Siamo tutti complottisti?

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Il Presidente USA Ronald Reagan pochi attimi prima dell'attentato.
«Di certo non tutti pensiamo che l’allunaggio sia un falso cinematografico, che la Terra sia piatta o che il pianeta sia governato in segreto da una stirpe di lucertoloni extraterrestri, ma il pensiero cospirativo è un’abitudine quotidiana» dice Rob Brotherton, psicologo al Barnard College della Columbia University, a New York, e autore di Menti sospettose, considerato uno dei principali testi per capire la mentalità complottista. «Spesso non ce ne accorgiamo, perché i nostri complottismi non riguardano le idee più assurde, ma il meccanismo di molti pensieri è del tutto simile».

Brotherton è stato uno degli ospiti speciali del CICAP Fest 2021, il Festival della scienza e della curiosità realizzato ogni anno dal CICAP, che quest’anno è tornato in presenza a Padova dal 3 al 5 settembre 2021.

Questione di equilibrio


«Noi tutti, ogni giorno, cerchiamo di spiegare il mondo che ci circonda e lo facciamo con gli strumenti che abbiamo a disposizione» continua lo psicologo. «Cerchiamo significati nelle cose, cerchiamo collegamenti, perché la nostra mente si è evoluta proprio per questo scopo, e li troviamo praticamente sempre. È un meccanismo che funziona benissimo, il più delle volte. Il problema, però, è che ogni tanto scoviamo connessioni anche dove non ci sono».

Il nostro cervello è infatti il prodotto di un lunghissimo processo evolutivo. Fra i nostri antenati Sapiens, quelli che trovavano spiegazioni e soluzioni ai problemi che li circondavano riuscivano a sopravvivere meglio e, così, trasmettevano ai discendenti lo stesso tipo di atteggiamento. Anche la scienza, così come l’arte, nasce dalla capacità umana di vedere e intuire connessioni e collegamenti tra cose che sembrano del tutto scollegate. Solo che, in certe situazioni, questa tendenza può portarci fuori strada.

«Tutti ricorriamo a scorciatoie cognitive che, spesso, altro non sono che bias, trappole mentali in cui caschiamo senza nemmeno accorgercene» dice Brotheron. «Siamo portati per esempio a pensare che dietro ogni cosa ci sia un’intenzione, una volontà: è molto più difficile pensare che a volte le cose capitino semplicemente per caso. Preferiamo credere che se qualcosa succede è perché qualcuno ha fatto in modo che succedesse. In particolare, se capita qualcosa di grosso nel mondo, allora tendiamo a pensare che dietro ci debba essere sempre qualcosa di grosso. Accettare che dietro l’assassinio di un presidente, come accaduto con Kennedy, possa esserci semplicemente uno squilibrato di cui nessuno sapeva nulla è per molti inaccettabile. Così come è inconcepibile pensare che una principessa amatissima come Diana possa essere morta in un banale incidente automobilistico o che l’11 settembre un gruppetto di terroristi possa avere messo in ginocchio la più forte potenza mondiale».

È il bias di proporzionalità in azione e spiega, tra l’altro, come mai non ci sia praticamente nessuna teoria del complotto dietro un altro attentato a un presidente americano. Quando uno squilibrato sparò a Ronald Reagan nel 1981, infatti, nessuno ipotizzò complotti globali che coinvolgevano la CIA, il KGB o la mafia. Come mai? Per un semplice motivo: Regan scampò all’attentato e il suo attentatore finì in un ospedale psichiatrico. Fine della storia. Il fallito attentato non ebbe conseguenze e, dunque, nessuno sentì il bisogno di immaginare grandi manovre occulte. La morte di Kennedy, invece, ebbe conseguenze importanti e le teorie del complotto continuano a fiorire ancora oggi, sessant’anni dopo i fatti.

Sospettosi a ragione


Le teorie del complotto nascono in un mondo che ha buoni motivi per essere sospettoso nei confronti di chi detiene il potere. La storia e la cronaca ci dimostrano che presidenti possono mentire, amministrazioni e aziende possono complottare per raggiungere i propri scopi o per garantirsi guadagni illeciti, generali possono falsificare prove per scatenare guerre, servizi segreti possono spiare i propri cittadini o assassinare leader rivali o scomodi per toglierli di mezzo o rimpiazzarli con altri più manovrabili. Dunque, essere sospettosi non è necessariamente un male.

«Non è vero, come si sosteneva un tempo, che chi crede alle teorie del complotto debba necessariamente essere un paranoico» continua Brotherton. «Possiamo crederci tutti, proprio perché queste teorie fanno leva su paure, dubbi, preoccupazioni e sospetti che tutti possiamo nutrire e che non di rado sono fondati. È anche vero che, in chi sostiene le idee più estreme, si possono trovare alcuni tratti comuni. Spesso c’è il desiderio di abbracciare posizioni che sfidano il mainstream e che sembrano regalare una patente di “pensatore indipendente”. Ma se uniamo questa aspirazione, umanamente comprensibile, alla nostra tendenza a trovare significati ovunque, ecco che il risultato è un’illusione di comprensione».

Sovrastimando il poco che si sa veramente circa un dato problema, cioè, ci si illude di avere “visto la luce”, di avere capito tutto e di avere scoperchiato qualche enorme segreto gelosamente custodito dai potenti. Ci si sente come eroi, novelli Robin Hood che combattono contro il malvagio sceriffo di Nottingham, senza accorgersi che, come Don Chisciotte, probabilmente si sta solo agitando la spada contro banalissimi mulini a vento.

Una forma di conforto


Un’altra funzione svolta dalle teorie del complotto è quella di semplificare la realtà, a volte fino all’estremo, in modo da riportare una parvenza di ordine in quello che spesso è un mondo complesso e caotico.

«Una delle più bizzarre e vaste teorie del complotto è quella immaginata da David Icke, l’ex calciatore inglese diventato uno dei punti di riferimento di tutti i teorici del complotto» dice Brotherton. «Secondo Icke, per esempio, la Luna è cava ed è in realtà un’astronave artificiale e gli anelli di Saturno sono uno strumento di trasmissione da cui partono onde capaci di controllare la nostra mente, le onde arrivano alla Luna che le amplifica e le rispedisce sulla Terra. Queste onde cambiano i colori e le forme di tutto ciò che ci circonda, distorcendo la nostra percezione della realtà e facendoci vivere in una sorta di ologramma universale. Per non parlare dei responsabili di tutto questo, vale a dire i rettiliani, lucertoloni extraterrestri che si travestono da esseri umani e ne prendono il posto. Sarebbero rettiliani la regina Elisabetta, gli ex presidenti Bill Clinton e Barack Obama, così come chiunque occupi una qualche posizione di potere nel mondo. E la teoria continua così all’infinito, ha una risposta e una spiegazione per qualunque cosa. Penso sia piuttosto pacifico dire che tutto ciò è assolutamente implausibile. Ma, per quanto possa sembrare folle, questa visione della realtà contiene anche un messaggio di speranza. Nel senso che sembra dire: “Sì, ci sono tante cose sbagliate nel mondo, ma almeno possiamo smascherarle, puntare il dito contro i responsabili e possiamo fare qualcosa per cambiarle”. Ecco, è questo che piace a tante persone, in particolare a coloro che pensano di non avere molto controllo sulla propria vita».

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I manifestanti pro-Trump mentre assaltano il Campidoglio. ©TapTheForwardAssist

Un terreno comune


Si può contrastare la tendenza a vedere ovunque teorie del complotto? «Tentare di smontarle è un po’ come cercare di inchiodare al muro un budino» dice Brotheron. «Una caratteristica costante delle teorie del complotto è che non si possono dimostrare e cambiano forma ogni volta che si cerca di affrontarle. D’altra parte, è vero che credere ad alcune teorie può avere conseguenze gravi, come quelle provocate da chi decide di non vaccinare i propri figli sulla base di qualche idea infondata o da chi nega i cambiamenti climatici o l’esistenza stessa della Covid-19, ma molte altre sono innocue».

Spesso, infatti, anche gli scettici si lasciano incantare dagli aspetti più coloriti ma superficiali di una vicenda. «Prendiamo l’assalto al Congresso americano» dice ancora lo psicologo. «Tutti hanno messo in prima pagina la foto dello Sciamano, l’uomo con la faccia dipinta, che indossava un copricapo con due grandi corna e che diceva di appartenere al culto di QAnon, una diffusa e assurda teoria del complotto americana. Certo, era un’immagine curiosa, ma ci ha distratto dalle cose più importanti. A partire dal fatto che i capi dei gruppi che hanno organizzato l’attacco erano suprematisti bianchi come i Proud Boys o gli Oath Keepers, gente che sfrutta le teorie del complotto per i propri scopi. Ecco perché concentrarsi solo sul complottismo è un errore».

Il debunking fine a sé stesso, poi, può essere poco efficace. Quando si sfata un mito, si crea un vuoto nella mente di una persona: solo se si colma questa lacuna la demistificazione è efficace. Non basta dire che a uccidere Kennedy è stato Lee Harvey Oswald, per esempio, bisogna anche spiegare nel dettaglio la personalità e la storia di Oswald e come una serie di circostanze sfortunate ha fatto sì che l’assassino si venisse a trovare nel posto “giusto” al momento “giusto”.

«In generale, trovo che non si possa pensare di sradicare la mentalità complottista ridicolizzando o offendendo chi crede a certe cose» conclude Brotherton. «Un atteggiamento più utile è quello di iniziare la discussione con un teorico del complotto cercando di capire che cosa abbiamo in comune.

Studiare certe teorie, poi, può aiutarci a capire meglio il modo in cui funziona la mente. La mente di tutti, intendo. Perché dobbiamo ricordarci che, volenti o nolenti, siamo un po’ tutti complottisti nati. L’unica differenza è che alcuni lo nascondono meglio di altri».
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