«Sì, il Duomo di Milano sono io!»

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  • 17-12-2012
  • di Paola Dassori
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Papa Pacelli - ©grancanariamaimenes.com
Nel giugno 1957, a Milano, un incidente stradale poneva fine alla vita di Amilcare Pollini, curioso personaggio autoproclamatosi Messia e Duomo (Dio + Uomo) di Milano.

Nato a Germignaga nel 1905, si trasferì a Milano dove ebbe un certo successo come editore stampando la Guida Pollini per gli Industriali, una sorta di “Guida Monaci” che gli diede l’agiatezza: nel 1938 sposò la figlia di un filosofo rivoluzionario, le cui strampalate teorie esoteriche lo influenzarono profondamente.

Nei primi anni di matrimonio Pollini conservava ancora una certa lucidità, ma in una notte d’incubo comprese finalmente che il suocero altri non era che il suo-cero, cioè colui che avrebbe illuminato il suo cammino: inoltre si chiamava E-u-genio (È un genio) Isid-oro (cioè Iside dea della sapienza e Oro dio dell’amore) A-zz-ario (Ario dall’A alla Z).

La passione del tutto innocente che Amilcare aveva sempre avuto per gli anagrammi e le sciarade degenerò quindi in una incredibile teoria secondo cui «ogni parola rivela la sua funzione» e «la lotta tra Dio e il Demonio si nasconde nelle parole».

Un giorno, considerando le iniziali del suo cognome e dei suoi tre nomi (Pollini Amilcare Pietro Angelo) egli scoprì che formavano la parola PAPA; esaminando poi attentamente il suo primo nome, A-mil-ca-re, comprese di abitare (A) da un millennio (mil) nella casa (ca) del Re (re). Ripensando alla famosa faccenda del “Mille e non più Mille”, comprese che ogni mille anni viene un nuovo Messia, e lui, A-mil-ca-re, non poteva essere altro che il Messia del millennio in corso.

A questo punto il Pollini prese in affitto un ufficio nella centrale Via Torino e cominciò a elaborare, stampare e spedire in giro per il mondo centinaia di manifestini scritti in cinque lingue, nei quali esponeva le sue teorie; inoltre cominciò a scrivere a tutti i capi di stato lettere di questo tenore: «Tu, De Ga-speri, che cosa speri? Non sai che chi vive De-Ga-sperando muore cantando?», «Tu, Tru-man, sei l’uomo del trucco all’americana. Infatti, il Tru-cco c’è ma n-on si vede».

Ma il destinatario delle sue raccomandate-espresso era particolarmente Papa Pacelli, Pio XII, che avrebbe dovuto, secondo lui, lasciare Roma e recarsi a Milano per consegnargli le chiavi di San Pietro. All’inizio si trattava di esortazioni bonarie, come questa: «Che cosa aspetti dunque, Pacelli, figlio mio diletto, a venire da me come ti ho ripetutamente ordinato? Non ascoltare i cattivi consiglieri che ti dicono di non venire, fa’ il tuo dovere, Pacelli, altrimenti va a finire che mi arrabbio».

Visto che le buone maniere non aveano alcun effetto, Pollini lanciò un terribile ultimatum: il Papa doveva partire da Roma, per Milano, entro la mezzanotte del 31 dicembre 1949. Il mezzo di locomozione era a sua scelta: treno, aeroplano, automobile o bicicletta. Pena, in caso di non-obbedienza, l’incenerimento immediato della Basilica di San Pietro. Trascorso dicembre, e visto che il Papa non era partito né aveva risposto all’ultimatum, Amilcare Pollini decise di concedere una proroga e scrisse in questi termini: «Bene hai fatto, Pacelli, a non venire. Hai compreso che l’umile pecorella non va dal Pastore e che il figlio non va dal Padre suo comodamente seduto in prima classe o in vagone letto. Ti concedo quindi di partire a piedi entro il 31 gennaio 1950. Non temere per la tua salute: io penso a tutto e ti ho concesso un inverno mite per agevolarti. Tu percorrerai sette chilometri al giorno e, come vedi, avrai il tempo di riposare, mangiare, dormire e dire messa ogni mattina. Arriverai a Milano il primo maggio e io della festa del lavoro profano farò anche la festa del lavoro sacro». Quando l’inviato di Oggi lo intervistò nel febbraio 1950, prospettandogli la possibilità che il Papa non venisse, egli meditò un istante e rispose: «Se non viene il Papa, verrà Stalin... no, Sta-l-in non può venire perché lui sta là in Russia e non si può muovere. Ma non importa: scriva che se Pacelli non viene da me, io vado da Stalin».
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