Goodbye Randi

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Un ritratto giovanile di Randi.
Chi, tra i lettori di Query, non conosce Randi? Certamente tutti sanno del suo impegno nello smascherare ciarlatani e truffatori. Se c’era una cosa che non sopportava e che lo mandava su tutte le furie erano proprio quei personaggi, come i guaritori, che promettono di curare magicamente le malattie, o i medium, che sostengono di potere raggiungere nell’aldilà chi non c’è più. Li considerava avvoltoi, che si approfittano della fragilità di persone che soffrono, e riusciva a escogitare geniali sistemi per smascherarli, come nel caso del guaritore carismatico Peter Popoff.

Se non lo avete mai visto, suggerisco di guardare il film-documentario a lui dedicato, Un onesto bugiardo, disponibile su Amazon Prime, dove oltre al geniale smascheramento di Popoff troverete tanti altri casi di cui si è occupato e un ritratto anche molto personale dell’uomo che è stato.

È pieno di storie affascinanti: il progetto Alpha, il caso Geller, la beffa di Carlos... (e si intravede anche un pezzetto di CICAP, che peraltro ha curato la sottotitolazione in italiano) ma in realtà il film non raschia nemmeno la superficie di tutto quello che ci sarebbe da raccontare su Randi.

Certo, il suo ruolo nel creare quello che potremmo chiamare il movimento “scettico” moderno è stato fondamentale: prima con la fondazione dello CSICOP (che ha creato insieme allo psicologo Ray Hyman e al divulgatore Martin Gardner e a cui, in seguito, si è aggiunto il filosofo Paul Kurtz) e poi con le sue tante indagini, smascheramenti, imprese, trasmissioni TV, libri, conferenze... che per quattro decenni lo hanno tenuto impegnato e lo hanno portato in ogni angolo del globo, trasformandolo nel volto dell’indagine scientifica del presunto paranormale.

Ma Randi era molto di più. Era soprattutto una persona che teneva tantissimo agli altri, soprattutto ai meno fortunati: generoso, altruista, aveva sempre parole buone per tutti e alle parole faceva seguire sempre aiuti concreti. Ho copie di non so quante lettere di persone che lo ringraziano da tutto il mondo per quello che ha fatto per loro in maniera del tutto disinteressata.

Per dirne solo una. C’era un ragazzo che Randi aveva conosciuto in Cina negli anni ’80, durante un viaggio di indagini e sperimentazioni sui sensitivi locali, che sognava di studiare ingegneria informatica in California. Non aveva i mezzi o le conoscenze adeguate per farlo, così Randi lo ha aiutato a ottenere i permessi e il visto e, quando finalmente quel ragazzo è arrivato in America, ha trovato ad aspettarlo al campus anche una bicicletta che Randi gli aveva comperato («Ti servirà qualcosa per spostarti, il campus è grandissimo!»). Quel ragazzo ha poi fatto una carriera straordinaria, diventando ricchissimo in Cina per il suo lavoro sulle nuove tecnologie e grazie ai suoi brevetti, ma non ha mai dimenticato l’aiuto di Randi, decidendo a sua volta di aiutare alle stesso modo, con borse di studio, altri giovani che sognano di potere studiare ma non hanno i mezzi per farlo.

Di storie così ne ho a dozzine. I suoi gesti di generosità e di altruismo erano come sassolini capaci di creare valanghe e avere direttamente o indirettamente effetti concreti e positivi sulla vita di tantissime persone.

Erano entusiasmanti i racconti della sua vita "on the road", quando faceva il mago negli Stati Uniti e in giro per il mondo, ma ogni tanto gli si incrinava la voce.

Come quando ebbe la fortuna di ascoltare un concerto del grandissimo Nat King Cole, che poi incontrò nel backstage. Completamente infatuato da quella voce straordinaria, Randi riuscì a stringergli la mano, a esprimergli tutta la sua ammirazione e a scambiare solo qualche parola con quell’autentica leggenda della musica, prima che fosse allontanato in modo brusco da un impresario perché «non è bene che un ragazzino bianco si mescoli ai negri».

Ancora si infuriava quando ripensava a certe cose. Nel 1955, quando già viveva a New York, dopo essersi trasferito dal Canada in cui era nato, gli fu proposto di lavorare per otto settimane in Florida. «Non durerai due giorni» gli dissero i colleghi del mondo dello spettacolo con cui si trovava abitualmente alla tavola calda di Hanson’s.

«Perché?»

«Be’, laggiù sono segregazionisti».

Randi non era sicuro di capire. «In che senso?»

«Vuol dire che bianchi e neri devono stare separati».

Randi si strinse nelle spalle. «Non me ne importa niente, io mi esibisco per tutti. Metterò nel contratto che non farò spettacoli se il pubblico è segregato».

«Buona fortuna!»

Quando Randi arriva in Florida, a Ocala, dove la tournée sarebbe iniziata al Teatro Ritz, si rende conto che nell’autobus c’era una catenella che divideva gli spazi: bianchi da una parte, “coloured”, cioè di colore, dall’altra. In strada, le fontanelle d’acqua erano sempre due: una per i bianchi e l’altra per i “colorati”. E così i bagni. Già iniziavano a fumargli le orecchie.

Entra in un ristorante per mangiare qualcosa.

«Ma io non posso servirla, signore» gli dice la ragazza di colore al bancone. «Deve andare da quella parte».

Randi guarda e, ovviamente, pure lì c’erano i due cartelli.

«Ha un sapore diverso l’aranciata se la bevo da quella parte?»

«No... esce sempre dalla stessa macchinetta».

«E allora, se a lei non dispiace, la berrò qui» le dice con un sorriso.

La ragazza gli sorride a sua volta e gli porta da mangiare e da bere, ma un tizio dall’altra parte inizia a urlargli contro: «Ehi, tu! Che cosa pensi di fare?»

«Mangiare, non si vede?»

Randi era convinto che quando fosse uscito gli sarebbe toccata una scazzottata, ma non vedeva l’ora di dare una lezione a quella gente bigotta e retrograda. Invece non succede nulla.

Poi va in teatro. Quella sera fa il suo spettacolo, si libera da una camicia di forza appeso per i piedi a un gancio sospeso sopra il palco. Il pubblico in platea gli sembra quasi esclusivamente bianco, però sulle locandine non si parlava di segregazione e poi aveva i riflettori in faccia e non era sicuro di vedere bene.

Alla fine del suo numero, per curiosità Randi si fa un giro per il teatro. Nella lobby vede che ci sono scatoloni di programmi dello show, con la scaletta della serata e le biografie degli artisti. In platea ce l’avevano tutti, veniva regalato all’ingresso: gli sembrava strano che ne fossero avanzati così tanti.

Quando arriva nel loggione, scopre che è pieno imballato... ma ci sono solo persone di colore.

«Noi non possiamo stare in platea» gli spiega uno spettatore. «Però ci piacerebbe poter dare un’occhiata a un programma».

Randi è confuso. «Ma come, non ve l’hanno dato? Ce ne sono scatoloni pieni!»

«No, costano troppo per noi...»

«Ve li volevano far pagare?»

A questo punto è furibondo.

Scende nell’ingresso e inizia a portare di sopra gli scatoloni con i programmi e a distribuirli a tutti gli spettatori in balconata.

«Ma che cosa sta facendo?» gli domanda sbigottito uno degli inservienti del teatro quando se ne accorge.

«I programmi non sono un regalo per gli spettatori? Ebbene, si vede che qualcuno si è dimenticato di darli a queste persone e così ho provveduto io. Non mi ringrazi...»

L’inserviente diventa viola per la rabbia e se ne va pestando i piedi.

Subito dopo, Randi torna nel suo camerino, fa i bagagli e prende il primo pullman per New York. Ne ha avuto abbastanza e per lui la tournée finisce lì. L’impresario lo chiama al telefono, minacciando di fargli causa e di vendicarsi in qualunque modo, rendendogli impossibile lavorare in qualunque teatro del mondo, se non fosse tornato di corsa in Florida.

«Avevo chiesto in contratto che non ci fosse un pubblico segregato, invece non era così».

«Ma qui è normale!» gli dice esasperato quel tale.

«Forse sarà normale da voi, ma tra le persone civili è un abominio» e gli attacca il telefono in faccia.

L’impresario, alla fine, sarà costretto a pagare a Randi le otto settimane concordate, anche se si è esibito una volta sola.

Ho voluto raccontare questa storia, che pochi conoscono, perché illustra bene come già poco più che ventenne Randi avesse le idee chiarissime su quello che considerava intollerabile nel mondo e sapeva che, se voleva che le cose cambiassero, doveva impegnarsi in prima persona.

Randi era così ed è stato così per tutta la vita. La cosa bella è che di storie come questa ce ne sono centinaia e ogni volta che vedo una foto, riapro una scatola di ritagli o di documenti mi tornano tutte in mente e sento la sua voce che me le racconta.

Mi mancherà tantissimo non poterlo più vedere e non potergli più parlare. Ma lui sarà sempre qui con me, nella mia mente e nel mio cuore, e spero davvero non solo di riuscire a portare avanti il suo lavoro in difesa della razionalità, ma anche di fare sentire sempre la mia voce di fronte alle ingiustizie. Non sarà difficile, basterà pensare «Che cosa direbbe Randi adesso?» e la risposta sarà automatica.

Goodbye Amazing.
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