta e che furono costretti a ridurre cambiando le loro opinioni riguardo al compito, per produrre una reale consonanza con il loro comportamento, insistendo che il compito era stato piacevole per davvero.
La dissonanza cognitiva risulta particolarmente pericolosa ogni volta che la persona, per difendersi dalla tensione da essa ingenerata, sceglie di orientare selettivamente la sua attenzione verso quelle informazioni che sostengono le opinioni già condivise, evitando o ignorando quelle fonti di informazione che possono invece mettere in scacco i propri punti di vista precostituiti, secondo un fenomeno noto come “esposizione selettiva”. Ad esempio, in materia di vaccinazioni, i genitori che non credono nei vaccini, per proteggere le proprie radicate credenze e giustificare i propri comportamenti, tendono a rifiutare qualsiasi evidenza sull’utilità dei vaccini, polarizzando ed estremizzando le proprie opinioni in nicchie di pensiero autoreferenziali. Un recente studio dal titolo “Possono essere bugiardi ma sono i miei bugiardi: la valutazione della fonte di informazione e la prevalenza della disinformazione” (“They might be a liar but they’re my liar: source evaluation and the prevalence of misinformation”, nella versione originale) ha rivelato come, in ambito politico, le cose possano divenire altrettanto preoccupanti: è difficile convincere le persone che il candidato politico che sostengono ha detto qualcosa di sbagliato; seguendo i principi della dissonanza cognitiva, verrà accettata per buona una qualsiasi spiegazione che permetta di razionalizzare l’accaduto: in fondo, ammesso che lo abbia fatto, avrà avuto le sue ragioni, o l’avrà fatto in buona fede, o non avrà poi detto qualcosa di così grave. D’altronde, come scrisse Festinger nella sua opera sulle profezie che non si avverano: «Un uomo con una convinzione è un uomo cui è difficile far cambiare idea. Digli che non sei d’accordo e si gira dall’altra parte. Mostragli i fatti o i dati e lui mette in dubbio le tue fonti. Fai appello alla logica e lui non coglierà il punto».
L’ambiziosa idea dello studioso fu di infiltrarsi tra i proseliti di Martin, persone che avevano fatto in nome della setta alcune scelte drastiche, quali l’abbandono della famiglia, del lavoro e la cessione di tutti i propri beni. Persone il cui passato tormentato ricorda quello di Joaquin Phoenix nel film The Master, nel quale un veterano di guerra diviene discepolo di una organizzazione religiosa capitanata da una figura carismatica, parzialmente ispirata dal personaggio di Ron Hubbard, fondatore di Scientology. Confondendosi nel gruppo, Festinger intendeva osservarne il comportamento a mano a mano che l’apocalisse si avvicinava, per vedere come avrebbe reagito una volta che la profezia si fosse rivelata sbagliata. Quando arrivò l’ora X, che era stata prevista per la mezzanotte del 21 dicembre 1954, nessun cataclisma si infranse rovinosamente, né si vide l’ombra di alcuna astronave scendere dal cielo per prelevare la profetessa e i suoi adepti. Tuttavia, davanti alla moltitudine di persone deluse e sconcertate riunitasi nella sua casa, Martin non si scompose e affermò solennemente che gli alieni le avevano comunicato che il pianeta Terra era stato salvato dalla distruzione grazie alle sue preghiere e a quelle dei suoi proseliti. Di fronte a questo fallimento annunciato, Festinger aveva ipotizzato una reazione ben precisa tra i discepoli di Martin: invece di abbandonare le loro false credenze sui poteri sovrannaturali della profetessa, avrebbero preferito ignorare la realtà dei fatti, cercando in qualche modo di “ridefinire”, di razionalizzare, quanto accaduto. Fu proprio quello che accadde: dopo un iniziale smarrimento, avendo troppo da perdere nel riconoscere l’errore, le persone si convinsero di aver salvato il mondo con la loro fede e, invece di abbandonare la setta, rinforzarono le loro convinzioni e incominciarono a fare proselitismo.
Questa storia dimostra non solo alcune dinamiche psicologiche e sociali che motivano le ferventi convinzioni che si riscontrano nelle sette, ma rivela qualcosa di tutti noi, esemplifica un processo psicologico inconsapevole ed automatico che, per quanto estremo, si osserva in svariate situazioni. La dissonanza cognitiva permette di spiegare perché nulla, nemmeno una smentita inequivocabile, può far capitolare chi abbia fortemente investito nella propria convinzione. In qualche modo, questo meccanismo ricorda il monito di Nietzsche nell’opera Al di là del bene e del male: «Io ho fatto questo - dice la mia memoria - Io non posso aver fatto questo - dice il mio orgoglio e resta irremovibile. Alla fine, è la memoria ad arrendersi». Quando ci scontriamo con eventi o evidenze che sono in contrasto con le nostre credenze più profonde, siamo difatti più inclini a manipolarli, anche generando idee bizzarre, piuttosto che arrenderci alla verità dei fatti e cambiare opinione. È un po’ come nel celebre racconto La volpe e l’uva, tratto dalle Favole di Esopo, in cui la volpe che non riesce ad arrivare all’uva finisce per convincersi che in fondo questa è acerba, pur di non intaccare la sua “autostima” ed ammettere che non riesce a raggiungerla. Perché questo accade?
L’uomo è un “ricercatore di coerenza”, ovvero tende in linea generale ad essere coerente con sé stesso nel modo di pensare e di agire. La presenza di due o più idee o azioni contraddittorie o incompatibili crea invece uno stato di ansia o tensione, che siamo determinati a ridurre per ritornare all’equilibrio iniziale. Consideriamo un esempio frequente nella realtà quotidiana: ammiriamo un politico o una persona famosa, ne parliamo bene con gli amici, stimiamo il suo operato. Poi veniamo a sapere che questa persona ha commesso atti riprovevoli, entriamo in uno stato di dissonanza: dobbiamo ammettere a noi stessi che ci siamo sbagliati, e facciamo molta fatica. Allora proveremo a giustificare questa persona, a diminuire l’impatto delle sue malefatte. I vari espedienti cui ricorriamo per risolvere la dissonanza cognitiva hanno tutti il medesimo scopo: giustificare i nostri comportamenti. Ad esempio, pensiamo a uno studente che ha investito notevoli sforzi per frequentare l’università, per poi scoprire che studiare non è la sua passione. Pur di giustificare a se stesso tutto l’impegno profuso, potrà convincersi che studiare era proprio la sua strada. Oppure, uno studente sotto esame, pur consapevole di doversi applicare allo studio, sceglie di guardare la televisione e si persuade che un altro episodio della sua amata serie tv possa permettergli poi di focalizzare meglio l’attenzione sui libri.
Un altro valido esempio nel campo della salute deriva da un comportamento assai diffuso e contraddittorio: fumare. Il fumatore, pur essendo consapevole degli effetti dannosi del fumo sulla salute, può convincersi che i rischi non sono in realtà così preoccupanti come gli altri vorrebbero fargli credere, che non fuma abbastanza per essere a rischio, o che fumare la pipa sia meno pericoloso, o ricorre ad aneddoti rassicuranti, come ricordare il vicino di casa, accanito fumatore, con una salute di ferro. Simili giustificazioni, negazioni e distorsioni possono anche essere operate da persone che tentano di dimagrire, che praticano sesso senza precauzioni o che hanno appena ricevuto spiacevoli notizie sulla loro salute.
Esistono diverse modalità per risolvere la dissonanza cognitiva. È possibile, ad esempio, produrre un cambiamento nell’ambiente circostante (il che presuppone un grado di sufficiente controllo sul proprio ambiente), modificare il proprio comportamento dissonante (qualora le difficoltà che si oppongono al cambiamento non siano troppo grandi) o modificare il proprio mondo cognitivo (cambiando opinione, aggiungendo nuove informazioni, sfuggendo ad altre informazioni, ecc.). Un classico esperimento che risale al 1959 esemplifica quest’ultima strategia. Festinger e il suo collaboratore James Carlsmith chiesero ad alcuni studenti di svolgere dei compiti particolarmente noiosi e monotoni per un’ora. Al termine dell’esperimento, si chiese loro di fare un favore allo sperimentatore comunicando al partecipante successivo (il quale in realtà era un complice) che la partecipazione all’esperimento era stata estremamente piacevole e interessante. In cambio della loro “bugia”, i soggetti potevano ricevere una ricompensa bassa (un dollaro) oppure piuttosto generosa (venti dollari). Come previsto dagli studiosi, coloro che ricevettero solo un dollaro sostennero che i compiti erano stati più divertenti rispetto a coloro che erano stati pagati venti dollari. Questi ultimi, infatti, avendo ricevuto una maggiore giustificazione esterna, sperimentarono una minore dissonanza e dissero la bugia senza crederci realmente. Del resto, se avevano ingannato il prossimo, lo avevano fatto solo per ricevere venti dollari. Invece, gli studenti che erano stati pagati di meno, non potendo sfruttare come alibi un compenso appetibile, si ritrovarono con una maggiore conflittualità interna che richiedeva di essere risolta e che furono costretti a ridurre cambiando le loro opinioni riguardo al compito, per produrre una reale consonanza con il loro comportamento, insistendo che il compito era stato piacevole per davvero.
La dissonanza cognitiva risulta particolarmente pericolosa ogni volta che la persona, per difendersi dalla tensione da essa ingenerata, sceglie di orientare selettivamente la sua attenzione verso quelle informazioni che sostengono le opinioni già condivise, evitando o ignorando quelle fonti di informazione che possono invece mettere in scacco i propri punti di vista precostituiti, secondo un fenomeno noto come “esposizione selettiva”. Ad esempio, in materia di vaccinazioni, i genitori che non credono nei vaccini, per proteggere le proprie radicate credenze e giustificare i propri comportamenti, tendono a rifiutare qualsiasi evidenza sull’utilità dei vaccini, polarizzando ed estremizzando le proprie opinioni in nicchie di pensiero autoreferenziali. Un recente studio dal titolo “Possono essere bugiardi ma sono i miei bugiardi: la valutazione della fonte di informazione e la prevalenza della disinformazione” (“They might be a liar but they’re my liar: source evaluation and the prevalence of misinformation”, nella versione originale) ha rivelato come, in ambito politico, le cose possano divenire altrettanto preoccupanti: è difficile convincere le persone che il candidato politico che sostengono ha detto qualcosa di sbagliato; seguendo i principi della dissonanza cognitiva, verrà accettata per buona una qualsiasi spiegazione che permetta di razionalizzare l’accaduto: in fondo, ammesso che lo abbia fatto, avrà avuto le sue ragioni, o l’avrà fatto in buona fede, o non avrà poi detto qualcosa di così grave. D’altronde, come scrisse Festinger nella sua opera sulle profezie che non si avverano: «Un uomo con una convinzione è un uomo cui è difficile far cambiare idea. Digli che non sei d’accordo e si gira dall’altra parte. Mostragli i fatti o i dati e lui mette in dubbio le tue fonti. Fai appello alla logica e lui non coglierà il punto».
Riferimenti bibliografici
- Aronson, E., Wilson, T. D., & Akert, R. M. (2006). Psicologia sociale. Bologna: Il Mulino.
- Festinger, L. (2001). Teoria della dissonanza cognitiva. Milano: Franco Angeli.
- Festinger, L., & Carlsmith, J. M. (1959). Cognitive consequences of forced compliance. The Journal of Abnormal and Social Psychology, 58(2), 203-210. doi:10.1037/h0041593.
- Festinger, L., Riecken, H. W., & Schachter, S. (1956). When prophecy fails: a social and psychological study of a modern group that predicted the destruction of the world. Oxford, England: Harper Torchbooks.
- Swire-Thompson, B., Ecker, U. K., Lewandowsky, S., & Berinsky, A. J. (2019). They might be a liar but they’re my liar: source evaluation and the prevalence of misinformation. Political Psychology. Advance online publication. doi:10.1111/pops.12586.