Donne nello spazio: tra miti, bugie e realtà

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  • 26-09-2012
  • di Luca Boschini
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©Nasaimages.org - Le prime sei astronaute NASA
Quella che vi stiamo per raccontare è una presunta storia di discriminazione femminile e di ingiustizia. Una storia che ha smosso le coscienze di molti e le cui protagoniste sono state battezzate dai media come le ragazze del Mercury 13.

La vicenda di queste tredici ragazze è stata raccontata, in modo molto romanzato e distorto, in un film, She should have gone to the moon[1], che ha ottenuto riconoscimenti in parecchi festival cinematografici, ma anche in alcuni libri[2], in diversi articoli sui principali giornali statunitensi e in molte trasmissioni televisive. Di recente il libro The Mercury 13 di Martha Ackmann è stato tradotto anche in italiano, ed è stato recensito molto favorevolmente anche su testate autorevoli come Le Scienze (n. 518, p. 105).

Ecco come viene solitamente presentata la vicenda: alla fine degli anni cinquanta, quando stava per iniziare la corsa allo spazio, la NASA stava scegliendo i suoi primi astronauti per il progetto Mercury, i sette astronauti che diverranno poi noti come “The Original Seven”. L’ente americano incaricò alcuni suoi selezionatori, sotto il comando del medico William Randolph Lovelace, di un progetto speciale: individuare delle donne che potessero sostituire gli uomini nelle missioni spaziali. Il programma era finanziariamente sostenuto anche dalla Marina militare degli Stati Uniti.

Lovelace individuò una ventina di ragazze che avevano doti e curriculum equivalenti, se non migliori, dei loro colleghi maschi, le sottopose a tutti i test medici e fisici che dovevano affrontare anche gli uomini, e tredici di loro passarono tutte le selezioni. Quando erano ormai pronte per entrare in una capsula spaziale, la NASA inspiegabilmente interruppe il programma e rinunciò alla collaborazione delle potenziali astronaute. La ragione di questa incredibile decisione, mai dichiarata apertamente ma ammessa a mezza bocca da qualcuno, era che la società americana dell’epoca era fortemente maschilista, e l’ambiente spaziale, nel quale tecnici, ingegneri e militari erano quasi tutti uomini, lo era ancora di più.

L’idea di avere delle donne astronaute, in una missione che ne avrebbe fatto delle eroine nazionali, era perciò in grado di provocare disagio se non imbarazzo. Oltre che chiaramente discriminatoria, la decisione della NASA era anche contro il buon senso: le donne erano più piccole e leggere degli uomini, per cui sarebbero entrare più agevolmente nelle minuscole e anguste capsule Mercury.

Una delle tredici ragazze, Jerrie Cobb, volò a Washington a perorare la sua causa e scrisse al presidente Kennedy per far riaprire il programma, ma senza successo. Cobb in seguito suggerì che era stato il vicepresidente Lyndon Johnson ad affossare il programma, temendo, come le aveva rivelato in confidenza, che dopo le donne altre minoranze avrebbero rivendicato il diritto a volare nello spazio[3]. Per la loro storia, le tredici ragazze sono diventate le beniamine di molte femministe e oggi sono celebrate come eroine negli Stati Uniti, in quanto vittime di una palese discriminazione perpetrata ormai cinquant’anni fa. Molte istituzioni prestigiose hanno creduto al racconto fornito dai media e, a parziale e tardiva riparazione, le ormai attempate signore Mercury 13 hanno di recente ricevuto una laurea ad honorem dall’Università del Wisconsin e un premio dal planetario Adler[4] e sono stati loro dedicati alcuni siti internet[5].

Le tredici donne che non poterono volare nello spazio sono poi periodicamente invitate a conferenze e congressi, per raccontare la loro storia e ricevere il simbolico abbraccio dei tanti che solidarizzano con loro. Ad accrescere l’imbarazzo di molti statunitensi, vi è anche il fatto che i sovietici, gli odiati e vituperati nemici di un tempo, all’epoca si erano dimostrati molto più aperti nei confronti delle donne. Infatti Valentina Tereshkova volò sulla Vostok 6 solo due anni dopo Gagarin, e fu un’altra ragazza sovietica, Svetlana Savitskaya, la prima donna ad avere l’onore di una “passeggiata spaziale”, nel 1984. Gli Stati Uniti invece attesero il 1983, dieci anni dopo la chiusura del programma Apollo, per lanciare su uno Space Shuttle Sally Ride, la prima donna americana ad aver volato nello spazio. Dunque, a quanto pare, i comunisti erano molto più aperti di vedute degli americani, che si tacciavano di essere i paladini dell’uguaglianza e della democrazia!

Ma le cose stanno veramente così? Se si va a indagare più approfonditamente, si scopre che la storia è quasi interamente una montatura mediatica, poiché i fatti si sono svolti in ben altro modo[6].

William Lovelace non era un tecnico della NASA, era un medico, specializzato nei problemi fisici che si incontrano ad altitudini elevate, che la NASA ingaggiò come consulente nel 1958. Il suo compito era di collaborare a definire i test medici e psicofisici a cui sarebbero stati sottoposti gli astronauti durante la selezione e l’addestramento nel progetto Mercury.

Al termine del suo lavoro presso la NASA, Lovelace, insieme a Donald Flickinger, generale dell’aeronautica militare e anch’egli collaboratore della NASA, decise di sua iniziativa di testare il protocollo, che aveva definito per l’ente spaziale, anche con alcune donne. L’ipotesi era che, siccome le donne consumavano meno ossigeno, erano meno soggette a problemi cardiaci e avevano presumibilmente apparati riproduttivi meno soggetti agli effetti delle radiazioni, sarebbero potute essere degli altrettanto validi candidati[7], almeno in qualche futura missione, se nei test si fossero dimostrate fisicamente adatte quanto gli uomini.

Così Lovelace, tornato in New Mexico, individuò una ventina di ragazze col brevetto di pilota civile e le invitò nella sua clinica di Albuquerque, per essere sottoposte ai test medici preliminari (di fase 1); da questi test emersero tredici possibili candidate, che avevano lo stato di salute adatto.

Lovelace chiese alle tredici selezionate di recarsi a Oklahoma City, per sottoporsi ai test psicologici di fase 2, ma solo tre di loro lo fecero, dato che le altre avevano problemi familiari o di lavoro che impedivano loro di rimanere a lungo lontano da casa. Jerrie Cobb, la più determinata del gruppo, si sottopose anche ai test medici di fase 3, che valutavano lo stato psicofisico nelle condizioni di stress a cui sono sottoposti i piloti militari[8] e il suo successo venne annunciato con grande enfasi in un congresso a Stoccolma nel 1960.

A questo punto, però, William Lovelace si rese conto che non poteva più sovvenzionare il progetto di tasca propria, inoltre i test di fase 3 e la successiva fase di addestramento vera e propria richiedevano attrezzature molto sofisticate e costose, possedute solo dall’esercito e dalla NASA. Vantando un curriculum di collaborazione con l’ente spaziale e l’amicizia col generale Flickinger, ritenne che la Marina militare avrebbe sovvenzionato il progetto. Prese quindi contatti con la Scuola di medicina della Marina di Pensacola, in Florida, per completare i test attitudinali su tutte le tredici candidate e per condurre gli esperimenti atti a portare a termine l’addestramento delle ragazze.

La Marina militare, credendo di svolgere una collaborazione ufficiale con la NASA, acconsentì e invitò il medico e le candidate. Le tredici ragazze, entusiaste, accettarono di buon grado e due di essere presentarono persino le dimissioni dal loro posto di lavoro per potersi trasferire in Florida. Nel frattempo, però, i vertici dell’arma contattarono la NASA, per chiedere delle referenze sul dottor Lovelace e all’ente spaziale caddero dalle nuvole: era vero che Lovelace aveva collaborato con loro in passato, ma non sapevano nulla di un programma di selezione che coinvolgesse delle donne, e comunque Lovelace non lavorava più per loro. A questo punto la Marina ritirò la collaborazione e il medico dovette dichiarare chiuso il programma.

Jerrie Cobb non si diede per vinta: scrisse al presidente Kennedy e denunciò l’accaduto a un deputato democratico, Victor Anfuso. Il congresso istituì una commissione d’inchiesta per valutare se la NASA avesse commesso un atto discriminatorio, ma l’indagine appurò che tutto si era svolto regolarmente, non solo perché il progetto di selezione delle donne era stata un’iniziativa personale del dottor Lovelace, ma anche perché nei criteri espressi dalla NASA per la selezione degli astronauti era chiaramente indicato che i candidati dovessero essere diplomati della scuola militare per piloti di aerei e nel contempo possedere una laurea in ingegneria[9]. Siccome all’epoca nessuna donna era ammessa alla scuola per piloti di jet militari e le laureate in ingegneria erano rarissime, le donne erano escluse a priori dalla carriera di astronauta, semplicemente perché nessuna possedeva i requisiti minimi necessari.

La NASA, contrariamente a quanto si racconta, non ha mai tentato di nascondere la vicenda o di gettare discredito sui suoi protagonisti: le ragazze Mercury 13 vennero invitate ad assistere al lancio di un volo Shuttle e il loro coraggio e le loro doti atletiche sono celebrate sul sito dell’agenzia spaziale americana[10]. Una pagina del sito, dedicato alle imprese storiche, ripercorre in modo piuttosto esteso e obiettivo l’intera vicenda[11].

Quanto alla selezione di donne per le missioni spaziali, la NASA ha sempre ribadito di avere adottato un criterio meritocratico nella scelta dei propri astronauti, senza discriminazioni sulla base del sesso o della razza. L’ingresso delle donne nel corpo astronauti a partire dagli anni ottanta non fu dovuto, infatti, come alcuni pensano, a un cambio di mentalità dei selezionatori, ma alla concomitanza di due fattori fondamentali. Il primo è l’ammissione delle donne nelle più prestigiose accademie e scuole militari degli Stati Uniti, avvenuta alla fine degli anni settanta[12]. Il secondo è la costruzione dello Space Shuttle, che con i suoi sette posti, di cui solo due riservati a piloti, rendeva necessario formare un gran numero di astronauti col ruolo di mission specialist, ovvero con mansioni di riparazione e conduzione di esperimenti, più ritagliati su un curriculum di ricercatore che su quello di un pilota militare. Se dunque le donne pilota negli anni ottanta erano ancora una rarità, le ricercatrici universitarie costituivano invece un bacino più abbondante da cui attingere. Anche la presunta maggiore apertura mentale dei sovietici verso le donne è un mito, costruito attraverso un’abile operazione di propaganda.

È vero infatti che Valentina Tereshkova volò nel 1963, ma non fu selezionata per le sue doti fisiche o per il suo curriculum da pilota. Era infatti solo un’impiegata di una fabbrica tessile, che vinse una selezione per via della sua passione per il paracadutismo e soprattutto per il fatto che era segretaria locale della Lega dei giovani comunisti, e dunque una persona che avrebbe certamente contribuito alla causa del Partito una volta diventata famosa. Il volo di questa ragazza, che era orfana e di umili origini, fu fortemente voluto da Khrushchev, che all’epoca era Segretario generale del partito comunista e premier dell’Unione Sovietica, per soli fini propagandistici, nonostante la netta avversione del capo del progetto spaziale Korolev, che tentò insistentemente di opporsi[13].

Sull’inadeguatezza di Tereshkova aveva certamente ragione Korolev, dato che la ragazza non aveva una preparazione tecnica sufficiente[14] e dovette affidarsi a un volo totalmente automatico: una volta in volo, quando dal controllo missione le chiesero di simulare la manovra di rientro manuale, fu incapace di eseguirla correttamente e i colleghi da terra dovettero spiegarle cosa fare. L’episodio allarmò parecchio i tecnici, perché in caso di malfunzionamento del pilota automatico si sarebbe potuta creare una situazione di serio pericolo[15]. Inoltre Tereshkova si sentì male e vomitò durante la missione[16] e a un certo punto si addormentò così profondamente che fu a lungo impossibile svegliarla, facendo temere che si fosse sentita seriamente male[17].

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©Nasaimages.org - Valentina Tereshkova
Al rientro aprì il casco appena espulsa dalla capsula, contrariamente alla procedura, e fu ferita al volto da un detrito, tanto che dovettero ricoverarla in ospedale e riportarla su luogo dell’atterraggio qualche tempo dopo, per scattare le foto che dovevano documentare la sua impresa[18]. Per finire, appena atterrata fu accolta da una piccola folla festante; lei fece gli “onori di casa” offrendo del cibo preso dalla capsula ma così facendo rovinò l’esperimento medico che avrebbe dovuto valutare il suo cambio di peso col computo esatto delle calorie consumate durante il volo[19]!

D’altro canto, Khrushchev aveva senz’altro costruito con abilità la sua operazione di propaganda, dato che il volo della Vostok 6 diventò una delle pietre miliari nella storia dell’astronautica, e influenzò la visione che gli occidentali avevano del programma spaziale sovietico. Negli Stati Uniti all’epoca molti parlamentari, e le loro mogli, si dichiararono scandalizzati del fatto che l’emancipazione femminile in un regime comunista fosse molto più avanzata che non nel loro Paese[20].

I pettegolezzi (peraltro smentiti dalla documentazione storica emersa di recente) raccontano che anche il matrimonio tra Tereshkova e il collega Nikolaev, pilota della Vostok 3, era stata un’idea propagandistica di Khrushchev, fondata anche sul fatto che entrambi all’epoca erano personaggi famosissimi. I sospetti sorsero in quanto a istruire le candidate astronaute, tutte nubili tranne una, era stato scelto (insieme a Gagarin) l’unico astronauta non sposato (Nikolaev appunto), e che venne scelta per il volo la ragazza che poche settimane prima si era ufficialmente fidanzata col proprio istruttore. Ponomaryova, l’unica sposata nonché la prima delle “scartate”, denunciò il fatto che la scelta fosse caduta su Tereshkova perché il governo sovietico voleva una ragazza di umili origini[21], ma in realtà dai diari di Nikolaj Kamanin, selezionatore degli astronauti, emerge che egli aveva grande stima di Tereshkova per via del suo carattere forte e nel contempo socievole, e che la definiva «un Gagarin in gonnella[22]». Inoltre, dopo che due astronauti come Gagarin e Titov avevano minato la reputazione dei più famosi ambasciatori del comunismo nel mondo poiché si erano dati all’alcool, alle donne e ai festini dopo essere diventati famosi, Kamanin teneva in grande conto il carattere di coloro che avrebbero volato, e riteneva che Ponomaryova fosse un pilota eccezionale ma dal carattere difficile. Un vecchio stalinista all’antica e uomo dalle profonde convinzioni maschiliste, Kamanin prese subito in antipatia Ponomaryova perché era una donna sicura di sé, indipendente e molto raffinata.

Che cosa pensassero della vicenda i colleghi maschi di Tereshkova, invece, lo dissero gli stessi cosmonauti sovietici ai loro compagni di viaggio statunitensi durante il volo congiunto Apollo-Soyuz del 1975. Essi ritenevano che si era trattato di una vergogna sia perché era stata fatta volare una principiante, sia perché la reputazione dei cosmonauti sovietici, come uomini duri e coraggiosi, era stata incrinata dalla dimostrazione che una ragazza giovane e poco competente poteva fare le stesse cose[23]! A loro parziale discolpa si può osservare che molti di loro si erano allenati duramente per anni per ottenere l’ambitissimo posto a bordo di Vostok 6, ed erano stati sopravanzati dall’ultima arrivata per ragioni puramente politiche.

Per completezza, va anche ricordato che Valentina Tereshkova dopo quel volo si iscrisse alla Facoltà di ingegneria dell’Accademia dell’Aeronautica militare (studio obbligatorio per tutti i cosmonauti), laureandosi a pieni voti e acquisendo successivamente un dottorato.

A ulteriore conferma del maschilismo dei cosmonauti sovietici, nel 1965 i responsabili dei voli del progetto Voskhod pianificarono una missione di sole donne, ma questa incontrò la strenua opposizione dei cosmonauti uomini, che sostenevano che le capsule Voskhod erano più pericolose delle Vostok (fatto storicamente accertato), e che di conseguenza, in caso di imprevisti, sarebbe servito almeno un uomo per risolvere la situazione. A dare manforte ai cosmonauti, l’industria che produceva le tute spaziali si rifiutò di realizzare un modello pensato appositamente per il sesso femminile. Alla fine, il progetto Voskhod venne abbandonato per concentrare gli sforzi sul successore Soyuz e della spedizione rosa non si parlò più per una ventina d’anni, quando Mosca pianificò una missione composta da sole donne verso la stazione orbitale Salyut 7. Anche questa volta però non se ne fece nulla: nel 1985 la stazione ebbe un serissimo guasto che costrinse gli occupanti a una fuga improvvisa, dunque si decise che bisognava mandare le persone più adatte a compiere la riparazione, e l’equipaggio venne sostituito da due veterani uomini.

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©Nasaimages.org
Poco dopo, al vertice del partito comunista venne eletto Mikhail Gorbachyov, che la pensava diversamente sulle donne usate come montature pubblicitarie e che, nella situazione di profonda crisi economica e sociale del suo Paese, reputò lo spazio uno spreco di denaro, per cui la missione venne definitivamente cancellata. Se volessimo fare un bilancio storico potremmo dire che a oggi le donne statunitensi che hanno volato nello spazio sono decine, mentre le cosmonaute russe occupate in una missione spaziale sono solo tre, Tereshkova inclusa. Le altre due sono Svetlana Savitskaya e Yelena Kondakova, la prima, figlia di un alto militare dell’esercito sovietico, con molti appoggi all’interno del partito, oggi diventata deputato alla Duma per il partito comunista[24], la seconda, moglie dell’astronauta Valery Ryumin[25], poi promosso ad alto dirigente dell’agenzia spaziale russa, anche lei eletta successivamente alla Duma[26]. Insomma, a ben vedere, due “raccomandate”. Bisogna anche osservare che alcune delle donne del corpo astronauti sovietico e poi russo hanno abbandonato anzitempo l’incarico (come per esempio Nadezhda Kuzhelnaya), poiché erano stanche di vedersi sopravanzare negli assegnamenti da colleghi maschi entrati nel programma dopo di loro[27]. A oggi nel corpo cosmonauti russo ci sono circa quaranta uomini e una sola donna, Yelena Serova.

Quanto alla prima “passeggiata spaziale” di una donna, la storia racconta che fu compiuta da Svetlana Savitskaya, ma pochi sanno del grottesco retroscena. Dopo il suo volo a bordo della Soyuz T-7 nel 1982, Savitskaya si era ritirata dalle missioni attive quando, nel 1983, la NASA annunciò che l’anno seguente Kathryn Sullivan avrebbe compiuto un’attività extraveicolare della durata di 3 ore e 30 minuti. I sovietici, per non farsi strappare il record, richiamarono in servizio in tutta fretta Savitskaya, la sottoposero a una veloce preparazione e la lanciarono sulla Soyuz Т-12, nel luglio del 1984, facendole compiere una “passeggiata spaziale” della sospetta durata di 3 ore e 35 minuti. Tre mesi dopo, Kathryn Sullivan svolse la sua prevista missione di tre ore e mezza e a nessuno alla NASA venne in mente di prolungare le operazioni di una decina di minuti, per strappare un record tutto sommato insignificante[28].

Per comprendere appieno la mentalità degli astronauti sovietici, si può ricordare che, in occasione dei disastri degli Shuttle Challenger e Columbia, a bordo dei quali morirono sette astronauti di entrambi i sessi[29], oltre alle dovute condoglianze per la perdita di vite umane, i russi espressero anche orrore per il fatto che gli statunitensi avevano rischiato e sacrificato la vita di alcune donne: nella loro visione non si sarebbe dovuto permettere a delle ragazze di rischiare la vita in un lavoro così pericoloso[30]!

Questa idea non era nuova: lo stesso Yuri Gagarin ebbe a dire che per il volo di Vostok 6 era stata giustamente scartata Valentina Ponomaryova, in quanto era già madre e a nessuna madre dovrebbe essere permesso di rischiare la vita su un razzo[31]. La discriminazione più clamorosa nei confronti di una madre venne compiuta però ai danni di Marina Popovich, ex moglie dell’astronauta di Vostok 4 e Soyuz 14, che era una pilota collaudatrice con un’esperienza di volo ben maggiore del marito, si era occupata dei test di decine di aerei militari di ultima generazione ed era detentrice di moltissimi record e riconoscimenti. Marina Popovich fece richiesta di entrare nel programma spaziale, superò brillantemente tutti gli esami sia teorici che pratici ma alla fine venne scartata, perché aveva una figlia piccola; pare anche che il marito si fosse opposto alla sua candidatura e avesse tentato di convincere i selezionatori a bocciarla, fatto che fu tra le cause del loro divorzio nel 1968[32].

Comunque, per i futuri viaggi verso Marte i medici dell’agenzia spaziale russa hanno già dichiarato che gli equipaggi del loro paese saranno composti solo da uomini.[33]

A completamento di questo quadro sul ruolo delle donne nelle imprese spaziali, vale la pena accennare alla situazione europea. L’ESA ha sempre seguito le orme della NASA nella selezione dei propri astronauti: i candidati preferiti sono sempre stati piloti con curriculum d’eccellenza e sono stati impiegati test psicofisici come principale parametro di valutazione. Nell’ultima selezione del corpo astronauti, svoltasi qualche anno fa, è stata però introdotta una piccola novità: l’adozione di “quote rosa”; in pratica, fin dalla pubblicazione del bando venne indicato che, a parità di qualificazione, almeno un posto sarebbe stato riservato a una donna, come in effetti è avvenuto con l’assunzione dell’italiana Samantha Cristoforetti[34].

Biografia

2) Solo per citarne alcuni: The Mercury 13: The Untold Story of Thirteen American Women and the Dream of Space Flight; Promised the Moon: The Untold Story of the First Women in the Space Race; The Mercury 13: The True Story of Thirteen Women and the Dream of Space Flight; Almost Astronauts: 13 Women Who Dared to Dream; Right Stuff, Wrong Sex: America’s First Women in Space Program
12) Le donne hanno servito l’esercito degli Stati Uniti fin dalle guerre d’indipendenza e nella prima guerra mondiale, ma in reparti ausiliari e senza la possibilità di diventare ufficiali di alto grado. La legge che ammetteva le donne nelle accademie militari è del 1975, le prime donne ammesse furono nel 1976 e le prime diplomate nel 1980. Si veda http://www.army.mil/women/newera.html
14) Volutamente ricevette una preparazione di meno di otto mesi, dal momento che veniva considerata una missione solo “di facciata”
15) Hall, R. e Shayler, DJ. 2011. The Rocket Men. Springer, p. 209
16) http://www.trekportal.it/coelestis/archive/index.php/t-11275.html ;
http://skepticblog.org/2009/12/24/how-to-become-an-astronaut/ ;
va comunque precisato che circa il 50% degli astronauti va soggetto al cosiddetto “mal di spazio”, cioè nausea e inappetenza nei primi giorni di assenza di gravità
17) The Rocket Men. p. 210
19) The Rocket Men. p. 212
20) Oberg, E.J. 1981. Red Star in Orbit. pp. 69-70
21) Burgess, C. e Hall, R. 2008. The First Soviet Cosmonaut Team. Springer, p. 238
22) The Rocket Men. p. 202
25) Per farsi un’idea di chi sia Valery Ryumin, basta ricordare che, quando la NASA nel 1998 offrì all'agenzia spaziale russa un posto sullo Shuttle, per l'ultima missione verso la Mir, Ryumin, che all'epoca aveva più di sessant’anni, era un accanito fumatore sovrappeso e non si allenava da quasi vent’anni, decise di assegnare il posto a sé stesso adducendo giustificazioni puerili e nessuno in Russia osò contraddirlo
29) 5 uomini e 2 donne in entrambi gli incidenti
31) The First Soviet Cosmonaut Team. p. 231
32) The First Soviet Cosmonaut Team. p. 267
accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',