Perché crediamo?

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In quest’epoca di post-verità sembriamo aver perso la bussola che, fino a poco tempo fa, ci aiutava a trovare l’orientamento per distinguere il vero dal falso. Diventa sempre più difficile districarsi nel caos informativo crescente, e anche conoscenti, amici o famigliari, persone che ci erano sempre sembrate serie e affidabili, dall’oggi al domani iniziano a inseguire e a sostenere le idee più balzane, indifendibili se non palesemente false. Pensare che il mondo sia improvvisamente impazzito, magari per colpa del Web o dei social, però, sarebbe un errore. La tecnologia non fa altro che amplificare ciò che siamo e, in particolare, qualcosa che è profondamente radicato dentro di noi: il bisogno di credere. Si potrebbe infatti ricordare che da sempre gli esseri umani sono portati a credere a ciò che li fa stare bene, a ciò che li rassicura, a ciò che conforta i loro punti di vista, e a rifiutare ciò che non capiscono o che rischia di metterli in crisi. Ma sarebbe riduttivo.

Dunque, per capire che cosa ci porta a credere alle idee più incredibili o totalmente assurde, e che cosa ci induce a scambiare per prove convincenti quelle che sono solamente suggestioni, illusioni o, al massimo, convinzioni ideologiche o fideistiche, è necessario allargare lo sguardo e, magari, fare un lungo passo indietro nel tempo. Del resto, anche nella scienza si trovano sempre idee e teorie che sulle prime sembrano “incredibili”, ma che poi, con il progresso delle conoscenze e l’accumularsi delle conferme, si rivelano molto credibili, dall’evoluzione al Big Bang, per citarne solo due. E, naturalmente, all’opposto, sono spesso esistite ipotesi e spiegazioni credute vere per decenni, in qualche caso per secoli, su entità mai osservate, e che si sono poi rivelate del tutto sbagliate: dall’idea del flogisto, che sembrava spiegare bene il fenomeno della combustione, a quella dell’etere, con cui si cercava di comprendere il propagarsi della luce.

Per capire come si formano le nostre convinzioni e le nostre credenze, e come il processo dell’evoluzione abbia trasformato il nostro cervello in un sistema formidabile per dare un senso al mondo, occorre dunque risalire alle origini. In fondo, ci basta poco: un collegamento casuale tra due avvenimenti del tutto scollegati, l’indizio di un’intenzione dietro un fatto occasionale... e si forma una convinzione, che si rafforza a posteriori e diventa certezza, grazie anche al rinforzo del gruppo cui apparteniamo e che condivide le nostre credenze. Spesso queste convinzioni sono fondate, l’esperienza le dimostra vere e queste scoperte ci permettono di far progredire le nostre conoscenze. È un percorso che troviamo nella scienza, certo, ma anche nell’economia, nella politica, persino nell’amore. Altre volte, però, i medesimi meccanismi li vediamo in azione in coloro che credono di scovare complotti ovunque e si convincono che entità nascoste e malvage manipolino il mondo a loro piacimento. Li ritroviamo in chi compie atrocità, ma è sicuro di essere nel giusto e di fare il bene dei suoi simili. Li riconosciamo in coloro che cercano conforto in idee come quella degli extraterrestri, considerati guardiani e protettori dell’umanità, ma anche in chi crede in entità spirituali, dagli angeli ai diavoli, agli dèi di ogni tipo, e dà spiegazioni sovrannaturali alla realtà.

Per quanto a volte ci possano sembrare assurde, però, queste idee hanno una loro funzione. In fondo, la costruzione e la condivisione di storie e miti sono alla base della civiltà e della cooperazione umana. E non serve nemmeno che tali storie siano vere: ciò che conta è che le crediamo vere. Se siamo riusciti a costruire città e società complesse, infatti, è solo perché grandi masse di persone hanno scelto di aderire agli stessi potenti sistemi di credenze politiche, ideologiche o religiose, vere o false che fossero. Queste credenze sono come lenti attraverso le quali vediamo e interpretiamo il mondo e gli eventi che in esso si verificano. È questo il motivo per cui il medesimo fenomeno o accadimento può essere visto e interpretato in maniera radicalmente differente da gruppi di persone differenti. Subito dopo un attentato terroristico, per esempio, può esserci chi individua i responsabili in un gruppo rivoluzionario impegnato a seminare il terrore e chi, all’opposto, immagina si tratti di un’operazione segreta voluta dalla stessa nazione colpita: un pretesto per sopprimere ogni dissenso. Oppure, può anche esserci chi afferma che non ci sia stato nessun attentato e che si tratti solo di una simulazione mediatica. Le nostre credenze, insomma, hanno la capacità di trasformare la realtà che percepiamo; di conseguenza, chi non la vede come noi ci sembra irrazionale, ignorante o, peggio, in malafede. A volte questo porta a incomprensioni e discussioni, ma nei casi più gravi può motivare l’odio e la violenza, fino ad arrivare alla guerra.

Ecco perché, oggi più che mai, diventa importante capire le radici biologiche, psicologiche e sociali che si celano dietro la necessità di credere, che negli esseri umani è così profonda. Ed è proprio questo il viaggio che ci apprestiamo a intraprendere insieme: facendo riferimento alle più recenti ricerche in ambito cognitivo, evolutivo, biologico, antropologico, sociologico, archeologico, oltre che ai dati storici e statistici, arriveremo a capire quali funzioni hanno svolto e svolgono ancora i sistemi di credenza nell’evoluzione culturale umana. Tutto questo significa forse che siamo condannati a credere in eterno a idee false e a distorcere la realtà se non è come la vorremmo? Forse no. Da qualche secolo a questa parte, infatti, la nostra specie è riuscita a sviluppare un sistema di indagine della realtà che supera le credenze e le opinioni, e si basa, invece, sulla verifica oggettiva e collettiva dei fatti: la scienza.

Uno dei nostri obiettivi, al termine del viaggio, sarà quello di individuare e impadronirci di alcuni strumenti di analisi critica tipici dell’indagine scientifica, in modo da imparare a valutare l’attendibilità delle credenze e riconoscere quali hanno più probabilità di essere vere rispetto a quelle che sono probabilmente false. Ma non c’è solo questo. Oltre ad abituarci a ragionare come scienziati, è anche importante cambiare il nostro atteggiamento nei confronti della realtà. Come? Diventando consapevoli dei nostri limiti, certo, ma anche comprendendo che credere è un istinto naturale e che non è dovuto alla stupidità; anzi, spesso sono le persone più capaci e competenti a coltivare forme estreme di credulità. E, dunque, occorre riconoscere con umiltà che c’è sempre la possibilità di sbagliare, che non possiamo sapere tutto ciò che c’è da sapere, restando pronti a cambiare idea di fronte a evidenze solide capaci di contraddirci e, soprattutto, coltivando e mantenendo una curiosità inesauribile.

Certo, questa è la strada meno battuta e più faticosa, quella che ci porterà ad allontanarci dalle falsità rassicuranti e ci costringerà a guardare in faccia la realtà dei fatti, anche se non ci piace. Del resto, alla realtà non interessa ciò che pensiamo o che crediamo. Possiamo anche rifiutarci di credere all’emergenza climatica, all’esistenza del Covid o di chissà quali altre malattie future, ma questo non impedirà alla prima di rendere il nostro pianeta sempre più invivibile e alle seconde di fare sempre più vittime tra coloro che decidono di non proteggersi. Se, dunque, non vogliamo che le nostre credenze più infondate e pericolose conducano all’estinzione della nostra specie, se desideriamo crescere in maniera sana e ragionevole, migliorando le condizioni di vita di tutti, dobbiamo renderci conto che tante volte è necessario rifiutare le bugie e accettare la verità. Anche quella che ci sembra più scomoda.

Tratto dall’introduzione a La scienza dell’incredibile (Feltrinelli, 2023).

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